Il Re abdica, Federer si ritira: storia di un campione immortale

Il Re abdica, Federer si ritira: storia di un campione immortale

di Andrea Giordano

Roger Federer annuncia, a 41 anni, il suo addio ufficiale al tennis. L’ultima passerella sarà dal 23 al 25 settembre alla Laver Cup di Londra

Il senso di meraviglia, l’estetica perfetta, quello stile ed eleganza, che mai nessuno è riuscito a trasmettere nello sport, fuori e dentro il campo. L’essenza perfetta del tennis: God Save the King. Roger Federer, il grande campione svizzero, ex n. 1 del mondo per ben 310 settimane, smette di giocare, a 41 anni. Una decisione attesa, nell’aria, a causa degli ultimi infortuni ed interventi al ginocchio, ma che nessuno, oggi, riesce completamente ad accettare, perché con lui finisce di fatto un’era magica di questo sport. L’ultimo torneo sarà la Laver Cup di Londra, la passerella finale (dal 23 al 25 settembre 2022) in cui poterlo ammirare ancora, come professionista, e salutarlo con tutti gli onori del caso, per poi sussurrarsi ‘non sarà più come prima’. Oltre 20 anni di carriera, in cui ‘RF’ ha incarnato, fin dagli inizi, qualcosa di speciale, diventando un’artista della racchetta e capace di incantare milioni di fan e platee internazionali, affascinando non solo a livello atletico, ma umano, mentale. Federer è stato l’immaginario reso tangibile di uno sport, una volta considerato elitario, diventato  pop, globale.

La mente vola dunque alla prima volta, era il 4 febbaio 2001, a Milano. Re Roger vinceva il suo primo titolo ATP, battendo il francese Boutter (pensare che l’anno dopo perse in finale dall’italiano Davide Sanguinetti). Altri tempi. Da allora Federer ha vinto tutto, 103 tornei ATP, di cui 20 Slam: 6 Australian Open, 1 Roland Garros, interropendo per un attimo il dominio di Nadal (che nel 2009 non arrivò in finale), 5 Us Open, col record soprattutto di 8 vittorie a Wimbledon, per il momento imbattuto, visto che Djokovic segue a 7. Un torneo speciale, riassaportato lo scorso 3 luglio, in occasione dei 100 anni del Campo Centrale: l’occasione di una standing ovation globale, arrivata anche dagli altri campioni, da Borg, a Laver, da John McEnroe a Bille Jean King. Leggende a loro modo uniche e che hanno cambiato la storia del tennis, il modo di interpretarlo, di comunicarlo e renderlo arte, magia, improvvisazione, tecnica, gusto, preparazione chirurgica, ma che all’unisono riconoscono in lui un sovrano assoluto e democratico.

A tutto questo si aggiungono l’agognata Coppa Davis vinta con la Svizzera, un oracolo patriottico, inseguito con sacrificio, e poi finalmente portato a casa, 6 Atp Finals, la medaglia d’oro olimpica di Pechino in doppio, conquistata insieme all’amico Stan Wawrinka, o ancora l’argento amarissimo nel singolo contro Andy Murray alle Olimpiadi di Londra 2012, unica casella vuota in una esistenza sportiva monumentale, in un anno (quello) nel quale, proprio a Wimbledon, in finale, lo aveva battuto. Numeri impressionanti: 1251 vittorie su 1526 match giocati. Ci mancherà non vederlo. Un uomo, che da solo, come Valentino Rossi, Michael Schumacher, Michael Jordan, Kobe Bryant, Marco Pantani e pochissimi altri, faceva il pieno degli stadi e di appassionati, ma che sapeva calibrare ogni gesto e parola, in ogni accarezzamento della pallina, in ogni momento pubblico, a dispetto di un privato protettivo nei confronti della famiglia, l’amata moglie e confidente Mirka, con lui da 20 anni, i 4 figli, le due coppie di gemelli, Myla Rose e Charlene Riva, Leo e Lennart. Un uomo che catalizzava e diffondeva energie, idee, ispirazione.

Che vita Roger che hai fatto, che imprese portate a casa, ed è impossibile sintetizzare le battaglie, le maratone di oltre 5 ore, le nottate passate svegli tra Us Open e Australian Open, là dove contro Nadal, di ritorno da un primo infortunio, si era issato ancora una volta vincente in semifinale, per poi vincere contro Marin Čilić l’ultimo Slam. E che sconfitte altrettanto impossibili da mandar giù, come l’ultimo Wimbledon contro Nole il 14 luglio del 2019, perso al super tie-break del quinto set, dopo aver mancato match point: una partita entrata di diritto negli annali. 

Nessun erede al trono

Roger Federer non lascia eredità, com’è giusto che sia, ma solo insegnamenti ed esperienza. Nessun atto di egoismo, perché anche i rivali di sempre, amici e ‘nemici’ sul campo, Nadal e Djokovic, seppur straordinari e rivoluzionari protagonisti di questo sport bellissimo, rimangono forse un passo indietro a lui, meno amati, meno celebrati a 360 gradi, seppur siano uomini-record, icone assolute, e che ancora sono in attività pronti a infrangere altri primati. Federer li ha incrociati decine di volte, dando vita, sempre e comunque, a imprese sportive mai scontate e definite. In attesa di vederlo per l’ultima volta a Londra, l’immaginazione degli appassionati è quello di rivederlo sulle tribune, magari come allenatore di un nuovo talento da crescere, portandolo ai massimi livelli, o a guida della Svizzera, o ancora con un incarico istituzionale, visto che come Ambassador (dei tanti sponsor rappresentati) continua a prestare il volto e l’immagine, visto che continua a essere tra i più pagati del mondo, con oltre 100 milioni di dollari. Ma c’è anche ci scommette di vedere uno dei figli, o magari tutti, giocarsi una finale Slam da qui ai prossimi 15 anni. Ma tutti lo celebrano in egual modo, da Jannik Sinner (‘sei un’ispirazione per tutti noi’) a Berrettini, Alcaraz (‘sei stato uno dei miei idoli’) a Zverev,

Fino ad un’altra sovrana assoluta Serena Williams, ritiratasi ufficialmente qualche settimana fa a New York ‘Volevo trovare il modo perfetto per dirlo, dato che hai messo a tacere questo gioco in modo così eloquente e perfetto, proprio come la tua carriera. Ti ho sempre ammirato. I nostri percorsi sono sempre stati così simili. Hai ispirato innumerevoli milioni e milioni di persone, me compresa, e non lo dimenticheremo mai. Ti applaudo e attendo con impazienza tutto ciò che farai in futuro. E grazie per essere te stesso’. Voci, sogni e fantasie, di un atleta invece reale, concreto e calibrato, anche nell’annunciare il suo ritiro in una lettera d’amore, profonda e appassionata, in cui alcuni passaggi rimangono indelebili, come la sua epica sublime, come il suo modo ‘sospeso’ di stare in campo.

«Il tennis mi ha trattato più generosamente di quanto io potessi immaginare, ma ora è arrivato il momento di dire basta e terminare la mia carriera da professionista. Giocherò ancora in futuro, ma non a uno Slam e non in un torneo del circuito», scrive.

«È stata una decisione agrodolce, perché mi mancherà tutto quello che il circuito mi ha dato in questi anni. Ma allo stesso tempo, c’è anche così tanto da festeggiare. Mi considero una delle persone più fortunate al mondo. Mi è stato dato un talento speciale per giocare a tennis, e sono riuscito a farlo a un livello che mai avrei immaginato. Ringrazio anche i miei avversari in campo. Sono stato fortunato a giocare alcuni match epici. Abbiamo duellato in modo duro ma corretto, con passione e intensità. Ci siamo spinti l’uno con l’altro, portando il tennis a un altro livello. Gli ultimi 24 anni nel tour sono stati incredibili, anche se a volte sembrano passate solo 24 ore. Quando ho cominciato a giocare a tennis, ero un raccattapalle a Basilea, guardavo i giocatori come dei giganti, con ammirazione, lì ho cominciato a sognare e questo mi ha portato a lavorare duro per raggiungere il mio sogno. Grazie per aver contribuito a realizzare il sogno di un bambino. E al tennis: ti amo e non ti lascerò mai».

Il Re, il Maestro, dunque abdica. God Save the King. Lunga vita a Roger Federer, e a quello che potrà ancora donarci.