Nasce un movimento transnazionale per ridare dignità alla cultura del caffè, annacquata da furbi franchisee e cattive abitudini

Mettereste il latte nello champagne? Sicuramente no. Allora perché farlo nel caffè? Se lo sono chiesti i proprietari di ‘The Barn’ a Berlino, un bar dedicato alla cultura del caffè che vieta tassativamente ai clienti di aggiungervi latte e zucchero per assaporarne meglio l’aroma. Ma se The Barn è il più estremista, di certo non è l’unico bar a seguire la cosiddetta Third Wave Coffee, un movimento che considera questa bevanda un alimento artigianale, come il vino e il cioccolato, non una semplice merce, e aspira alla più alta forma di apprezzamento del suo sapore in tutte le sue sfumature. E allora largo alle piccole torrefazioni locali, al chicco di qualità proveniente da piantagioni specifiche, al caffè monorigine contrapposto alla miscela, ai metodi di preparazione alternativi, alle riviste e ai blog dedicati ai “coffee-nerd”, fino ai workshop frequentati da hipster che notoriamente si alimentano soltanto di cibi bio e local. A Berlino oltre a ‘The Barn’, i bar-torrefazioni più noti sono Bonanza Coffee Hero e Five Elephant. Ma il trend è diffuso a livello internazionale. A Capetown c’è il Truth Coffee, con un’ambientazione steampunk vittoriana; a Miami il Panther Coffee  tosta i chicchi in loco; Londra ha creato addirittura il Department of Coffee and Social Affairs.