Che la musica abbia inizio: benvenuti al The Eddy
Courtesy of Lou Faulon

Che la musica abbia inizio: benvenuti al The Eddy

di Andrea Giordano

Ecco la nuova serie targata Netflix, “The Eddy”, prodotta e diretta anche dal Premio Oscar Damien Chazelle. Un mix di incroci, personaggi e storie, tutti riuniti in un locale, ma ognuno trainato dalla propria musica.

Un jazz club può diventare crocevia di rituali, speranze, e la musica, nello specifico, serve a fare da collante, oltre il colore della pelle e la fede, per trainarci dentro un mondo e lì cercare di incorporarlo. Benvenuti dunque al The Eddy. La nuova serie, in onda su Netflix (presentata in anteprima, nei primi due episodi, all’ultima Berlinale) parte proprio da qui, raccontando i suoi personaggi e il loro desiderio di rifugiarsi, al riparo dal mondo esterno, e ritrovare se stessi, se possibile, raccogliendo i pezzi della propria vita. Il cuore di Parigi è la meta odierna, la città delle luci, la celebrata Ville Lumière, così ricca di contrasti tra nuovo e classico, qui sfondo cosmopolita, multietnico, per ambientare questa storia, aperta e per buoni intenditori.

C’è un protagonista, Elliot Udo (interpretato da André Holland), ex pianista di grande successo, è lui il proprietario, insieme all’amico Farid, un uomo dal passato doloroso e pieno di errori, sfuggito da New York, e che ora ritrova la figlia sedicenne (Amandla Stenberg), trasferitasi da lui, in difficoltà a sua nell’ambientarsi in una nuova scuola e poco incline a partecipare a ciò che le ruota intorno. Il locale, alle strette tra debiti, pochi incassi e affari poco chiari, prova comunque a rimanere in pieni e offrire spettacoli dal vivo, somigliando, nell’atmosfera, a tempi consacrati contemporanei, dove si respira diversamente: il Blue Note di Milano, il Cafè Carlyle (dove spesso si avvista Woody Allen e la New Orleans Jazz Band) o quel Cotton Club, ora meta per turisti, ma un tempo celebrato da molti e Francis Ford Coppola. Il caos, però, regna, il presente-futuro di tutto e tutti, è in pericolo, eppure la musica va avanti, con la band, composta dalla cantante Maja (Johanna Kulig, la splendida interprete di Cold War), ex di Elliot, e i suoni delle vite degli altri che lì provano a ricomporsi.

Ogni puntata allora segue il ritmo, scandita da un brano diverso, come se l’assolo dicesse molto di più riguardo a chi è in scena e narrato, sono forze incontrollabili già, le stesse capaci di salvare, estraniarci dalle difficoltà a cui si assiste, quasi come se fungessero da cura. E in molti sensi lo sono, e lo saranno.

Ma quali sono le vere peculiarità di questa serie? Innanzitutto l’esordio seriale, tra i registi, del premio Oscar Damien Chazelle, uno che, da musicista non professionista, ha saputo tradurre la sua passione in due autentici gioielli, Whiplash, e soprattutto La La Land, nei quali le ossessioni di Miles Teller, i sogni di Ryan Gosling, si rincorrevano, scontrandosi con la realtà. Chazelle conferma (qui anche nelle vesti di produttore esecutivo) quanto di pregevole gli sia riuscito finora, nulla al caso, perché il suo stile, fatto di ricerca, sperimentazione, a volte di improvvisazione, è in effetti il jazz nella sua essenza. Ma se da una parte The Eddy parla attraverso le note, dall’altra sono le persone a far sentire la propria voce, e far viaggiare il treno delle emozioni. Non ci sono davvero dei singoli a dominare, vince invece la coralità, la necessità di riprendere in mano temi universali, i rapporti, genitoriali, sentimentali, le sfumature del quotidiano, la volontà di inclusione, la famiglia, la devozione verso l’arte. Perché l’arte, quella pura, vera, va e deve essere goduta.

Lo sceneggiatore, Jack Thorne, già artefice di Shameless, Skins o This is England, fa il resto, è il tassello versatile, chiamato a non costruire un banale musical drama, ma a provare ad agganciarci ad altre ancore di salvezza. Le ritroviamo gradualmente in un cast internazionale e ibrido, negli altri a girare dietro la macchina da presa, Alan Poul (i fedeli di Six Feet Under e The Newsroom sanno ovviamente cosa ha fatto) Houda Benyamina, Laïla Marrakchi. Senza dimenticare Glen Ballard, storico produttore discografico di nomi come Alanis Morrissette, Michael Jackson, Ringo Starr, una leggenda vivente, che ha composto la colonna sonora originale, riportando, in egual modo, pezzi provenienti dai repertori di Perry Como, Peggy Lee o Gleen Miller.

E un po’ come al Bagdad Café, The Eddy rimette in sesto l’anima dei suoi “abitanti” e ci fa ripartire.