Dopo Firenze e Milano tocca a Parigi accogliere la Moda Uomo per la primavera estate 2017. Ecco il meglio day by day

Dopo i “numeri” di Pitti a Firenze e una Milano Moda Uomo più soft, ma con le idee ben chiare su quello che saranno le tendenze della prossima stagione calda e che ha calato il sipario con sua la massima espressione di milanesità raccontata da Giorgio Armani, il testimone passa nelle mani di Parigi.

Firenze e Milano, filo conduttore il viaggio. Di stile, di passione, di bellezza. Con lo zaino in spalla, protagonista indiscusso, colmo del necessaire per la sopravvivenza, arrancando sulle montagne, allestendo campi tendati in una foresta o sognando un relitto in cui immergersi per scoprirne antichi tesori. Ma il viaggio è anche attraverso una moda che, va bene lo show, perché piace, emoziona e crea interesse sui social network. Ma quel che conta, alla fine è la sostanza. Quella che si compra nei negozi, quella che si indossa nella quotidianità.

E così ecco che, all’Hôtel Salomon de Rothschild, Valentino, percorre una nuova strada. Il suo viaggio esplora il mondo dell’arte del fare, quello incompiuto, non finito. Come se per la fretta si fosse costretti a partire senza terminare il lavoro. Per la primavera estate 2017 il bello, per Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli, è l’incompiuto. Come gli orli delle maglie che penzolano da polsi pallidi, con i fili strappati, i colli delle camicie tagliati di netto e i bordi sfrangiati di blouson, spolveri e pantaloni dalle vite alte e cinte sottilissime. Il défilés sembra animarsi dalla mostra di Unfinished: Thoughts Left Visible che il Met Breuer dei New York in questi mesi dedica al complesso tema del non finito. La silhouette rimane fedele al dna della Maison. Pulita, lineare, netta. Ancora una volta ecco il gioco di sovrapposizioni. Camicie di seta sventolano su maglie in cotone accollate incorniciate da lunghissimi trench stretti al polso da cinghie in pelle. Ritorna il camuflage, ormai segno distintivo del brand. Così come le borchie che però si fan più sottili come punti luce su bomber in seta ricamati e biker jacket in pelle nera. Anche il chiodo si reinventa e sfila in canvas, crema o military green, con patch in cotone applicati sul petto e sulle maniche che si alternano poi a tute in denim stone washed e parka senza cappuccio, con broderie anglaise, o con stampe pantera che i direttori creativi della maison hanno ripreso da una seta Valentino Couture del 1967 e che attualemente è in mostra al Chicago History Museum.

Un altro viaggio. L’ispirazione è un ricordo. Quella della sua infanzia in Botswana, in Africa. È con queste immagini negli occhi che Kim Jones disegna gli abiti della collezione della prossima primavera estate di Louis Vuitton. L’Africa (sarà anche per il caldo atroce della location in cui sfila la collezione) ritorna costantemente, mescolandosi a tratti con una Londra punk ribelle. Stampe animalier, giraffe che sembrano disegnate a mano su sete lucide e impalpabili, giacche con dettagli saharienne e pelli esotiche. Ma il nuovo gentleman viaggiatore nasconde nella valigia una personalità ribelle. È quella del Punk londinese che si mescola alla perfezione, però, con il savoir-faire della Maison affermando così la sua identità. La palette di colori è dominata da tutte le sfumature della Savana in cui si distinguono tratti Renegades e altri punk. Dai raincoat in gomma trasparente che lasciano intravedere maglie mohair chiuse fino al pomo d’Adamo con zip e cinghie da paracadute alle giacche con striature animali e tomaie con fantasie zebrate. Il tutto si sposa al classico tartan inglese e al collare archetipo del Punk ripreso dagli archivi LV. Il contesto moderno ne trasforma la percezione. Che è anche il riassunto dell’approccio di questa collezione. Viaggiare tornando al progetto, all’essenza, usando il vecchio per creare il nuovo.

Ancora un ricordo d’infanzia. Questa volta è quello di Kris Van Assche che porta gli ospiti della sfilata Dior Homme a fare un giro sulle montagne russe del lunapark di Anversa in cui trascorreva le sue domeniche pomeriggio quando era ragazzino. Il set è un intricato percorso di ferro e luci colorate lampeggianti che fanno da contorno ad una collezione che oscilla tra il Punk e la New Wave mescolati ad elementi sport. Ecco coì bomber geometrici e denim suer skinny. Pantaloni tubolari e maglie a rete. Giacche con le maniche tagliate e con occhielli metallici dal qule passano lunghi lacci di sneaker da tennis, i parka poi si mescolano a calzoni tagliati al polpaccio che sfiorano alti boots militari. Il nero, ancora una volta, domina. Concesso qulche accenno di rosso, verde e check.

Dall’Africa all’India. La collezione di Issey Miake Men sfila sul sound rock psichedelico della band Kikagaku Moyo in una live jam esclusiva. Gli abiti si ispirano ai costumi della tradizione di Varanasi. Design minimal, tessuti morbidi e increspati, filati ritorti che sfumano dalla palette dei bianchi più caldi ad un gioco di chiari-scuri sovrapposti fino alla vivacità di pattern multicolor su camicie in cotone e abiti in canapa con venature marmoree. Tutte le stampe sono realizzate a mano da abili artigiani che utilizzano diversi blocchi per ogni design. E poi giacche leggere e giacche-camicie con collo a listino, pantaloni con fascia alta in vita e orli tagliati a vivo per un risultato sofisticato e rilassato.

Sfilano su soundtrack Anni Novanta anche i supergiovani di Kenzo che sembrano appena usciti da un rave in qualche club di Los Angeles. Probabilmente Carol Lim e Humberto Leon se li ricordano bene quegli anni perché lo show è un tuffo nella vita da club con un’invito che raccoglie una ventina di flyer dei migliori discoclub della west Coast. In passerella luci stroboscopiche e arte murale. I ragazzini escono in gruppo. Pantaloni e bomber di nylon, boxer altissimi che escono da pantaloni con vita abbassata, sovrapposizione di felpe e t-shirt over con logo fluo, impermeabili scuri su leggins da corsa con stampe folli, poi ancora maglie a righe e completi polo e shorts in pelle monocolor. Ai piedi stivaletti arcobaleno, sandali indossati con le calze di spugna e mocassini a punta con calzino al ginocchio.

L’Asia ritorna nuovamente. Questa volta sulla passerella di Kolor. I volumi sono una mescola di proporzioni. Cappotti oversizes e pantaloni tagliati, maglie traforate e trench vestaglia, giacche tre bottoni e doppipetto senza forma. Sui capi protagoniste le stampe con check e pattern asiatici che sfumano dal blu al grigio fino al verde Veronese con accenti fixia che compaiono qua e là su pantaloni e raincoat.

Hermes sfila in un giardino di ortensie fiorite sotto i portici dell’Università servendo agli ospiti flùte di champagne ghiacciato. Protagonista la pura leggerezza quintessenza del nuovo vetement objet. La collezione è un’alternanza di blouson morbidi e cardigan, pantaloni da equitazione e blazer quattro tasche. E poi giacche duo o tre bottoni, pullover reglan, polo micro traforate e bermuda a contrasto, pellami leggerissimi che diventano bomber a maniche corte double face o calzoni svolazzanti. Le nuance per la prima vota si fanno notare, blu cobalto e viola porpora, giallo solfureo, verde petrolio e blu navy.

Tra le palme di Los Angeles nasce poi la collezioni firmata Francesco Ragazzi, Palm Angels. Woodstocke, sexual revolution, freedom e psychedelic sono le keywords che il comasco già Art Director di Moncler, utilizza per descrivere la collezione. Il tutto ha inizio da uno degli scatti fotografici raccolti nel libro Palm Angels. Giovani skater che ricordano un altrettanto giovane Jimi Hendrix sfilano immersi in una nuova Woodstock. Polo extralarge e doppiopetto, pantaloni della tuta e canotte traforate, shorts, raincoat e stivali di gomma. Tra le stampe ritorna il camouflage su tute da meccanico e completi sartoriali due bottoni, poi rose all over su abiti pijama indossati anche dalla donna. E poi giacche in suede frangiate, giubbotti over in denim strappato e felpe con toni psichedelici.

Colori, parecchio brillanti, anche sul round di Sir. Paul Smith che ha inviato agli ospiti della sfilata per la presentazione della nuova collezione un paio di calzini rigorosamente a righe con stampato il numero del seat. Giallo, rosso, verde e blu: sono i colori della collezione e di un centinaio di cocktail rinfrescanti che hanno accolto gli invitati alla Bourse de Commerce. Si stagliano sulle maglie a maniche lunghe, sui colletti delle polo, sui pantaloni finestrati come bandiere jamaicane. È questo il mood e il sound dello show. I modelli sfilano sorridendo (è cosa rara) portando con disinvoltura giacche a spalle larghe ma morbide, pantaloni con fit rilassati, blazer gialli, arancioni e verdi abbinati a espadrillas in corda e sneaker alla caviglia.

È l’ultima, ma solo per ordine cronologico di calendario, la sfilata show di Thom Browne che questa volta ha davvero superato le aspettative. Una spiaggia nera, un surfista con una muta smoking che attende, con sguardo grigio, che gli ospiti si accomodino ai propri posti. Poi il buio e poche note si una musca che tutti cooscono bene. È la colonna sono del film Lo Squalo scritta da John Williams. Entra in scena il primo look. Abito grigio dal quale fuoriesce una pinna dorsale e pantaloni biforcuti, una maschera con la testa di uno squalo che continuerà a girare minaccioso per la durata dello show. Poi l’ingresso dei modelli con abito muta in neoprene oversize che nasconde frac e spolveri gialli e arancioni come sorbetti serviti a bordo piscina, bianchi pina colada e ricami con fiori di inisco e tavole da surf. In scena, nel frattempo, sono arrivati gabbiani e pappagali colorati mentre lo suqlo continua a terrorizzare i surfisti che nel frattempo rimangono in costume e sfoderano tavole da surf con i colori della Maison. Uno show che ha fatto sorridere anche le facce di pietra delle prime file.