Addio a Franco Battiato, il rivoluzionario della musica
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Addio a Franco Battiato, il rivoluzionario della musica

di Andrea Giordano

Franco Battiato, scomparso a 76 anni, ci lascia un vuoto enorme, ma un’eredità culturale, a cui tutti oggi dovrebbero guardare

Profetico e all’avanguardia, sperimentale e irrazionale, autore colto e impegnato, abile visionario e menestrello. 

Franco Battiato e il suo modo di interpretare l’arte, la musica, il cinema, la vita, sono stati da apripista per molti, rendendosi lui stesso, come uomo e personaggio, inimitabile, non solo nello stile, ma nell’affrontare in primis il linguaggio delle immagini e delle emozioni. A 76 anni è volato via, dopo una lunga malattia, proprio a Milo, alle pendici dell’Etna, dove spesso ormai si rifugiava. E pensare che la carriera del grande cantautore siciliano era cominciata a Milano, al Club 64, esibendosi, chitarra in mano, approccio barocco e sofisticato, attirando l’attenzione, su tutti, di un altro immortale, Giorgio Gaber, che ne scoprì allora l’assoluto talento di cantore. Lo lancerà infatti poi, insieme a Gregorio Licata, con cui formò il duo Gli ambulanti, verso l’etichetta Ricordi, alla casa discografica Jolly, suggerendogli addirittura di cambiare il nome, da Francesco a Franco, visto che nell’Olimpo c’era già ‘un certo’ Guccini. In quell’inizio di santità autoriale, la fine degli anni ‘60, il periodo legato al cambio di passo generazionale, delle rivolte studentesche e in piazza, arrivano così i primi singoli di protesta, La torre, Le reazioni, Il mondo va così.

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Ma è con l’incombere degli anni ‘70 che Battiato comincia a marcare il proprio territorio, mixando suoni e sapori, dall’etnico al rock progressivo, lo psichedelico, utilizzando l’elettronica, i sintetizzatori, proponendo così concept album, tipo Fetus, che osano, parlando di società distopiche, formule matematiche, connessioni surreali, Pollution, incentrato sul tema dell’inquinamento, o Clic, dedicato alle sonorità di Stockhausen. Viaggi innovativi, minimalisti, accorati, alternativi, che prendono forma in tracce quali Energia, Mutazione, Il silenzio del rumore, I cancelli della memoria, diventando tra le voci e penne maggiormente originali. Il gusto, la necessità, di prendere il sentiero più tortuoso, è stata una delle sue componenti caratterizzanti, la sua cifra: dal romanico al melodico, dal teatro all’opera lirica, dal cyberpunk al pop, dalla musica classica al citazionismo d’omaggio, si è rifatto a nomi, tra gli altri, come Marcel Duchamp, Leopardi, Proust, Carducci, Veloso, Fabrizio De Andrè. Leggende, esempi letterari.Una ricerca appassionata, complessa, che con l’avvento degli anni Ottanta ha culminato oltremodo nel successo da hit parade, in un gioco di contaminazioni, versi eleganti, chiamati a dare la sveglia e la svolta in chi li ascoltava. La voce del padrone, album-capolavoro in questo senso, realizzato esattamente 40 anni fa, fece il resto con tracce memorabili, Centro di gravità permanente, Bandiera bianca, Cuccurucucù, rimanendo una delle tappe di esplorazione più significative, capaci di fare la differenza, portandolo però ad altri “Orizzonti perduti”.

Quasi impossibile raccontarne tutte le gesta, se non rivedendo anche qualche film da regista, mal compreso, eppure coerente nella sua ottica anticonvenzionale e anarchica: Musikanten, Perdutoamor, Niente è come sembra, i documentari su Giuni Russo, Gesualdo Bufalino, il buddismo. Riascoltando, recuperando, soprattutto altri LP, gioielli intrisi di umanità e coraggio, pieni di desideri, malinconie, gioie e dolori: L’arca di Noè, con una meravigliosa Radio Varsavia, Fisiognomica, Giubbe Rosse, Come un cammello in una grondaia, Gommalacca, la Trilogia dei Fleurs, Ferro battuto, Il vuoto, L’imboscata, in cui emerge nel suo splendore l’ennesima perla, La cura, che fa leva proprio sul valore terapeutico di musica e parole. Di nuovo. Proprio quegli elementi così scontati, naturali, talvolta dimenticati, che con lui si sono elevati a qualcosa di più alto ed irraggiungibile.