Joe Colombo, un visionario senza tempo

Joe Colombo, un visionario senza tempo

di Paolo Lavezzari

L’uscita del suo catalogo ragionato riporta l’attenzione su Joe Colombo, il visionario che vedeva lontano e aveva già previsto tutto ben 50 anni fa

«Avremo i telefoni in tasca», disse una volta a Gae Aulenti, quando il top del futuribile a fine ’60 era il Grillo di Zanuso e Sapper (peraltro bellissimo). I telefonini, a parte quello del capitano Kirk di Star Trek, sarebbero arrivati 30 anni dopo. Che poi, nel 1971, se ne uscisse con «le possibilità dei media audiovisivi sono enormi e la loro influenza sulla nostra vita sarà considerevole. Si potrà studiare e lavorare a casa; le distanze non avranno più importanza; la megacittà perderà significato» la dice lunga su quanto Joe Colombo (1930-1971) vedesse davvero lontano. Un’attività breve la sua. L’opera, compresi gli esordi come artista nel Movimento Nucleare, sta in 20 anni a essere generosi – lo studio a proprio nome lo aprì solo nel 1962 – eppure la sua influenza sul design del XX secolo, e oltre, resta straordinaria. Come tale è la considerazione che gode tra i designer – inversamente proporzionale a quanto sia noto al grande pubblico: praticamente zero. È una delle peculiarità che continuano a circondarne la figura e l’opera ché il designer milanese era e resta un outsider. Se la definizione di “profeta del design” era stata superata dal “leggendario” attribuitogli dal direttore del Vitra Museum Mateo Kries, la sua è una leggenda sconosciuta. Come mai? La cosa parte dagli anni stessi di Colombo, quando era impossibile definire uno che non si lascia incasellare nei comparti accademici, per di più disinteressato ai formalismi del nascente postmoderno, come pure ai dogmatismi dello stile moderno che avvertiva ormai vecchio. E poi, a dirla tutta, questo disinteresse per il passato era lo stesso che nutriva per il presente che, invece, amava intensamente come uomo (cordiale, elegantissimo al limite del dandy, maestro di sci, jazzista, belle auto…), ma non come progettista. La sua dimensione per quello era il futuro che pensava e disegnava ininterrottamente sfornando magari alla fine di uno dei mille viaggi in aereo un progetto bell’e pronto. 


BOBY design Joe Colombo, 1970

Spiega l’architetto Ignazia Favata, sua assistente e curatrice dell’archivio dello studio: «Nel panorama degli anni Sessanta e Settanta, gli anni della plastica, Colombo era il più giovane, in mezzo ai celebri della generazione anni Venti (Magistretti, Castiglioni, Sottsass, Zanuso…) Un intruso. Paradossalmente, l’unico che lo sostenne sempre fu Gio Ponti, un illuminato conservatore del 1891 che sapeva riconoscere i nuovi sguardi». 

Solo da pochi anni, archiviati gli schematismi e le contrapposizioni moderno vs postmoderno in favore di una lettura più libera si sta lavorando a inquadramento obiettivo di Colombo. Inventore del futuro, per il quale, ricordava Alessandro Mendini, «i progetti erano utopie realizzabili», Colombo aveva cominciato pensando prima luci, complementi, oggetti, poi interi ambienti, quasi il mondo. Al centro metteva sempre l’uomo; scienza e tecnica avrebbero concorso alla sua felicità. Forse per questo il presente, stavolta il nostro, avrebbe continuato a non piacergli. A raccontare compiutamente quella profezia interrotta ora c’è il catalogo ragionato Joe Colombo. Designer 1962-1970 (Silvana Editoriale), scritto e redatto dall’architetto Favata. Da consultazione, per gli appassionati; da lettura (rivelatrice), per i neofiti.