Maurizio Vegini, Landscape Festival: “Vorremmo fare di Bergamo la città del Paesaggio”
Foto: adicorbetta

Maurizio Vegini, Landscape Festival: “Vorremmo fare di Bergamo la città del Paesaggio”

di Marta Galli

Fortemente impattata dalla pandemia, Bergamo ha diversi modi di ripartire. E uno è il Festival I Maestri del Paesaggio che qui si svolge da 10 anni catalizzando l’attenzione internazionale. Abbiamo intervistato Maurizio Vegini, presidente e fondatore della società organizzatrice del Festival.

Sono dieci anni che nella Piazza Vecchia a Bergamo Alta va in scena Landscape Festival – I Maestri del Paesaggio (fino al 20 settembre) e sarebbe stato facile immaginarsi una grande festa. Ma a Bergamo, epicentro della pandemia di Covid-19, quest’anno si respira un’atmosfera diversa. «Abbiamo trasformato la manifestazione in un gesto simbolico che fosse adeguato al contesto e rappresentasse una ripartenza e un auspicio di ritorno alla socialità» commenta Maurizio Vegini, presidente e fondatore di Arketipos, l’associazione organizzatrice del Festival.

Fulcro dell’installazione sono decine e decine di tavoli in abete, frassino e faggio creati da Michele De Lucchi, architetto di fama mondiale, che arredano il pavimento a quadri della piazza assieme a migliaia di piantine autoctone e forestali – come carpini, gelsi, ciliegi, ginestre, cornioli – e 22 giovani querce, alberi fortemente allegorici, destinate al giardino (Green to the People) che verrà realizzato all’ospedale Papa Giovanni XXIII, anche grazie al fatto che tavoli e piantine possono essere portate a casa e le querce adottate a fronte di una donazione liberale (c’è tempo fino al 31 dicembre per aderire alla raccolta fondi).  

Intanto il Festival ha spostato online le lezioni di paesaggio a cui è possibile prenotarsi dal sito della manifestazione, e ha invitato l’intera città a partecipare con eventi diffusi. È infine in arrivo un libro – il Green Book – che ripercorre le passate edizioni della rassegna e le installazioni che hanno trasformato la Piazza Vecchia in un giardino da vivere. Abbiamo intervistato Maurizio Vegini.

Quest’anno il giardino si sposta all’ospedale della città e vuole essere un segno di speranza.
Infatti, al giardino effimero che ogni anno occupa la piazza in questa occasione abbiamo preferito un’opera permanente: un giardino che potrà essere utilizzato dal personale sanitario e dai pazienti. Una sorta di monumento verde moderno. 

Il Festival chiama a raccolta (questa volta necessariamente da remoto) i protagonisti del paesaggismo e del garden design internazionale. Come siete riusciti a creare un evento di tale portata?
Tanta forza di volontà, è stato un percorso con molti ostacoli. A osteggiarci era soprattutto la frangia radical chic della città e certi intellettuali che vedevano come un oltraggio deturpare con un allestimento quel che viene ritenuto alla stregua di un luogo sacro. La stessa città era divisa: a prendere le nostre difese c’erano Carlo Pesenti di Italcementi e tutta la stampa. 

Ostacoli nonostante l’indotto?
Nonostante 35 mila presenze, di cui oltre un quarto straniere, che trascorrono in città almeno una notte. Siamo il quinto festival regionale in una classifica capitanata dal Festival della Letteratura di Mantova. Alla fine comunque il conflitto si è esaurito all’arrivo di una grande star internazionale quale l’olandese Piet Oudolf nel 2018.

Pensa che progettisti di giardini come Piet Oudolf potranno eguagliare un domani in fama architetti come il nostro De Lucchi, o Rem Koolhaas, connazionale dello stesso Oudolf ?
Difficile dirlo, giardini e verde pubblico non spostano i budget dell’architettura ma certo Oudolf nel suo settore è un grandissimo maestro. Ha cambiato il modo di fare giardini raccogliendo un trend che va oltre il mondo del verde e del paesaggio. Oggi si predica il ritorno alla natura, un modo di mangiare più naturale, auto ecologiche e sostenibilità. Quel che lui ha messo a punto è un giardino moderno: a bassa manutenzione – oltre che dall’aspetto spontaneo – richiede solo uno sfalcio annuale. 

È vero che la sensibilità ai temi del verde in Italia è cresciuta?
La sensibilità c’è solo a parole, perché manca il know-how. La stessa installazione di Oudolf qui in Piazza Vecchia ha collezionato molte critiche: “Cosa sono queste erbacce?”, “Che disordine!”, “Cos’è questo secco…?”.  Una disciplina nuova deve entrare a tutti i livelli, dalla popolazione alle amministrazioni. Serve un’educazione. 

Quindi siamo al paradosso di un festival importante per il settore in un paese che ignora quel settore?
Il paesaggismo in Italia è un tema negletto: non si sa neanche chi siano i paesaggisti. Al contrario, qui gli architetti possono in pratica fare tutto. In questo momento c’è persino un disegno di legge che invece di dividere le due professioni – paesaggista e architetto –  le vuole riaccorpare. Ma nel mondo sono due figure che vanno sempre più distinguendosi e seguono percorsi di studio diversi fin dall’inizio. Per dire come vanno le cose all’estero faccio sempre un esempio.

Ci dica.
Si tratta di aneddoto che ci ha raccontato Cino Zucchi quando è venuto qui. Era l’anno dell’installazione di Lodewijk Baljon. Bene, Zucchi era stato in Olanda per partecipare a un concorso d’idee per la costruzione di un nuovo quartiere ad Amsterdam – così raccontava -, e aveva iniziato a esporre i suoi piani su come sistemare gli spazi del quartiere. Ecco che l’immobiliarista lo aveva allora preso in disparte dicendogli: “No senti, tu sei architetto: tu fai gli edifici. Baljon fa tutta la parte attorno”. Il paesaggista decide dove vanno i volumi e l’architetto costruisce i volumi. Questo per dire che in Italia il paesaggista è ancora un accessorio dell’architetto, all’estero si lavora assieme. 

Come vede il futuro?
Per quel che riguarda la manifestazione diventa di anno in anno più importante, ma l’ambizione per il futuro è quella di poter far nascere, qui a Bergamo, in collaborazione con le università di Milano Politecnico, Firenze e la tedesca Weihenstephan, un corso di laurea quinquennale di paesaggismo, proprio come si fa negli altri paesi. All’Università di Weihenstephan nel ‘47, dopo la seconda guerra mondiale, hanno pensato di istituire 6 ettari e mezzo di campo sperimentale. Da noi il paesaggismo si studia in centro a Milano e gli studenti non vedono una pianta. Ma d’altra parte in Italia ci entusiasmiamo per il verde verticale dimenticandoci il verde orizzontale, quello obbligatorio. Vorremmo cominciare a cambiare le cose qui da Bergamo, e fare di questa la città del paesaggio.