James Dean, tra mito e leggenda
Courtesy by Michael Ochs Archives/Getty Images

James Dean, tra mito e leggenda

di Andrea Giordano

A 90 anni dalla nascita, celebriamo l’icona per eccellenza, ribelle e anticonformista, che ancora adesso continua a influenzare le generazioni.

Allora e sempre Gioventù Bruciata. Ieri, come oggi, 90 anni fa esatti (era l’8 febbraio 1931) nasceva James Byron Dean, ragazzo dell’Indiana, con quel richiamo al poeta inglese, chiamato a inseguire il sogno americano, creando il suo mito, oltre il tempo. Simbolo dunque di una generazione, degli anni ‘50 (e delle prossime a venire) che dopo la prematura scomparsa, a soli 24 anni, nell’ormai celeberrimo incidente a bordo della propria Porsche Spyder 550 (la “Little Bastard”), si è consacrato nell’Olimpo degli immortali, scolpendo la sua immagine di bellezza. Un obiettivo: continuare a dettare tendenza, condividendo un nuovo modo di vivere, recitare, indossare certi capi.

Anticonformista puro, come lo fu a sua volta Marlon Brando, “maledetto”, spregiudicato, ma versatile, anche nella sua inquietudine (e forse ‘ingenuità’) nel mostrare sensibilmente al pubblico il suo vero io, senza filtri, schemi, regole, o semplicemente paura. Un (giovane) ribelle senza causa (Rebel Without a Cause, il titolo originale del suo secondo film), leader solitario, inconsapevole ed epocale, per personalità e carisma, capace di dar prova di coraggio, elevandosi, e mettendosi letteralmente alla guida, nonostante l’età, prima di tutti gli altri. Diviso, come fu prima dell’ascesa, tra i corsi di ballo, violino, gli studi di legge, per essere un avvocato, o magari un ottimo procuratore, fino a quando non abbandonò invece nel tentativo di imboccare la strada più difficile: l’Actor’s Studio di Lee Strasberg, Hollywood, la fortuna, l’eternità.

Dean e la sua leggenda d’attore, pure da pilota e amante delle corse, vista in tre soli film, ma memorabili. Il primo, del 1955, fu La Valle dell’Eden (East of Eden) dove interpreta Cal Trask, nell’adattamento del romanzo di John Steinbeck, diretto da Elia Kazan: un debutto fulminante (prima nomination all’Oscar postuma), di talento e vera improvvisazione, nel quale raccontare l’angoscia esistenziale, incompresa, disperata, caratteristiche ricorrenti, di un personaggio in cerca di approvazione (del padre) e di riconciliazione verso un mondo. Seguiranno appunto Gioventù bruciata di Nicholas Ray, un manifesto sociale, entrato nella grammatica di sempre, in cui il “suo” Jim Stark, sfidando la sorte, i rituali, si fa oltremodo portavoce di una società allo sbando, priva di ideali, incapace di comunicare. E ovviamente Il Gigante (The Giant), un melodramma storico, pieno di conflitti, rivalse, conquiste, dove, interpretando il proprietario terriero Jett Rink, diventa definitivamente unico, e per cui riceve la seconda nomination consecutiva. Istinto e innovazione dunque (fin dalle origini), per provare ad aprire orizzonti diversi, anticonvenzionali, sganciandosi dagli stereotipi e zone confort, portando sul set, nei ruoli, in maniera trasparente, se stesso. 

Come virtuoso, precursore, traducendo l’esperienza in arte, affinandola, per farsi esempio, concetto, filosofia, ispirazione, e soprattutto moda. Dean seppe infatti sdoganare la semplicità, rendendola non solo pratica, funzionale, basica: addosso a lui i jeans, i denim Levi’s 501, furono un urlo di negazione, rivendicando la sua ansia di vita, quanto “la fretta di morire”, diventando, parallelamente, un “costume” sociale moderno, elegante, seduttivo, rivoluzionario. Da ribelle gentiluomo e sofisticato, scombinò, generando pure dei look da vecchio e selvaggio west, fatti di cappelli, cardigan e stivali d’ordinanza. E così fu nell’indossare i maglioni a V, a girocollo, arrotolandosi la camicia sulle braccia in senso di sfida, portando le T-Shirt bianche sotto un bomber leggero, il famoso Harrington rosso, magari dalla zip aperta, o avvolgendosi in un cappotto dal bavero alzato, a spasso per New York, immortalato da Dennis Stock per Life. Dean e la tendenza nel ridefinire i gusti e lo stile, sempre con nonchalance, essenzialità, prosegue il cammino e continua a fare la differenza. Un interprete dei nostri tempi, che oltremodo non lascia eredi, seppur qualcuno c’abbia provato (in)direttamente: dal compianto Luke Perry, James Franco (che vinse un Golden Globe in un biopic televisivo), a Dan DeHaan, protagonista in Life di Anton Corbijn.

In fondo, però, nessuno come lui, in quel saper osare, da esteta anarchico della porta accanto, in quel desiderio di rimanere vivo, di essere il migliore a recitare il cambiamento.