Vini bianchi fermi per la primavera
(Credits: fatihhoca/iStock) – 3 aprile 2018

Vini bianchi fermi per la primavera

di Aldo Fresia

Tre consigli d’assaggio privilegiando produttori solidissimi e vini originali

Con l’arrivo della primavera siamo alla vigilia di un cambiamento delle abitudini per quanto riguarda il vino: tradizionalmente, infatti, la stagione calda coincide con un aumento del consumo di bianchi fermi, da bere freschi. Abbiamo chiesto ai sommelier dell’enoteca A&Co di darci qualche dritta d’assaggio. I prezzi sono tutti più che ragionevoli: fra i 12 e i 20 euro.

ENRICO IV
Da almeno un decennio è esplosa la moda dei vini dell’Etna, quelli fatti in altura e che, rispetto a molte bottiglie meridionali, hanno una gradazione alcolica minore e un’acidità maggiore. Nel corso del tempo abbiamo (ri)scoperto prodotti interessanti e di qualità, ma forse ci siamo un po’ seduti sugli allori e magari abbiamo voglia di qualcosa di famigliare, ma capace di scartare rispetto alla norma. Da questo punto di vista, una scelta valida è l’Enrico IV delle Cantine Valenti, che si trovano nella zona settentrionale dell’Etna, presso Passopisciaro. Si tratta di un bianco avvolgente, fatto con Carricante in purezza, meno acidulo di molti colleghi, con un bel residuo zuccherino e con un bellissimo bouquet olfattivo.

CALALUNA
Il Salento è stato un altro faro della moda di questi ultimi anni, che, se parliamo di vini pugliesi, ha messo sugli scudi soprattutto Primitivo e Negramaro. Recentemente l’attenzione degli esperti si è spostata un po’ più a nord, nella Valle d’Itria. Fra i produttori di questa zona merita attenzione la Cantina Paolo Leo, che ha portato avanti un lungimirante lavoro di ristrutturazione dei vigneti e di valorizzazione dei vitigni locali. Il suo Casaluna è ottenuto da Fiano in purezza ed è un vino fresco, vellutato, di pronta beva e molto versatile.

COSTA DI GIULIA
Ci spostiamo in Italia centrale e per la precisione nella zona di Bolgheri, uno dei centri gravitazionali della produzione vinicola toscana. Qui, all’inizio degli anni Ottanta, Michele Satta diventa pioniere di un’iniziativa, poi seguita da altri, volta a dimostrare la capacità di quest’area di esprimere eleganza e profondità anche nei vini bianchi, non solo nei rossi che ne alimentano la fama. Il suo Costa di Giulia mescola un 70% di Vermentino e un 30% di Sauvignon, ottenendo un prodotto che unisce l’acidità del primo con i profumi esotici (banana, ananas, eccetera) del secondo. È un prodotto facile da apprezzare, quasi ruffiano, nel senso buono del termine, e di indubbia qualità.