Golden Globes 2021: vince Nomadland
Courtesy of Searchlight Pictures.

Golden Globes 2021: vince Nomadland

di Andrea Giordano

Assegnati nella notte i prestigiosi Golden Globes, che da “Nomadland”, al compianto Chadwick Boseman, premiano i migliori della stagione, lanciando la volata ai prossimi Oscar.

La stagione dei premi cinematografici (e televisivi) si è ufficialmente aperta nell’inedita cerimonia virtuale dei 78esimi Golden Globes, assegnati dalla stampa estera, diventati da tempo ottimi indicatori per gli Oscar, in programma il prossimo 25 aprile, prossimi ad uno scenario diviso in più luoghi, tra cui lo storico Dolby Theatre di Hollywood. Una notte inedita, simbolica, sotto tutti i punti di vista, che ha visto le due host del programma, Tina Fey ed Amy Poehler, dividersi (in presenza) tra Los Angeles, al Beverly Hill Hilton, e la Rainbow Room di New York, in un puzzle tecnologico di smartphone, collegamenti (e relativi intoppi), nel quale, i presentatori, si sono susseguiti per annunciare i vincitori, tutti rigorosamente invece a casa, in smoking o abiti da red carpet, chi in poltrona, chi circondato dai figli e le famiglie. 

Courtesy of Searchlight Pictures.
Frances McDormand, protagonista di Nomadland

Coraggio, inclusione e desiderio di cambiare.

Questi alcuni dei temi rivendicati, ma che poi si sono riflessi anche nelle scelte più importanti, soprattutto per quella andata al miglior film drammatico (già Leone d’Oro all’ultima Mostra del Cinema di Venezia), ovvero Nomadland, diretta dallo anglo-cinese Chloè Zhao, premiata anch’essa come miglior regista (solo la seconda donna a vincere nella categoria dopo Barbra Streisand). Trionfa dunque l’America, di ieri e oggi, sulla breccia del racconto umano, nell’esperienza filmica interpretata da Frances McDormand, capace altresì di esplorare il paesaggio fisico e morale dell’anime dei suoi personaggi, evocando il grande ritratto di frontiera e di ricerca, nello stile epico di Jack Kerouac. I nomadi moderni, in cerca di se stessi e di ascolto, via dalle loro esistenze – prigione, troppo sedentarie, piena di delusioni, difficoltà e e ricordi, si ritrovano in un poema pieno di lirismo, impreziosito dalle tante storie che lo compongono, dai valori universali, l’amicizia, il confronto, l’empatia, la condivisione, il desiderio di rinnovarsi. È il titolo dunque che si candida seriamente alla statuetta dell’anno.

Gli attori

Qualche sorpresa e alcune conferme. Quella più dolorosa, arriva per il riconoscimento al miglior interprete drammatico per Chadwick Boseman, già straordinario Black Panther, venuto a mancare l’anno scorso per un cancro al colon. Un trionfo postumo (che potrebbe ripetersi adesso) per Ma Rainey’s Black Bottom (visibile su Netflix), un salto nel passato, alla Chicago anni ‘20, celebrando la “madre del blues”, Ma Gertrude Rainey e un’epoca d’oro tornata ulteriormente di tendenza. Così la sua band, e quel trombettista Levee, da lui impersonato, il più anarchico e ambizioso del gruppo, che sogna per se, e gli altri, un futuro migliore e lontano dal razzismo. Ed a proposito di ruoli – simbolo ecco arrivare il premio (miglior attore non protagonista) a Daniel Kaluuya, in Judas and the Black Messiah, bravissimo nel diventare Fred Hamton, tra i leader maggiormente carismatici de il movimento delle Pantere Nere, ucciso a soli 21 anni nel 1969. Rivoluzione e potere delle proprie azioni. A completare il carnet maschile, come miglior attore brillante, ci pensa allora un anticonformista navigato come Sasha Baron Cohen (doppietta se consideriamo il Golden come miglior film commedia-musical) andato grazie al sequel irriverente di Borat Subsequent Moviefilm, uscito su Amazon Prime Video.

Courtesy of Berlinale
Jodie Foster in “The Mauritanian”

Le attrici

Seppur da non protagonista, bellissimo il ritorno alla vittoria di Jodie Foster in The Mauritanian (sarà presentato all’imminente Berlinale), già doppio Premio Oscar (Sotto accusa e Il silenzio degli innocenti) che così prova a lanciare la volata per la terza statuetta. E coglie un riconoscimento per nulla atteso invece l’attrice-cantante afroamericana Andra Day, miglior attrice drammatica nel film-debutto, The United States vs. Billie Holiday, impersonando nientemeno che Billie Holiday, altra icona musicale. E se consideriamo che Soul, film d’animazione Pixar, incentrato sempre sul jazz ha portato a casa due premi, tra cui la colonna sonora, il jazz torna prepotentemente a farsi sentire. Chiude il cerchio Rosamund Pike, brillante, per una volta, miglior interprete per I Care a Lot, prossimo su Netflix.

Piccolo “grande” schermo

Cinema a parte (seppur in streaming, orfani del grande schermo), a trionfare davvero sono le serie televisive, in particolare la quarta stagione di The Crown (in onda su Netflix), che sfiora l’en plein: miglior serie drammatica, migliori interpreti (Emma Corrin, Josh O’Connor e Gillian Anderson) rispettivamente nei panni di Lady D,Carlo d’Inghilterra e Margaret Tatcher). Un successo ormai consolidato, scritto, pensato da Peter Morgan (già sceneggiatore di The Queen), capace davvero di mettere d’accordo tutti, pubblico e critica, rivelando nuovi volti in chiave futura. Trionfo che incontra pure uno dei prodotti seriali più belli visti nella stagione, La regina di scacchi, che conquista i premi di miglior miniserie, e per la sua protagonista, Anya Taylor Joy. Le altre statuette sono andate poi a Mark Ruffalo (I Know This Much Is TrueUn volto, due destini), John Boyega per Small Axe, diretto da Steve McQueen, e Catherine O’Hara in Schitt’s Creek.

L’Italia e Jane Fonda

Laura Pausini, insieme alla veterana Diane Warren, ha vinto il Golden Globe per la miglior canzone originale, Io sì, scritta per La vita davanti a sé, diretto da Edoardo Ponti, con una sontuosa Sophia Loren. Un riconoscimento di valore enorme, se consideriamo cosa questo premio potrebbe portarle tra poco più di un mese e mezzo. Alla fine, a fare la differenza, rimane però sempre una, e sola, leonessa, Jane Fonda (Premio Cecil B. DeMille alla carriera) l’esempio migliore, nel parlare a tutti, oltre gli schermi del computer, oltre le diversità.