«Non farò più arte noiosa». Parola di John Baldessari

«Non farò più arte noiosa». Parola di John Baldessari

di Alessia Delisi

A Milano una mostra celebra un gigante dell’arte concettuale. E pone la sua pratica in dialogo con quella dell’artista Sol LeWitt

Un giorno del 1970 l’artista californiano John Baldessari (National City, 1931 – Los Angeles, 2020) guardò i dipinti che aveva eseguito nei due decenni precedenti – un compendio di pittura semi-astratta piuttosto tradizionale – e non ebbe esitazioni: li portò in un crematorio a San Diego e li fece bruciare, con le ceneri riempì un’urna a forma di libro (l’ha conservata tutta la vita su uno scaffale della libreria) e fece anche dei biscotti che poi espose al MoMA di New York nella mostra Information. Per commemorare le vecchie opere pubblicò un annuncio di morte su un giornale locale. «Non farò più arte noiosa», scrisse l’anno seguente. La frase – un corsivo da scolaro punito – è ripetuta lungo tutta la lunghezza di un foglio a righe ed è in mostra fino al 10 luglio alla galleria Tommaso Calabro di Milano (From print to song, a cura di Paola Nicolin) accanto ai lavori concepiti sino agli anni 2000 e in dialogo con la pratica di un altro artista americano: Sol LeWitt.


John Baldessari, Noses & Ears Etc. The Gemini Series. Profile with Ear and Nose (Color), 2006

Baldessari conobbe LeWitt alla fine degli anni ’60. LeWitt lo aveva invitato nel suo studio di Chrystie Street, a New York, e gli aveva mostrato gli Incomplete Open Cubes, ovvero 122 modi per «non creare un cubo». Baldessari ne rimase folgorato. Gli disse anche quanto trovasse bello uno dei suoi Wall Drawings. «Non è quello il punto», fece l’altro. La bellezza non era evidentemente l’obiettivo per LeWitt. Nel 1972, due anni dopo aver dato alle fiamme le sue tele, Baldessari realizzò un videotape (Baldessari Sings LeWitt, che apre l’esposizione milanese) in cui canta le 35 Sentences on Conceptual Art di LeWitt – vero e proprio manifesto dell’arte concettuale redatto nel 1968 – al ritmo di canzoni popolari e jingle televisivi.

«La prima cosa che diresti di John è che era esilarante», ha raccontato Kate Fowle, direttrice del MoMA PS1. «Prendeva molto seriamente il suo lavoro di artista, ma non prendeva sul serio il mondo dell’arte». Si paragonava a uno scrittore di gialli che fa avanti e indietro tra il voler essere «abbondantemente semplice e complesso in modo esasperante», come disse in un’intervista. «Tu non vorresti conoscere subito la fine del libro, giusto?». Era così preoccupato all’idea di diventare noioso che si annoiava presto anche delle sue opere. Negli anni ’80, ad esempio, cominciò a creare una serie di collage fotografici – manipolava soprattutto immagini di giornali e fotogrammi di film di Hollywood – dove i volti erano spesso coperti da sticker colorati: «sono così stanco di guardare queste facce», commentava.


Installation view della mostra From print to song alla galleria Tommaso Calabro di Milano © Riccardo Gasperoni

Divenuto un gigante (letteralmente: era alto più di due metri) dell’arte concettuale, Baldessari ricevette nel 2009 il Leone d’Oro alla carriera alla Biennale d’Arte di Venezia, mentre nel 2015 l’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama gli mise al collo la National Medal of Arts. Fu anche un insegnante stimato: i suoi corsi alla CalArts (il California Institute of the Arts, a Santa Clarita) sono considerati «leggendari» e c’era gente che veniva da ogni parte per studiare con lui. Come ha dichiarato il suo ex studente (oggi artista cult) David Salle: «Collezionisti che qualche decennio fa non avevano probabilmente tempo per l’arte concettuale, oggi si mettono in fila per un Baldessari».

Dal 14 Maggio 2021 al 10 Luglio 2021

Galleria d’Arte Tommaso Calabro Milano

http://www.tommasocalabro.com