3 buoni motivi per guardare il documentario di Pelé su Netflix
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3 buoni motivi per guardare il documentario di Pelé su Netflix

di Digital Team

Con le sue imprese memorabili, Pelé ha segnato la storia del calcio mondiale, portando la nazionale brasiliana a vincere per tre volte il titolo mondiale. Un documentario prodotto dal regista Kevin Macdonald e disponibile su Netflix, ne racconta le imprese sul campo e la vita privata, negli anni tra il 1958 e il 1970.

Se sia stato il calciatore più forte di tutti i tempi non sta a noi giudicarlo. Certo è che Pelé, in Brasile, è un eroe. Prendendo a calci un pallone, è riuscito in un’impresa ancora oggi unica nel suo genere: vincere ben tre Coppe del mondo. Un idolo del campo da calcio e non solo, che ha portato gioia e speranza ai suoi connazionali in un periodo turbolento e di grandi cambiamenti politici. Diretto da David Tryhorn e Ben Nicholas, “Pelé: il re del calcio” condensa in due ore di immagini d’epoca e testimonianze inedite, i successi del calciatore Edson Arantes do Nascimento. Ecco tre buoni motivi per guardare il documentario di Pelé su Netflix.

Conoscere l’uomo dietro al campione

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Da piccolo pensava che suo padre, in arte Dondinho, fosse il calciatore più forte del mondo e sognava di emularne le gesta. Pelé è sempre stato legato alla famiglia, mostrando un grande senso di responsabilità fin da quando scendeva in strada a lucidare le scarpe dei passanti pur di raccogliere qualche soldo da portare a casa. Ed è proprio una promessa fatta al padre a sancire l’inizio del documentario sulle sue imprese. Quando la nazionale brasiliana viene sconfitta ai mondiali del 1950, il piccolo Edson Arantes do Nascimento afferma che avrebbe vinto la Coppa del mondo per il papà. E di titoli mondiali, nella sua carriera, ne ha conquistati addirittura tre. Tra alti e bassi, periodi di insicurezza e fragilità, oltre al fascino magnetico del campione, il documentario di Kevin Macdonald mostra il lato più emotivo di Pelé, che ancora oggi si commuove quando pensa alle bandiere del Brasile che sventolavano per lui e alle folle che gridavano il suo nome.

Ripercorrere i successi mondiali di Pelé

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Quando il padre lo ha portato per la prima volta sul campo da gioco del Santos, squadra all’epoca pressoché sconosciuta, Pelé non aveva paura di niente. Con la sua grande personalità, a 16 anni era già un calciatore professionista, tanto da essere convocato in nazionale per giocare –e vincere – i mondiali del 1958 in Svezia. Con le parole del papà bene in mente “Non preoccuparti, devi essere te stesso. In campo siamo tutti uguali”, conquista il secondo titolo mondiale nel 1962 e, al rientro in nazionale dopo aver segnato il millesimo goal in carriera, nel 1970 porta a casa il record dei record, vincendo la terza Coppa del mondo della sua vita. Il documentario “Pelé: il re del calcio” ripercorre vittorie e sconfitte del campione grazie alla sua testimonianza diretta, insieme ai ricordi dei compagni di squadra come ZagalloJairzinho e Rivellino.

Comprendere il suo ruolo come simbolo di emancipazione del Brasile

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Il calcio, per il Brasile, è stato una valvola di sfogo e di speranza. Nel 1950, quando le partite si potevano guardare solo allo stadio, al Maracanã c’erano duecentomila persone speranzose di vedere la propria nazione risollevarsi grazie ai successi di questo sport. La sconfitta fu definita il Grande Fallimento Nazionale e fu solo grazie a Pelé che questo sentimento venne ribaltato. Ad attenderlo vittorioso al rientro dai mondiali del ’58, con una spinta positiva che prosegue fino all’inizio del regime dittatoriale, ci sono folle impazzite di gioia. Trattato come un re, Edson Arantes do Nascimento diventa il simbolo dell’emancipazione brasiliana. Per le strade si avverte la “febbre da Pelé”, grazie alla quale tutti vogliono emulare le sue gesta. Idolo di ogni bambino, anche dei più poveri, ha spronato intere generazioni a vivere i propri sogni e migliorarsi per poter arrivare al successo. Non è stato solo un calciatore, ma un’istituzione nazionale, senza mai schierarsi a livello politico, tanto da essere definito la “stella che brillava nel grigiore della dittatura brasiliana”.

Pelé non ha fatto la differenza. Lui, per i brasiliani, è stato la differenza.

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