Un’installazione che gioca tra spazi, memorie e sentimenti. Per definire la figura del padre.

Una casa nella casa, con tanto di piatti sporchi, libri, oggetti, frasi scritte a mano, una chitarra e le lucine di Natale. È quella che ha realizzato Federica Perazzoli per la sua installazione dal titolo Mas que nada. Come la celebre canzone, che il padre dell’artista cantava continuamente. Proprio nel tentativo di definire la figura del padre, quindi di celebrarla e poi distruggerla, Perazzoli crea questa opera d’arte architettonica, in cui lo spettatore deve entrare e interagire con gli spazi e con le cose. Il risultato è un lavoro romantico e poetico, accogliente e respingente allo stesso tempo, dove il padre, scomparso quando l’artista era bambina, viene evocato più che ricordato.

Come spiega il curatore Giorgio Verzotti, quello di Perazzoli è una sorta di Merzbau, l’opera che ha reso celebre l’artista Kurt Schwitters caratterizzata da uno spazio interno astratto, in cui pareti, soffitto e l’intero ambiente sono invasi da svariati oggetti e costruzioni. Qui si distinguono tutti i singoli oggetti, ci si perde a guardarli uno a uno e a tradurre le frasi dal francese per entrare in un universo che viene messo a disposizione del visitatore, che lo accoglie apertamente. Ma allo stesso tempo, il caos generale in cui il visitatore si trova immerso risulta respingente, quasi a obbligarlo a rimanerne estraneo, a starne fuori.

L’opera, concepita per la 16esima Biennale di Architettura di Venezia, conta due spazi, uno interno e uno esterno, dove la retorica della libertà negli spazi aperti è estrema e resa da enormi tele in cui, una volta di più, il visitatore si perde in un caos di materiali pittorici. Perfetti per entrare in un bosco artistico e sentimentale quanto per rifuggirlo.

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Federica Perazzoli, Mas que nada

Galleria Massimodeluca, Mestre (Venezia), fino al 15 settembre