Chiamatelo Kurt, non Jena

Chiamatelo Kurt, non Jena

Buon compleanno a Kurt Russell e per i suoi “primi” 70 anni. Uno degli attori maggiormente simbolici del cinema americano, che a distanza di quasi 50 anni dal suo esordio, non smette di lasciare traccia.

Courtesy of Getty Images
di Andrea Giordano

Occhi di ghiaccio, sguardo indecifrabile, il volto ruvido, da duro ed irremovibile, di quelli a cui non bisogna mai chiedere nulla, ma capace, altresì, di diventare uno degli attori più simbolici e amati della sua generazione. Kurt Russell taglia il traguardo dei 70 anni. Cresciuto a baseball (come ex giocatore nei California Angels) e spaghetti western, quelli di Sergio Leone, C’era una volta il west, Il Buono, il Brutto e il Cattivo, nato a Springfield, nello stato del Massachusetts, l’interprete di oltre 60 film, che dopo gli esordi da adolescente (Il californiano, accanto a Charles Bronson), si è ritagliato gradualmente il suo posto tra le star assolute poi del grande schermo.

Gli anni ‘80 e ‘90 diventano allora lo sfondo per la consacrazione: La fantastica sfida di Robert Zemeckis, e soprattutto 1997: Fuga da New York di John Carpenter, il personaggio cult di Jena Plissken, ex eroe di guerra, convertitosi al crimine, richiamato per recuperare il Presidente in quel futuro distopico e disturbante, che poi ritroverà 15 anni dopo in Fuga da Los Angeles. L’inizio (e chiusura del cerchio) del sodalizio col regista, che lo porterà ad abbracciare nel frattempo un altro ruolo memorabile (nel 1982), il pilota MacReady de La cosa, il fanta-horror ambientato in Antartide, liberamente ispirato dal racconto di John Campbell, La cosa da un altro mondo, dividendosi successivamente tra action e arti marziali in Grosso guaio a Chinatown. Titoli che basterebbero (già da soli) a decifrarne la grandezza, le caratteristiche fisiche, morali, il talento a oltranza, senza dimenticare quel “Chiamami Jena!”, nel tempo diventato tra le frasi mantra, recitata attraverso la voce roca e graffiante (imitando Clint Eastwood) e la benda nera sull’occhio, trasformatosi quasi in un biglietto da visita, tra i tanti, ma che, in ogni caso non lo ha relegato ai margini, anzi, semmai è servito a innescarne la miccia.

Epica e stile d’altri tempi. Kurt Russell incanta (in Silkwood, al fianco di Meryl Streep), attraversa i generi, le epoche (gli anni 30 in Gente del Nord, quanto l’Universo Marvel in Guardiani della Galassia Vol. 2 nei panni di Ego) provando a “immollarsi”, talvolta in progetti meno confort, ambiziosi, lasciando il segno, pure brillante, vestito da Babbo Natale: si va dal poliziesco, insieme a Stallone (Tango&Cash), il thriller (Tequila Connection), di nuovo la fantascienza mitologica (Stargate di Emmerich), all’eroismo di tutti i giorni (Fuoco assassino di Ron Howard), nel remake di Poseidon, al rapinatore rock (La rapina) camuffatosi in Elvis Presley, suo punto di riferimento musicale (nel 1979, sempre con Carpenter, lo impersonò davvero) o come produttore cinematografico di C’era una volta a.. Hollywood di Tarantino. Proprio al regista di Pulp Fiction deve una propria rinascita grazie a The Hateful Eight nel 2015, interpretando il cacciatore di teste John Ruth ‘il Boia’, in un western d’atmosfera e di omaggio a Leone, e impreziosito dalle musiche straordinarie di Ennio Morricone. Un ruolo cucito su misura, pieno di sfaccettature e ricami, ma che racchiude nel suo viso l’esperienza degli immortali.