Come e quando berla, con i consigli dello chef Rodrigo Oliveira, che nel suo Mocotò vanta una carta di oltre 400 etichette

Lo chef Rodrigo Oliveira, bello e solare come solo un brasiliano sa essere, giovane (l’età di Cristo) ma praticamente cresciuto in cucina (Mocotò, il ristorante di famiglia quest’anno compie 40 anni, mentre inizia a farsi strada la nuova costola Esquina Mocotò, aperta lo scorso giugno, entrambi a San Paolo) è la persona giusta a cui chiedere le 5 migliori cachaça del Brasile, perché in carta il suo locale ne vanta oltre quattrocento etichette divise per regione, e serve una media di trentamila caipirinha all’anno.

Perché in realtà tutti sanno cosa è una caipirinha, ma pochi che cosa sia la cachaça, ovvero quell’acquavite brasiliana ottenuta dalla distillazione del succo di canna da zucchero che del noto cocktail carioca (insieme a lime, zucchero bianco e ghiaccio) costituisce la base.

Oliveira, portavoce della new-wave brasiliana, in cucina è sostenitore della “gastronomia democratica” (“perché voltare le spalle alla gente semplice con cui abbiamo condiviso gli inizi?”) e di una cucina naturale, artigianale ma soprattutto inclusiva (quale opposto di esclusiva), accanto ai tavoli vuole il banco-bar, accanto ai piatti la lista dei cocktail: e questo gli ha già valso il riconoscimenti di “Ristoratore dell’anno”. 

Ecco la sua top five con le relative regioni di provenienza delle etichette, raccontataci a Milano durante l’ultima edizione di Identità Golose:

João Mendes Traditional, quella bianca, la più adatta per fare una buona caipirinha (Minas Gerais)

Jacuba Ouro invecchiata 2 anni in botti di rovere, ideale per i piccoli shot (Minas Gerais)

Weber Hauss Ouro invecchiata 2 anni in botti diumburana (quercia di Bolivia), dal sapore dolce, aromatico e leggermente speziato (Rio Grande do Sul)

Serra Limpa, biologica, una delle più forti, solo per “tough guys” (Paraìba)

Rochinha Helios, invecchiata 18 anni, per celebrare momenti speciali (Rio de Janeiro)