Il direttore creativo lascia l’azienda dopo 12 anni. Ecco i 5 momenti nei quali ha cambiato per sempre la storia del marchio della doppia G

La notizia è di quelle che scatenano il terremoto, almeno mediatico, negli ambienti modaioli: l‘uscita da Gucci di Frida Giannini e Patrizio Di Marco, rispettivamente direttrice creativa e Amministratore delegato del marchio.

Con un comunicato stampa a firma del Presidente di Kering, Francois Henri-Pinault, il brand della doppia G ringrazia la stilista per la sua passione e dedizione al progetto, senza svelare i reali motivi dietro alla conclusione del rapporto. L’ultimo capitolo creativo di questa importante storia sarà comunque quello della sfilata di Febbraio per l’autunno-inverno 2015, l’ultima firmata da Frida, il cui successore sarà, sempre da comunicato, nominato prossimamente. 

Si susseguono le speculazioni sul futuro lavorativo del dream team formato da Giannini e Di Marco, coppia anche nella vita, autori di uno dei periodi più fulgidi che il marchio possa ricordare, affermazione che acquista ancora maggior valore se si pensa che hanno dovuto raccogliere il testimone da nomi come Tom Ford e Domenico De Sole, ormai entrati, a pieno titolo, nella dimensione della leggenda. 

Più che un lavoro, una militanza, quella di Frida, che ha portato la dicitura di direttore creativo ad assumere un nuovo significato: dedita totalmente al compito che si era prefissa, quello di riportare in auge l’archivio mescolandolo alla modernità, producendo anche dei risultati commerciali notevoli, ha ampliato l’impero del brand senza accusare il colpo dello stress, o delle critiche, che comunque ci sono state. 

Arrivata nel 2002 alla corte di Kering, multinazionale francese che possiede oltre Gucci anche Bottega Veneta, Saint Laurent e Balenciaga, solo per citarne alcuni, tra i suoi tanti meriti ha, in primo luogo, quello di aver rimesso al centro del discorso la pelletteria. Cominciò proprio con quella Guccio Gucci, che, nel 1921, dopo il suo impiego alla ditta Franzi di Milano, aprì, a Firenze, una valigeria. La Bamboo, la Jackie Bag, private spesso del monogram, che le rendeva troppo commerciali (tendenza fortemente sostenuta da Di Marco) sono modelli iconici negli anni sessanta che recentemente hanno riacquisito un posto di primo piano nelle wishlist di ogni donna, a qualunque latitudine. Gli elementi della pelletteria hanno contaminato anche l’abbigliamento, il morsetto classico delle borse è finito sugli stivali da equitazione e sui mocassini, a sottolineare un fil-rouge e una continuità tra i due elementi, che però ha origine proprio dalla valigeria, mai il contrario. La leggenda, infatti, racconta che nel 2002 le borse di Fendi (che Frida disegnava) fossero le preferite dalla dipendenti di Gucci, con il disappunto di Tom Ford, che, per ovviare al problema, decise di chiamare proprio lei per disegnare la pelletteria. 

Altro legame con la tradizione, a cui Frida ha tolto uno spesso strato di polvere, il motivo Flora, creato nel 1966 per la principessa Grace di Monaco, e trasformato più recentemente in ispirazione per abiti, foulard (disegnati dall’artista italiano Vittorio Accornero), e persino per la fragranza omonima. A sponsorizzarla e a raccogliere l’eredità Charlotte Casiraghi, nipote di Grace, a cui in origine la sciarpa di seta fu donata da Rodolfo Gucci, figlio del fondatore Guccio.

Altro elemento caratterizzante dell’impero di Gucci, guidato da Frida Giannini, è il saldo legame creato con Hollywood: solo all’apparenza elemento di continuità con il suo predecessore Tom Ford, che del glamour holliwoodiano fece un caposaldo della sua direzione creativa, Frida si è però sempre ispirata alla lezione dei fondatori, che misero la Bamboo Bag a Vanessa Redgrave nel film culto di Antonioni, Blow up. Privo dell’iper sessualizzazione che ha caratterizzato il percorso del designer texano nella maison, il suo rapporto con il dorato mondo del cinema si è costruito a colpi di scintillanti flapper dress, lustrini a cui ha fatto dare corpo da donne come Blake Lively, anche testimonial di alcune sue fragranze, o completi sartoriali da red carpet che ha fatto indossare a uomini come James Franco.

Luxury, ma con un cuore, Frida Giannini è stata tra le prime, in tempi non sospetti, a creare una (fino ad allora) improbabile associazione tra l’effimero mondo della moda e il sociale. Campagne dedicate ai diritti delle donne, volte a promuovere l’istruzione, l’ambiente (come il progetto Green Carpet Challenge in collaborazione con la signora Firth), che hanno raccolto una pletora di star holliwoodiane e celebrities, da Beyoncé a Salma Hayek, e che hanno portato l’UNICEF a creare ex novo un premio, quello di Women of Compassion, di cui è stata la prima vincitrice nel 2011, alzando di molto il livello di sensibilità rispetto a certe tematiche nel settore. 

Non solo moda, l’impero creato pazientemente da Frida e Patrizio Di Marco negli anni nei quali sono stati alla guida del marchio, ha gettato importanti e solide fondamenta, che contribuiranno nei prossimi anni a costruire una vera forza commerciale, di quelle che durano per sempre (come dimostrano marchi come Dior e Chanel). Recentissimo è infatti il lancio della linea beauty, Gucci Cosmetics, per ora limitata solo a quattro prodotti, di cui la prima testimonial è la vera faccia del marchio, Charlotte Casiraghi, perfetto simbolo dell’unione tra modernità e (altissima) tradizione.