Vincent Cassel, fotografato da Max Vadukul, è l’uomo icona del numero di Icon in edicola. Tra amore, ricordi e nuove sfide a Rio de Janeiro

Testo di Riccardo Romani, Foto di Max Vadukul, Styling Ilario Vilnius.

Vincent Cassel vive nel lusso sfrenato. Si muove per le vie del Marais parigino usando uno scooter, si ferma nelle brasserie a scambiare battute coi camerieri come fossero vecchi compagni di scuola e non sa bene che sarà della sua vita nei prossimi tre mesi. Forse neppure nella settimana entrante. L’unica cosa certa è un aereo da prendere tra 24 ore, destinazione Rio de Janeiro, il luogo in cui ha scelto di vivere. È quel tipo di lusso, il trionfo della normalità.

Quando ordina un espresso dentro a un bistrot che sta in Rue Vieille du Temple, due signore sedute a poca distanza ne colgono la presenza. Parlano di nipoti e si lamentano delle rispettive figlie a voce alta; una di loro, la più anziana, lo nota inarcando un sopracciglio per cedere subito a un principio di fervente curiosità. Poi zittisce l’amica colpendola lievemente col gomito per richiamare la sua attenzione sull’uomo seduto di fronte a loro. Da queste parti è il massimo dell’invadenza che un attore – tra i più popolari al mondo – può aspettarsi.

Definirei Parigi come un’ottima via di mezzo tra Roma e Londra

«La gente ti riconosce e la cosa fa comunque piacere, ma non esagera mai». E prosegue: «Mi piace tornarci, è un po’ casa e poi ci lavoro. In Brasile però ho trovato un dimensione diversa, sono completamente a mio agio. È proprio questo è il lusso: poter fare la vita che si desidera. La maggioranza delle persone possono solo sognare di partire, lo programmano tutta una vita, e non è detto che ci riusciranno. Sono fortunato».

Ha un bisogno di muoversi che se lo mangia vivo e dà l’impressione di poter fare almeno tre cose allo stesso tempo. Si dibatte tra progetti di lavoro, doveri familiari – due figlie e l’ex moglie Monica Bellucci sempre molto presenti – e il desiderio contagioso di non perdersi niente. Qualcuno ha detto che avrebbe traslocato a Rio spinto dalla passione per il surf. Ovviamente Vincent è troppo sofisticato per ridurre il tutto a una semplice battuta: «È vero, il Brasile ha un litorale fantastico per gli amanti del surf ma le ragioni sono molto più profonde. È un insieme di fattori, in verità erano anni che pensavo di trasferirmi. È un’attrazione forte per la musica, per il cibo, per il clima e poi naturalmente esiste un elemento intangibile, qualcosa che fatico a spiegare. Ha a che fare con quello stato di reset in cui un posto come Rio ti fa sentire d’incanto».

RR     Un luogo comune sul Brasile che è stato costretto a rivedere?
VC     Quello secondo cui brasiliani sono lenti. In verità sono professionali, hanno uno spirito d’iniziativa vibrante. E poi non sono così bloccati da tradizioni secolari e convenzioni come noi in Europa. È un Paese giovane, la metà della popolazione è composta da ragazzi. Sono dotati di enorme spontaneità che rende le cose più semplici.

RR     Qual è invece il luogo comune che i brasiliani coltivano nei confronti dei francesi?
VC     Francesi e brasiliani hanno una lunga e solida tradizione di rapporti sociali e culturali. A Rio ci sono più francesi di americani e forse anche italiani. Insomma, ci conoscono bene. L’unica cosa è forse che ci ritengono un po’ snob. E me lo lasci dire, mi sa che hanno pure ragione.

RR     Cos’è diventato per lei recitare? Che cosa sente, rispetto agli inizi della carriera?
VC     È molto più facile. Mi sento più rassicurato rispetto alle mie capacità. Il livello di competizione rispetto agli altri attori diminuisce e dunque puoi dedicarti a progetti che ti diano grande emozione, con meno apprensione. Puoi scegliere con attenzione e ti muovi provando a lavorare con persone che stimi, con chi ti fanno crescere, migliorare, oppure con artisti giovani. E poi diventi più cauto, fare film costa un sacco di soldi e bisogna tenerlo bene in mente.

RR              Esattamente 20 anni fa usciva L’odio, il film culto che la consacrò come attore. Raccontava la storia di tre giovani tormentati provenienti dalla difficile banlieu parigina. Quando è successa la tragedia di Charlie Hebdo ha ripensato a quei ragazzi emarginati? Parigi forse non è così cambiata?
VC     Credo che Parigi sia cambiata, pur mantenendo il ruolo di leader culturale europea, soprattutto per quello che succede fuori dai circuiti tradizionali dell’arte, della musica e così via. Non ho pensato ai ragazzi de L’odio perché la rabbia di allora non aveva alcun connotato religioso. Fatta questa premessa penso che i problemi legati alla vicenda Charlie Hebdo non abbiano nulla a che vedere con la religione e sono comuni a molti Paesi nel mondo che devono misurarsi con il tema dell’immigrazione. È una questione d’identità, che è attuale oggi come allora, in Italia, in America a Parigi, ovunque. Parlare d’islamismo, di omofobia o di attentati vuol dire fermarsi ai sintomi e dunque evitare il problema che è più profondo e complesso. La questione riguarda la ripartizione demografica ed economica della nostra società, una ripartizione che è subìta pesantemente da una parte soltanto della gente, che ne soffre. È una storia molto europea, ha a che fare con la colonizzazione e con le sue conseguenze. E neppure il razzismo c’entra. Se le cose vanno male, se ti senti sotto pressione, cominci a notare il tuo vicino e a vederlo diverso, trasformandolo in una ‘giustificazione”.

RR      Sembra che più che trasferirsi in Brasile, lei abbia lasciato la Francia.
VC     C’è una parte di verità. Una delle ragioni per cui me ne sono andato è che questa società ti mette sempre di fronte a scelte nette. Prenda la questione Israele-Palestina: in Francia non è possibile essere un personaggio noto senza per forza prendere una posizione, che poi è una cosa molto francese. Se qualcuno mantiene uno status neutro o comunque non ritiene di doversi esprimere, non è scusato oppure è giudicato. In Brasile non verrebbe mai in mente a nessuno di farti una domanda del genere.

RR      I 50 anni sono alle porte. Come si vive questo traguardo?
VC     Ci si arriva meglio che si può, ma le confesso che io ci trovo anche un sacco di lati positivi. Certo, fisicamente te ne accorgi. Il tuo corpo non risponde più come prima, i dolorini, una certa spontaneità dell’organismo declina. Non ne faccio un dramma.

RR      Se un critico cinematografico dovesse scrivere una recensione su di lei come padre, che cosa le piacerebbe leggere?
VC     Diciamo che se qualcuno dovesse scrivere una recensione su di me come padre, non vorrei che fosse qualcuno di esterno alla mia famiglia. Detto questo, l’ultimo che vorrei che lo facesse è un critico cinematografico… Premesso ciò faccio tutto quello che posso, do il meglio di me e spero di fare bene. Di sicuro ho un attaccamento e un senso di rispetto per la famiglia che sono molto profondi. Ma non in senso religioso, quanto in senso morale. È una questione di educazione, di responsabilità.

RR      Hanno smesso di farle domande su Monica
Bellucci, la sua ex moglie, specie gli italiani?
VC     Mah sì, probabilmente hanno finalmente capito che la mia famiglia – come dicevo – è un blocco granitico e di conseguenza c’è ben poco da scavare. Con Monica ci sentiamo spesso, condividiamo molte cose, non solo due figlie. E così sarà sempre.

RR      Cosa si aspetta oggi dall’amore?
VC     Non mi aspetto nulla anche perché non sono ancora certo di avere trovato una definizione per questa parola. Sicuramente rappresenta qualcosa di molto diverso rispetto a quando avevo 19 anni. È un tema complicato. E a quest’età si scoprono altre forme di amore, come quella per i propri figli, che rendono ancora più difficile trovare una spiegazione al tipo di amore di cui lei mi chiede. Non so, davvero.

RR      Il film che avrebbe voluto fare?
VC     Birdman, davvero eccezionale. E poi Yves Saint Laurent, un film elegante, bello.

RR      Cosa le rimane dentro dell’Italia e a cosa invece rinuncerebbe?
VC     Tenga presente che io sono corso e mia nonna mi tirava su a piatti di spaghetti alla chitarra dicendo parecchie parole in italiano. Quindi non mi sento così lontano dalla vostra cultura. Grazie a Monica poi ho conosciuto meglio il Paese, che adoro. Cosa cambierei? La promiscuità e il cinismo.

RR      La promiscuità intesa come invadenza?
VC     In Italia ti siedi in un luogo pubblico e chi ti sta accanto è un potenziale paparazzo. Esiste questa cultura che ignora confini e intimità che a volte può essere difficile da gestire.

RR      Questo ha danneggiato la sua vita personale?
VC     Assolutamente no. La mia è una famiglia solida, non ci facciamo toccare da fattori esterni. Diciamo però che è una cultura che rende tutto più complicato.

RR      E il cinismo?
VC     Sembra che voi italiani non crediate più in nulla. È una cosa che mi rattrista. Poi però il cinema trova due giovani talenti come Sorrentino e Garrone e capisci che allora non è tutto proprio come sembra. Che c’è ragione di sperare.

Stylist assistant: Will Guimarães;

Grooming: Max Bitte.

Si ringrazia: Belmond Copacabana Palace e KLM, Royal Dutch Airlines.