Mercato dell’arte: le letture per aggiornarsi e approfondire

Mercato dell’arte: le letture per aggiornarsi e approfondire

di Luca Zuccala

Le novità editoriali e i grandi classici per districarsi nel mondo tanto intricato quanto affascinante del sistema dell’arte contemporanea.

Non ci resta che leggere. Con aste, fiere, biennali posticipate (o del tutto cancellate) e il baraccone dell’arte pronto a rimettersi in moto (vaccino volendo) la prossima primavera, non rimane che la via della carta. Aggiornarsi o approfondire, o solo introdursi e iniziarsi al magico mondo dell’arte contemporanea e al suo mercato, magma ammaliante e ineffabile costellato tanto di scandali e speculazione (ultimo il caso di Inigo Philbrick), quanto di bellezza (motore, assieme al denaro, dei giochi) e seduzione.

Proviamo a districarci nei meccanismi di quel sistema definito, calandoci così subito nella questione che vogliamo trattare, “luna park” (Simone Facchinetti in Storie e segreti dal mercato del’arte, il Mulino) e “circo barnum” (Montanari e Trione, in Contro le mostre, Einaudi), attraverso il meglio dell’editoria di settore uscito negli ultimi anni.

Ci limitiamo alla frazione di tempo di un lustro perché, oltre a rappresentare le pubblicazioni più aggiornate, delimitano il nostro campo a un foglio di pagina. Ci muoviamo in quell’orizzonte (anche editoriale) liquido e osmotico che oscilla tra la definizione dilatata e fumosa di “arte contemporanea” e i cinici meccanismi del mercato dell’arte degli ultimi decenni. Quel “microambiente culturale che ha cercato per cinque decenni di rinnovarsi continuamente, ricorrendo a tutta una serie di mode più o meno effimere che si presentavano sotto nomi provocatori e preoccupandosi soltanto di mantenere sotto il controllo di pochi galleristi, collezionisti e mediatori rapaci, con la complicità delle istituzioni pubbliche, il diritto alla legittimazione e alla consacrazione di prodotti che solo nominalmente potevano essere definite «opere d’arte», ma erano in realtà feticci artistici”. Parole di Mario Perniola, compianto filosofo d’arte, che introducono il suo L’arte espansa (Einaudi). Agile pamphlet che verte sulla “svolta fringe dell’arte contemporanea”: l’inserimento di un’opera e del suo autore in un complesso sistema di relazioni al fine di legittimare qualcosa che non si riesce a manifestare autonomamente come tale. Con una considerazione-questione su tutte, se “qualunque cosa può essere trasformata in ‘arte’, anche senza che il suo autore ne sappia nulla, chi ha la legittimità e l’autorevolezza per operare questa metamorfosi?”. Argomentazioni che poggiano su radici solidissime, da Lo Stato culturale e Parigi-New York e ritorno di Marc Fumaroli, al Il complotto (e la sparizione) dell’arte di Jean Baudrillard, fino a La civiltà dello spettacolo di Mario Vargas Llosa e L’inverno della cultura di Jean Clair, solo per citarne alcuni. Testi capitali che anticipano la vasta e instabile prospettiva in cui gravita oggigiorno il cosiddetto artsystem, immerso nel pantano a lustrini delle mode, del glamour e delle perversioni della finanza. Un ambiente volubile e capriccioso che, come ogni altro settore contaminato dall’ingordigia speculativa, è un gigante dai piedi d’argilla in attesa di collassare, confidando nella assoluta non volontà di ridimensionarsi e rimodularsi significativamente e soprattutto sapientemente.

Staremo a vedere. Intanto, dal 2005 ad oggi il mercato dell’arte ha raddoppiato il proprio volume di affari attestandosi tra i 60 e i 70 miliardi di dollari l’anno. Un palcoscenico su cui si consuma il gioco delle parti che vede in scena sempre gli stessi protagonisti: galleristi, consulenti, curatori (da non perdere sul “curazionismo” e il ruolo dell’egotica figura in questione, il bellissimo Curatori d’assalto di David Balzer edito da Johan&Levi), agenti e artisti viventi (“geni” oramai brandizzati come merce, asserviti a un gusto globalizzato) che creano opere iconiche, trofei perfetti per magnati alla ricerca di prestigio. Dalla considerazione che l’arte sia un conferimento di valore su un oggetto creato con intenzionalità artistica da parte proprio di questi attori, Pierluigi Panza, nel suo L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità finanziaria (Guerini), analizza la serie di pratiche di “costruzione del consenso” tese a creare un capitale di visibilità su un artista o su un’opera che si vuole promuovere. “Capitale” a cui, nell’ultimo libro di Marco Meneguzzo, si accompagna nella maniera più efficace l’aggettivo “ignorante” (Il capitale ignorante, Johan&Levi). Come condensare in due parole la quintessenza dell’atteggiamento della società nei confronti dell’arte contemporanea, oggetto di lusso e desiderio bramato da figure che ne ignorano l’essere e l’essenza. Figlie di un sistema economico fatto di strategie di marketing, creazione di brand e feticci di status symbol. Miscela corrosiva di potere finanziario e comunicazione. Così, dalla domanda-incipit “Che senso ha pagare 12 milioni di dollari per uno squalo tigre di 4 metri in una vasca di formaldeide?” prende spunto la pragmatica dissertazione direttamente dal ventre del sistema de Lo squalo da 12 milioni di dollari (Mondadori) di Donald Thompson. Una pietra miliare, cui ha fatto seguito, sempre dell’economista inglese, Bolle, baraonde e avidità (Mondadori). Inchiesta che fa luce sul mondo degli affaristi che guidano il mercato. Due capisaldi ai quali si è aggiunto lo scorso anno Dark side of the boom (Johan&Levi) di Georgina Adams: truffe, speculazioni, riciclaggio, evasione, paradisi fiscali. “Controversie, intrighi, scandali”, come recita il sottotitolo, in un sistema dove non è mai tutto oro quello che luccica.