Libri da viaggio: quattro consigli di letteratura on the road

Libri da viaggio: quattro consigli di letteratura on the road

di Giacomo Alberto Vieri

Tornare a viaggiare, con la sensazione di libertà sulla pelle. Ma mai senza un buon libro. Ecco le nostre letture per il presente, dedicate questa volte alla piacevolezza dell’errare.

Sono mesi astrusi, quelli che ci precedono. Giorni di isolamento, barriere, timore, seguiti da un inno alla ripartenza, tanti stendardi colorati appesi alle finestre del cuore: ognuno a modo suo ha ripreso a camminare. Difficile fare previsioni sul domani, quasi impossibile programmare lunghi viaggi. Eppure l’energia non resta immobile, e alla bell’e meglio si cerca l’altrove, tutti quanti. Le valigie saranno forse un po’ più leggere, terremo meno cose fra le mani, quest’estate, ma è questione di farci l’abitudine. Dopotutto nulla, più di questo concetto, sembra essercisi scritto addosso. Ci si abitua, si sopporta.

Bruce Chatwin: ‘Che ci faccio qui’

“Che ci faccio qui” (Adelphi) è apparso per la prima volta nel 1989: impossibile sarebbe stato, da allora, dimenticare Bruce Chatwin, fine e sagace romanziere che con questa raccolta di episodi cominciata a mettere insieme a pochi mesi dalla morte suggellò il suo talento di osservare i luoghi, a tutte le latitudini, dalla Cina all’Africa, dal Nord al Sud del mondo, facendone sempre, soprattutto, lo spazio delle persone. Indira Gandhi, Diana Wreeland, Werner Herzog, incontri del quotidiano e spunti per guardare il qui ed ora, ma da infinite angolazioni. Con la sua prosa asciutta, l’occhio raffinato e penetrante del narratore, Chatwin ci ha consegnato una memoria intimista, e quel titolo bellissimo tradotto fedelmente “What am i doing here?” diventa l’essenza della ricerca e forse una provocazione di cui sovente la società ci chiede conto. Che ci facciamo, tutti, qui? Chatwin, per scoprirlo, non si è mai fermato.


Antonio Tabucchi: ‘Viaggi e altri viaggi’

“Non è mai solo ‘quel’ luogo: quel luogo siamo un po’ anche noi. E un giorno, per caso, ci siamo arrivati”, parole di Antonio Tabucchi, autore, su tutti, del celebre “Sostiene Pereira”, penna acuta e fertile, con i piedi nell’oceano dell’amatissima Lisbona e le mani protese verso orizzonti a perdita d’occhio, in “Viaggi e altri viaggi” (Feltrinelli) Tabucchi fa esperienza di strade e città, di luoghi-totem, di simboli e cultura, li racconta con la speranza di consegnare al lettore uno stupore continuo, la meraviglia del cammino così come quella della sosta. Etnografia descrittiva, geografia delle emozioni: le parole di Tabucchi capriolano fra il dentro e il fuori, fra l’occhio del viandante e la luce del faro nei porti dove l’anima, migrando, approda. Raccontare un luogo significa “riuscire a dire, anche in minima parte, le emozioni che vi ha lasciato”.


Simona Vinci: ‘Nel bianco’

Simona Vinci, vincitrice del Premio Campiello nel 2016 con “La prima verità” più di dieci anni fa scrisse “Nel bianco” (Neri Pozza), un testo dall’apparenza delicatissima ma con radici ostinate che sarebbe riduttivo confinare nella sezione reportage letterario. Dopo un viaggio in Groenlandia, sparsa fra la voglia di trovare risposte e il bisogno di capire che oltre l’orizzonte candido, di neve e ghiacciai, esistono domande ancora aperte che ci aspettano trepidanti, l’Autrice trova il coraggio di mettersi in discussione e lo fa osservando un popolo emarginato e resiliente, gli Inuit, fra cui si confonde a cavallo fra narrativa e giornalismo.

Solitudine e comunità, gesti piccoli, apparentemente noiosi, che incarnano il semplice agire dell’uomo, paure e sfruttamento: dal racconto emerge il ritratto di un popolo che difende la propria casa e che marcia compatto. Gradualmente si affacciano, non senza timore, come i richiami della balena per Melville, i dubbi dell’Autrice. Ci accompagna, Lei, nella testimonianza e nella ricerca di un posto dove stare.


William Least Heat-Moon: ‘Strade Blu’

E concludiamo questo “viaggio da fermi” con una perla della narrativa americana, ‘Strade Blu’, di William Least Heat-Moon (Mondadori). Proprio attraverso le blue highways, strade statali secondarie del paese, seguiamo un professore trentottenne, appena licenziato e reduce dalla fine del proprio matrimonio, che dormendo nel retro del suo furgone, evita le metropoli e si mescola fra la gente dei piccoli paesi, frequenta i bar, conosce individui bislacchi e geniali, osserva il grande paese del sogno mentre, in cambiamento, cerca spiegazioni e alimenta i pensieri dei giovani con sogni di gloria. Procediamo con ritmo incalzante, grazie al tono disincantato, sempre attento, dell’Autore, attraverso stati e contee, facciamo tesoro di volti, proverbi, provocazioni.

Restiamo gli unici testimoni della vita di William Trogdon, dei suoi inciampi e delle opportunità di rilancio.

L’America degli anni ’80, ambientazione storica del romanzo, trasla e muta in continuazione. Ha forme, valori, e opportunità molto lontane da quelle dell’oggi. Per capirlo basta leggere queste pagine ma “Tutto quello che hai visto” scrive l’Autore citando un canto Navajo “ricordalo, perché tutto quel che dimentichi ritorna a volare nel vento”.