In conversazione con David Bailey

In conversazione con David Bailey

Lo sguardo rivolto al futuro di David Bailey, uno dei fotografi tra i più visionari della nostra epoca

David Bailey
di Andrea Tenerani

Protagonista e testimone di tante epoche, vissute sempre proiettato avanti. Nessuno più di lui continua a rappresentare il futuro. David Bailey è sempre lui. Impassibile, a 85 anni e qualche inconveniente dell’età – «Sono caduto sulla faccia. Boom! Pensavo di morire». Ironico: «Per fortuna era terra e non cemento (sempre a proposito del ruzzolone, nda) altrimenti ora avrei le ali…». Brillante e misurato a modo suo,quando, se gli domandi cos’è per lui un’icona e quali sono le odierne risponde: «Non ho vere icone. E se ne ho, sono intoccabili, artisti come Picasso e Stravinsky». Nello specifico della fotografia, la risposta è poi secca, da maestro: «Nessuna». Salvo poi concedere: «Ci sono alcuni fotografi che mi piacciono. Probabilmente Bill Brandt è il mio preferito. Se mai dovessi ispirarmi a qualcuno, quello sarebbe lui». La chiosa rimette a posto le cose (e Bill Brandt): «Sì, è stato grande. Ma sai, in qualche modo è la macchina fotografica a fare la maggior parte delle foto…». Ampliamo la ricerca. In 60 anni e più di carriera a qualcuno Mr Bailey avrà pur guardato. «Bruce Weber, ma è diverso. Perché voglio bene a Bruce, quindi è una situazione differente». E poi? Svagato, prosegue: «C’era quell’italiano… Gian Paolo?», Sì. Barbieri. «Spero che stia bene. Una brava persona». Isn’t he lovely? Proviamo dal versante storico. C’era qualcuno che le piaceva, negli anni Settanta? «Cecil Beaton è stato uno straordinario fotografo. Era il migliore nel suo ambito. La maggior parte della gente lo sottovaluta, ma era più di un fotografo, era un artista, dipingeva, faceva scenografie, disegnava moda. Fu lui a creare l’abito bianco e nero di Audrey Hepburn per My Fair Lady». Ecco, bene, i fotografi di moda. «Richard Avedon è stato abbastanza grande». Correzione lampo «davvero grande». Poi?«Anche Steven Meisel è molto bravo. Irving Penn lo è stato da un punto di vista commerciale. E poi c’è Robert Frank, naturalmente». Tanti maestri, tante visioni differenti. 

Ma per Bailey qual è la dote principale di un buon fotografo? «La curiosità. Vale per tutti, pittori, fotografi, musicisti. Se non si ha curiosità, è meglio fare i bagagli e andare in Australia». Fotografia analogica o digitale? «Mi piacciono entrambe. Per quella di strada uso molto digitale, perché si può scattare di più senza caricare continuamente. In studio preferisco la pellicola, soprattutto il bianco e nero 5×4. Se alla fine dovessi scegliere, probabilmente userei solo la pellicola». Alla intensa attività fotografica Bailey ha sempre affiancato delle eccellenti pubblicazioni; la più recente Look Again: The Autobiography uscita a fine ottobre 2020. Altri libri in futuro? «Tre, tutti diversi, e in uscita contemporaneamente, il che», commenta, «è una specie di errore, ma un errore buono. Road to Barking è un ritorno nei luoghi dove sono cresciuto, nell’East End; Bailey’s Matilda è dedicato all’Australia e infine 128 Polaroid. Sono molto soddisfatto. E poi sto lavorando a un altro, di grande formato, Fashion of the 80s, ma uscirà tra un anno».