Rubata la voce agli Stones divenne regina della factory di Andy Warhol, incoronando New York metropoli degli inquieti Seventies. La interpreta per Icon Giorgia Surina

C’è stato un momento in cui il Novecento, giunto al massimo delle tensioni, ha messo a nudo la propria carne viva. Accadeva a New York, mentre il secolo, scollinati gli anni Sessanta, affrontava l’infernale discesa dei Settanta: la musica, l’arte, la mondanità di Manhattan, ormai capitale del glamour occidentale, prevalevano sulla Londra dei Beatles, dei Rolling Stones, di Mary Quant. In quel tumulto, Bianca Jagger c’era. Guance scavate, sorriso insolente, sguardo predatore, il volto scolpito dalla luce offriva esotica e misteriosa seduzione, impastata del fascino millenario delle civiltà precolombiane e del tratto secco dei moderni fumetti. Fuggita dal Nicaragua adolescente per studiare a Parigi, Bianca era fresca sposa di Mick Jagger e mamma di Jade, quando nel 1971 si faceva notare tra le ragazze più belle e sexy del mondo, quelle che facevano corona ad Andy Warhol.

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Bianca Jagger nell’interpretazione di Giorgia Surina
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INAFFERRABILE, SEMPRE — Oggi sappiamo che è stata un inno alla vita in una banda della morte. Il gossip la definiva “la smagliante nicaraguegna”, i paparazzi la fotografavano col seno appena velato sotto gli occhi di Warhol che, stregato, «ne sbircia ogni mossa», e sì che “Miss Andy Warhol” si dichiarava non solo gay ma anche asessuato («prima volta a 23 anni, ultima a 26»). Neppure per un attimo si era potuta confondere tra le “groupie”, quelle che il londinese Times bollava come «ragazze che provocano deliberatamente rapporti sessuali con le popstar». Nel romanzo dell’underground, Mick Jagger è per Bianca un “visto e preso”, anzi strappato (a Marianne Faithfull e a squadre di fan che si infilavano nel letto di Mick). Il 12 maggio 1971, al matrimonio con Jagger, Bianca è incinta di quattro mesi e ha una linea che, nel municipio di St. Tropez, le permette di indossare una giacca a un bottone di Yves Saint Laurent sulla pelle nuda.
Ci sono fidanzamenti che finiscono felicemente, altri con il matrimonio, dice una proverbiale battuta. È il caso di Bianca e Mick, confermato da lei stessa, quindici anni dopo, in una dichiarazione al Daily News: «Il mio matrimonio non è mai cominciato: è finito il giorno delle mie nozze». L’unione sopravvive sette anni solo perché marito e moglie si frequentano poco. Fanno notizia sui tabloid, ognuno per conto suo: Mick per i suoi tour, Bianca per il soggiorno prolungato a New York, nello Studio 54, dove entra anche a cavallo.

CORTE DANNATA — Nello scenario della Grande Mela la leggenda di Andy Warhol trascolora in tragedia. Le bellissime della sua corte scompaiono: la modella e attrice Edie Sedgwick suicida a 28 anni, nel 1971; la modella coetanea di Bianca, Donyale Luna, a 34 anni, distrutta dalla droga, nel 1979. La “smagliante nicaraguegna” ha vinto la sfida contro l’oscura fascinazione della morte con l’arma più forte: l’intelligenza. Ha coltivato la sua tempra battagliera, che anche il tempo ha svelato sul suo viso maturo, dove le espressioni insolenti sono diventate grintose, illuminate da uno sguardo da tigre. Ed è rimasta felina, anche ora che, bisnonna, il sex appeal è all’ombra dell’impegno di animatrice di una sua fondazione benefica e ambasciatrice di molte organizzazioni umanitarie. Ma in quell’ombra si vede chiaramente che il lavoro del tempo non può cancellare il fascino che nasce dal cervello.  

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Foto: Simon

Styling: Tanya Jones

Hair: Patty Bussa @Greenapple
Make-Up: Letizia Carnevale @Greenapple