Le ricette di vita e i piatti d’autore di Margot Janse, chef al The Tasting Room de Le Quartier Francais di Cape Town, il miglior ristorante sudafricano

Si legge Sud Africa e si pensa subito ai safari, al mare, alle grandi città. Invece, da qualche anno, il Paese del Kalahari e del Kruger, di Johannesburg e Cape Town, si sta affermando proprio come un’interessante meta enogastronomica per esperti, turisti e food lover. Ne è la prova vivente l’appassionata chef Margot Janse che ad Icon si racconta partendo dalle sue prime avventure culinarie, fino ai premi guadagnati come executive chef di uno dei migliori ristoranti del Sud Africa arrivato 88esimo al World’s Best Restaurants: The Tasting Room del Relais & Châteaux Le Quartier Francais, vicino Cape Town. 

Che cos’è per lei la cucina? “ Il luogo dove avvengono le storie di ogni famiglia, dove si rivela ogni segreto. Penso infatti che la vita vera si svolga proprio intorno alla tavola”, spiega la chef di origine olandese.

Chi la conosce sa che la sua scelta è nata per caso. “Vero. Sono cresciuta in Olanda e il mio sogno era fare l’attrice. Quando ho capito che dal palco non avrei avuto ciò che speravo mi sono trasferita in Africa, ormai 20 anni fa, per studiare fotografia”.

Quando ha capito che lavorare in un ristorante sarebbe diventata una vera professione? “Piuttosto tardi. Mi piaceva cucinare, ma non avrei mai immaginato che avrei trascorso la mia vita dietro ai fornelli. D’altro canto, per mia madre era solo una parte della routine quotidiana. Diverso era invece per mio padre, che considerava il cibo una scoperta come quando andavamo a raccogliere i mirtilli, facevamo le marmellate e le salse. Quindi, all’inizio ho lavorato in un ristorante ma solo come cameriera. Poi man mano che il tempo passava ho cominciato ad essere attratta dall’atmosfera che mi circondava, dai piatti che venivano serviti, dagli ingredienti usati. Poi la svolta quando ho incontrato i miei mentori”.

Qual è la sua forza? “Anche se amo l’avventura, in cucina come nella vita mi sono sempre concentrata su quello che stavo facendo. Questo ha permesso che l’impulso non prendesse mai il sopravvento”.

Quali sono state le figure più importanti nella sua vita? ‘Professionalmente, il mio primo vero mentore è stato italiano. Ho iniziato a lavorare per Ciro Molinaro in uno dei migliori ristoranti di Johannesburg. Mi ha insegnato tutto ciò che si dovevo davvero sapere: dalla gestione della cucina e della sala, ai menu perfezionati attraverso la sperimentazione di un nuovo un ingrediente o di una tecnica diversa. Come se fossimo sempre alla ricerca, in viaggio. Infine devo un ricordo ai tre mesi di apprendistato con Thomas Keller nel French Laundry dove ho, invece, sperimentato il rigore e perfezionismo più duri.

Poi è approdata al Le Quartier Francais. “Ci sono arrivata oltre venti anni fa ma l’avventura continua ancora ogni giorno. Per questo non ho voluto mai cambiare ristorante. Il Tasting è un’avventura continua”.

Quanto e in che modo il Sud Africa fa parte dei suoi piatti? ‘Credo che non esista un altro luogo in cui il collegamento con la terra sia così stretto. Le mie creazioni sono il frutto della lavorazione di prodotti africani straordinari, che sono in continua evoluzione. Quando trovo un nuovo ingrediente lo studio a lungo per far sì che possa esprimere in un piatto tutte le sue sfumature. Un esempio? Mi piace tantissimo il sour fig, un fico caratterizzato dal verde delle foglie succose e gelatinose come l’aloe e dal giallo, bianco, rosso magenta, o viola dei fiori che mi ricordano un po’ gli anemoni di mare. Questo frutto locale dona a un piatto di ostriche fritte su un letto di vichyssoise (una crema di patate, porri, cipolla, brodo di pollo, latte, panna, noce moscata e pepe n.d.R.) e cuori di lattuga arrostiti quel tocco in più. Il sapore d’Africa”.