Justin Timberlake, dopo Runner Runner i Coen

Justin Timberlake, dopo Runner Runner i Coen

di Veronica Matella

Dialogo con l’icona pop che avrebbe voluto essere Frank Sinatra e che al cinema vestirà gli abiti, a lui sconosciuti, del perdente sconfitto

Gli chiedo se è vero che avrebbe voluto essere Frank Sinatra. L’aveva dichiarato in un’intervista, qualche tempo dopo aver comprato MySpace e aver interpretato The Social Network. Mi era sembrato un paradosso. Justin Timberlake mima una risata. ‘Verissimo. Adoro il passato. Sinatra, Dean Martin, Elvis, Sammy Davis jr, Bob Dylan. Era tutto molto più elegante, meno cinico. C’era meno business’. Ok, la nostalgia per lui è ancora quella di un tempo. E anche i capelli: come li porta adesso – corti dietro e lunghi davanti, tirati con il gel e con le mani, ben ordinati – ricordano quelli del suo idolo Sinatra. Indossa anche lo smoking, a ben guardare le foto da red carpet, con la stessa nonchalance.

Non è un caso che con Jon Hamm di Mad Men si scambino da mesi complimenti sulla reciproca eleganza: così stilosa, citazionista, vintage. Non è un caso che tra le sue mille attività (è anche golfista) ci sia quella di proprietario del marchio William Rast: jeans, ma poco easy e molto cool, ben radicati nell’eleganza americana doc. Per non parlare di Play, il ‘suo” profumo. Il suo prossimo film, dopo Runner Runner che esce il24 ottobre, racconterà la vita di Neil Bogart, il produttore di Donna Summer e fondatore di Casablanca Records: un altro Mr.Style, stavolta anni Settanta.



’Sono cresciuto con Marvin Gaye e Steve McQueen: se devo avvicinarmi, cito Michael Jackson e Grace Jones. Oggi tutto deve essere basic: soprattutto, deve vendere. Ai miei tempi, dovevi dimostrare di avere talento. Non era semplice, ma bastava quello. Invece adesso incrocio sempre più ragazzi dotatissimi, che però hanno a che fare con un’industria il cui criterio è ‘quanto possiamo guadagnarci subito, immediatamente?”. Il business c’è sempre stato, ma prima era nascosto dall’arte. La creatività aveva un valore. Io non ho mai smesso di ‘fare i compiti a casa’, come mi ha consigliato Kevin Spacey tanti anni fa: ‘Vuoi fare l’attore? Guarda tanti film. Vuoi cantare? Non smettere di ascoltare la musica degli altri’. L’ho trasformato nel mio motto. Anche mia madre è stata importante: ‘Hai un dono, non puoi sprecarlo. Ma ricordati che sotto i pantaloni sei uguale agli altri ragazzi’.

Ok, ma Sinatra? ‘Una volta sono stato paragonato a lui. Dissi che era un onore. Lui è sempre stato uno dei miei idoli. Era grandissimo in tutto. Nessuno era come lui. E lui non era come nessuno’. 

In fondo, è così anche Justin Randall Timberlake, nato a Memphis Tennessee il 31 gennaio 1981 (‘A 8 anni dissi a mia madre che volevo provare a fare spot e tv. Fossi rimasto lì dove sono nato non avrei fatto altro che ubriacarmi e mettere incinta una ragazza. Ma il mio miglior amico abita ancora lì’). Ha cominciato la sua carriera nel club di Topolino, ha cantato con gli NSYNC e poi da solo (11 album, 7 col gruppo e 4 da solista), è diventato attore (‘Ho lavorato con Jeff Bridges, David Fincher, Clint Eastwood’).

A metà gennaio uscirà in Italia Inside Llewyn Davis, il film dei fratelli Coen presentato all’ultimo Festival di Cannes. Timberlake interpreta l’amico/collega del protagonista (Oscar Isaac, miglior attore del festival), un cantante folk nella New York del 1961, prima che arrivasse Bob Dylan e si ‘mangiasse” tutti. ‘Perché abbiamo scelto JT? Canta bene, è un cultore di tutta la musica ed è anche un bravo attore’, hanno risposto i Coen a chi faceva loro presente la scelta, troppo pop e poco arty, di puntare su uno che ha venduto 20 milioni di dischi, è stato fidanzato con Britney Spears (anche con Cameron Diaz in verità) ed è, comunque lo si prenda, Justin Timberlake. 


Nel senso che lui è uno che ha sempre vinto. Nel film, come ci si aspetta dai mitici fratelli, invece c’è spazio solo per i loser, gli sconfitti dalla storia. Nel caso specifico, quella della musica. Non deve essere stato facile per lui calarsi in un ruolo che non conosce affatto. A marzo è uscita la prima parte del suo terzo album, The 20/20 Experience: in una settimana ha fatto il record di vendite dell’anno. A settembre, è toccato alla seconda. Time l’ha inserito tra i 7 a cui ha dedicato la copertina del numero sulle 100 persone più influenti del mondo. Con Jay-Z, quest’estate ha riempito spazi e teatri, duellando in smoking Tom Ford, microfono in mano e consorti super glamour (Bejoncé e Jessica Biel, bella sfida…) in prima fila.

Come fa uno così a diventare un loser credibile? ‘Il protagonista dorme sui divani degli amici. I folk singer non avevano soldi, ma amavano così tanto la musica che incidevano dischi a spese proprie e vivevano sulle spalle dei conoscenti. A ma non è mai successo, ma ricordo una notte passata all’aeroporto di Amsterdam in attesa della coincidenza perché non potevo permettermi l’albergo. Sono cresciuto in una piccola città, Shelby Forest, fuori Memphis: sono sicuro che se il successo finirà, ci tornerò… Non appartengo a Hollywood, ma all’America rurale. Dalle mie parti non si sono mai visti i Led Zeppellin, i Rolling Stones, neppure Michael Jackson… Li ho scoperti alla radio: ecco perché preferisco ascoltare, che vedere la musica. Anche se, da quando faccio l’attore, mi accorgo che recito mentre canto. Nel film dei Coen ho due canzoni e ho collaborato alla colonna sonora. Per prepararmi ho letto The Mayor of MacDougal Street, libro favoloso scritto da un vero musicista dell’epoca, Dave Van Ronk. Ma il mio personaggio si ispira a un altro artista, Paul Clayton. Nella scena in cui cantiamo al Gaslight Café – nel 1961 era un locale mitico del Village, ma ora non esiste più -, a ispirarci sono state le immagini del vero trio Peter, Paul & Mery: 500 Miles, la canzone che cantiamo nel film e che ha inciso anche Dylan, era loro. Ringrazio i Coen perché mi hanno fatto di nuovo suonare la chitarra: non avevo mai smesso, ma per preparami l’ho fatto con metodicità e mi sono ritrovato a muovere le corde esattamente come mi ha insegnato mio nonno. Lavorava alla caserma dei pompieri, faceva parte del coro della chiesa battista e suonava col suo vicino di casa. Sa come si chiamava? Elvis Presley. Che tempi…’.