Sergei  Polunin

Sergei Polunin

Lasciati i panni dell’artista tormentato, il ballerino tra i più talentuosi al mondo ha trovato il giusto equilibrio. E in questo anno in cui tutto è rimasto in stand by anche i progetti come attore e autore non si sono fermati.

di Valentina Bonelli

Gli è rimasto addosso il marchio di “bad boy” del balletto, ma Sergei Polunin in questi anni è così cambiato che è difficile riconoscere in lui il ballerino fuoriclasse che ventenne fuggì dal Royal Ballet: avvistato in seguito in un tattoo studio di Londra, riapparso a sorpresa in Russia a un concorso di danza televisivo (vinto) e alle Hawaii alla corte di David LaChapelle, infine consacrato dal videoclip virale Take me to Church. I forfait dalle scene e dagli shootings, le intemperanze sentimentali e l’ammesso consumo di sostanze stupefacenti sono lontani: oggi Sergei confessa di aver raggiunto un suo equilibrio, artistico e personale, che molto deve alla nascita, un anno fa, del figlio Mir (che in russo significa “mondo” ma anche “pace”). «Più che un cambiamento avverto in me un miglioramento», precisa con la sua tipica sincerità. «Ogni giorno guardo il mio bambino e mi chiedo come posso diventare il meglio di me stesso: Mir lo sentirà e crederà alle mie parole e al mio esempio».

La compagna Elena Ilynikh, campionessa olimpica di pattinaggio artistico su ghiaccio conosciuta due anni fa sui social network e da allora al suo fianco nella vita e nella professione, è l’altro pilastro del nuovo Sergei. «Dopo l’innamoramento che ci ha improvvisamente travolti, ora ci legano sentimenti molto intensi e la voglia di migliorarci e sostenerci l’un l’altra. È soprattutto Elena ad aiutare me: devo a lei molte cose belle che mi sono capitate. Ha qualità che io non possiedo e mi rende felice vederla coinvolta in tutte le mie attività».


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Anche sulla scena: nel balletto Rasputin, già riprogrammato in giugno a Tokyo e a Mosca, accanto al monaco demoniaco interpretato dallo stesso ballerino ci sarà Elena nella parte della zarina Aleksandra. Sperando di portare il balletto in tour anche in Italia, dove era stato cancellato causa pandemia (a mezza voce accenna a un paio di date estive), Polunin è tornato a Mosca a provare con il suo gruppo artistico perché in Russia i teatri, seppure a capienza ridotta, sono aperti. «Un anno orribile anche per le arti, di cui nessuno si occupa più. La gente vuole solo sopravvivere e tutti sono concentrati sul virus, anche chi non dovrebbe», si sfoga. «Io sono stato fortunato perché ho trascorso quest’anno con la famiglia, creando con mio figlio quel legame che ci accompagnerà per il resto della vita. Per alcuni mesi ci siamo trasferiti a Miami, dove Mir è nato, convinti che potesse trarvi energia, a contatto con l’Oceano e il cielo. E io, che per la prima volta non ero impegnato in spettacoli e tournée, ho semplicemente vissuto la mia vita come non avevo mai fatto: una sensazione bellissima. 


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All’inizio ero arrabbiato per la pausa forzata e non vedevo l’ora di tornare a danzare. Poi sono riuscito a fare un passo indietro, a calmarmi e a pensare come avrei potuto fare meglio il mio lavoro. Spero accadrà a tutti noi: abbiamo avuto il tempo di immaginare un mondo diverso e un rapporto migliore con il nostro ambiente». Alcuni progetti però non si sono fermati: Sergei ci annuncia l’uscita di un nuovo libro, un’autobiografia fotografica dall’infanzia ai 30 anni, e assicura che non ha trascurato la direzione dell’Accademia di balletto in Crimea a cui tiene molto. A qualche festival ha potuto anche presentare il suo ultimo film, il primo da coprotagonista, Passion Simple della regista Danielle Arbid, storia della passione cieca di una donna francese per un giovane uomo russo che lei descrive così: “Siamo molto diversi: lui ama gli abiti firmati, le macchine costose, i film americani e Putin”. «Quanto assomiglio al personaggio?», sorride Sergei che il presidente russo lo ha tatuato sul petto.

«Anche nella finzione c’è un po’ di quello che sono, ma al cinema cerco di scavare in me stesso per dare allo schermo qualcosa di più. Ma non devo neanche pensarci troppo: a un certo punto mi butto! Sono un ballerino, non era mia intenzione diventare attore – ce ne sono tanti! – ma accetto la sfida se attraverso un film, così come un balletto, posso dire qualcosa». Parlare al pubblico, soprattutto dai social networks, lo ha però spesso danneggiato, attirandogli accuse di endorsement a politici discussi e persino di omofobia che lui respinge dichiarandosi frainteso. Tanto da ripromettersi di investire solo su stesso: «Voglio concentrarmi sulla missione che sento di dover compiere nel mondo della danza. Con la mia Fondazione e la mia compagnia di produzione provo a cambiare l’industria del balletto, garantendo indipendenza a me e ad altri danzatori e coreografi attraverso nuove piattaforme artistiche. Anche la moda, da cui traggo ispirazione e che mi permette di incontrare creativi, fotografi, filmmakers di grande talento, è parte importante delle mie produzioni. Intanto, a dispetto di chi semina odio che inevitabilmente ne genera altro, continuerò a mandare messaggi positivi, d’amore e d’energia, che si diffonderanno per un mondo migliore» conclude da “icon” del nostro tempo.


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Photos by Anton Corbijn

Styling by Indiana Voss

Grooming: Sandra Govers.

Photographer assistant:Anja Grabert