Rush, Hunt-Lauda da applauso

Rush, Hunt-Lauda da applauso

di Nicolò Minerbi

L’abbiamo visto in America. E ci siamo innamorati del film che richiama il mito, la passione per la Formula 1 e per la coppia di piloti

Tutto inizia con un James Hunt (Chris Hemsworth ) ferito che entra in ospedale. Scalzo. Ma questa non è solo una delle primissime scene, è anche un perfetto trailer del film. Perché Rush alla fine è proprio questo: passione, colpi di scena (anche per chi la storia la sa già) e sano machismo. Del resto, per raccontare il campionato del mondo di Formula 1 del 1976 servivano giusto un bullo, il biondo australiano appunto, un po’ di pupe in ordine sparso (Joséphine de La Baume, Natalie Dormer, Olivia Wilde e Alexandra Maria Lara) e un secchione, Daniel Brühl. Una miscela resa esplosiva dalla rivalità tra il Jim Morrison del volante, l’inglese Hunt (McLaren), uno tutto feste, donne e rock and roll e il ragioniere della Formula 1, l’austriaco Niki Lauda (Ferrari).

Certo poi la regia di Ron Howard ci mette del suo, condendo la fotografia impastata con i colori caldi e le immagini sgranate, cose che ricreano in maniera impeccabile il mood di quegli anni ’70, tutti sigarette, vinili e macchine fotografiche a pellicola. Un vero e proprio almanacco del vintage. Ma certo, questa è solo la cornice. Nel mezzo dell’immagine sempre e solo macchine. Quando le donne di Hunt escono di scena. Fuorigiri, sgasate, controsterzi, sorpassi: di Ferrari da Gran Premio, Tyrrel a 6 ruote o Lancia Fulvia guidate tra i vigneti.

La storia è bella (e vera, anche se romanzata) e ben raccontata. Il ritmo c’è e le scene imperdibili pure, ma due valgono tutto: l’autostop della futura moglie di Lauda, nella quale tutti gli italiani faranno finta di non riconoscersi, e un’altra, quasi alla fine. Quando un Hunt festereccio, neocampione del mondo, trova un Lauda chiuso nell’hangar a lucidare il suo aereo. È lì che si dice ‘la’ battuta. E non svelo niente se la riporto a spanne. Parla Hunt: ‘…basta Niki, non mettere in mezzo i numeri, sennò addio sport‘. Il 1976 è passato alla storia della F1 proprio per questo motivo qua, anche se nessuno se n’era accorto. Perché poi non sarà più la stessa cosa. La massima serie dell’automobilismo sportivo ha avuto un prima, tutto passione, follia e anche morte (meno due piloti ogni anno) e un dopo. In mezzo questo ’76. Poi sono arrivati i numeri, i calcoli e tanto marketing, che pian piano hanno messo un freno al cuore. Insomma, Rush racconta la storia di quell’anno lì, di quel passaggio epocale, dei suoi miti e dei suoi eroi.

Questa, la trama del film. Ma poi c’è anche il perché, di un film. Eccolo. Rush non è un documentario. È uno spot: due ore di pubblicità alla Formula 1. Ha anche i ritmi da spot e ovviamente c’è dentro tutto quello che serve per tenerti inchiodato lì davanti, senza farti sentire minimamente la necessità di cambiare canale. Velocità, riprese concitate, passione, gioia e dolore, miti e leggende, tutto perfetto per far incuriosire nuovi appassionati. Tipo gli americani, o i cinesi. Uno spot che colpisce quelli che hanno bisogno dell’effetto ‘wow’ dell’incidente di Lauda o degli stravizi del playboy Hunt. E di quattro ruote per tutte, quelle di una Ferrari. Come se non bastasse, poi, le riprese a bordo raccontano tutto con un linguaggio da telefonino. Una presa diretta 2.0. Roba perfetta per quelli della Silicon Valley (mercato principe per le supercar, guarda caso). Ma perché? Perché l’Europa che le macchine le fa ancora meglio di tutti, le macchine non le compra più come prima. Per questo c’è bisogno di qualcun altro che lo faccia. E per fortuna che c’è Hollywood, che propaganda stili di vita, che esporta modelli di consumo (e non è un caso che proprio negli Stati Uniti il film è promosso da SRT, la divisione sportiva di Dodge – quindi Chrysler, quindi Fiat, quindi Ferrari). Che fa sognare i clienti, ops, spettatori. Girato con America e Asia in testa, insomma, Rush piacerà anche in Europa, dove la storia raccontata è stranota. E piacerà proprio perché è stato fatto per far innamorare. Colpo di fulmine o ritorno di fiamma?