Dietro le quinte del marchio francese, dove le persone fanno la qualità

Come un profumo che popola la memoria d’immagini di un tempo lontano, anche un colore stringe nodi tra presente e passato. Così il giallo, tono dominante di tanti storici edifici milanesi, si lega con Hermès, che l’ha scelto come protagonista di una serie limitata di oggetti e accessori: variazioni sul tema, esercizi di stile su una stessa sfumatura. Un omaggio al capoluogo lombardo che coincide con la recente apertura in via Montenapoleone di una boutique di 600 metri quadri su due piani, ospitati in un palazzo neoclassico dalla facciata, inevitabilmente, giallo ocra. «Per noi inaugurare un negozio è come spalancare le porte della nostra casa e dare il benvenuto a nuovi ospiti. Ecco perché celebriamo l’evento con una collezione speciale, ogni volta unica. E quando sarà esaurita, non verrà più prodotta», spiega Pierre-Alexis Dumas, direttore artistico della maison francese.

E ORA PEDALA – Tra cravatte, foulard in seta, stivali e borse vestite di tinte altrove introvabili, chiede strada una primizia: «La bicicletta in pelle gialla. Una preview della collezione primavera-estate 2014. Abbiamo lavorato per due anni con i nostri designer per crearla». È l’ambasciatrice di un valore fondamentale per il brand: lo sport inteso come eleganza, attitudine a prendersi cura di sé, a divertirsi senza l’ossessione della competizione. Un’anteprima che raddoppia l’omaggio a Milano, fissa l’affinità anche con un nodo di numeri, con il giravite dell’aritmetica: «La nostra sede è al 24 di Rue du Faubourg Saint-Honoré, il nuovo negozio in via Montenapoleone si trova al civico 12. Dodici più dodici fa ventiquattro e questa somma è come uno specchio, l’immagine riflessa di una città gemella. Parigi e Milano hanno tanto in comune: sono dinamiche, vibranti, concentrate sull’arte, il design, la moda. Se fossimo nati in Italia, saremmo naturalmente milanesi».  

AGGIUSTARE TUTTO – Allora è evidente perché nella boutique, che ha preso il posto di quella in via Sant’Andrea, saranno presto disponibili alcuni servizi offerti soltanto in pochi indirizzi del mondo. Per esempio, dal 2014, le camicie su misura: un altro specchio, stavolta di un desiderio complesso, più consapevole dell’ebbrezza stordente di un piacere. «Viviamo in un mondo stracolmo di cose e il risultato è che stanno diventando banali, scontate. Ecco perché lavoriamo con materiali e tessuti di primissima qualità, che ci consentano di creare oggetti e capi pieni di significato. Unici perché vestiti di un tocco umano». Quel tocco che poi è il primo attore dietro le quinte di Hermès, dietro ogni cintura, valigia, dettaglio di stile di una bicicletta con l’abito giallo.

Lo testimonia una visita agli atelier di Pantin, poco fuori Parigi. Qui, in un edificio che ricorda un’alta piramide dalle mura di vetro, lavorano 250 artigiani, un decimo delle cinquemila mani che trasformano la pelle nelle numerose creazioni del brand. «Ognuno di noi sa realizzare un’intera borsa. Usiamo pinze, martelli, punte di ferro caldo, le nostre dita e i nostri occhi», racconta Jocelyne, 35 anni d’esperienza, prima di aggiungere: «Possiamo anche aggiustare tutto». E con questa nota d’orgoglio coincide la definizione che il direttore artistico dà del lusso: «È qualcosa che puoi riparare, smontare nei suoi pezzi. Significa che hai una conoscenza profonda di un oggetto». C’è di più: «Il lusso è la possibilità di continuare a imparare e trasmettere ad altri quello che hai imparato. Se non lo fai ti senti incompleto, hai paura che la tradizione che porti dentro di te possa perdersi, morire».

DUE SEGRETI – Hermès difende il suo savoir-faire, dunque se stessa, mantenendo vivo il vecchio binomio di bottega, il passaggio di competenze tra maestro e apprendista: da sei generazioni è il suo segreto per crescere. Uno dei due. L’altro Pierre-Alexis Dumas lo svela alzandosi dalla sedia e afferrando un bastone appoggiato in un angolo del suo ufficio di Parigi, una stanza luminosa colorata di oggetti di design, quadri, una scrivania firmata Enzo Mari, fotografie, colonne di libri, torri di fogli. In cima al bastone c’è la sagoma della testa di un cavallo: fissa l’osservatore con uno sguardo duro e occhi severi, finché non si attiva un meccanismo. Allora il cavallo si anima, apre appena la bocca e tira fuori la lingua: «Non prenderti mai troppo sul serio», sussurra Dumas. «È questo il segreto».