Intervista con Jack Savoretti, che racconta il nuovo album Europiana

Intervista con Jack Savoretti, che racconta il nuovo album Europiana

Il cantautore di origini anglo-italiane presenta il suo nuovo disco di inediti “Europiana”: un viaggio personale scandito da 11 tracce dal sound vintage, che celebrano l’Europa e la sua cultura musicale

di Silvia Perego

Quando risponde alla nostra chiamata via zoom, Jack Savoretti si trova nella sua casa a mezz’ora da Oxford, in mezzo alla campagna inglese, dove vive da cinque anni con la moglie, tre figli e tre cani. Finalmente è arrivata l’estate anche lì, ci racconta. D’altronde, il cantautore inglese è di origini genovesi e con il sole e il primo caldo non può che sentirsi subito a casa. «Ho viaggiato molto da ragazzo ma l’unica costante nella mia vita era l’estate che trascorrevo ogni anno a Portofino. La mia famiglia andava lì fin dal tempo dei miei bisnonni. Sono stato battezzato a Portofino, correndo in quelle piazze e in quei vicoli ho trascorso la mia infanzia, è il quartiere dove sono cresciuto», ricorda. Quando lo intervistiamo, infatti, è appena tornato dall’Italia, perché proprio a Portofino ha scelto di presentare il suo nuovo disco di inediti, Europiana, pubblicato per EMI Records / Polydor X Universal Music e disponibile da oggi. 

Anticipato dal singolo Who’s Hurting Who feat. Nile Rodgers, Europiana è un album di 11 tracce dal sound nostalgico ma al tempo stesso estremamente attuale, arrangiato dal violinista e grande amico Phil Granell e prodotto da Cam Blackwood, che aveva già lavorato alla realizzazione del precedente disco Singing to Strangers. Questo progetto è il manifesto di un nuovo percorso musicale, che racchiude tutta l’eleganza e lo stile romantico europeo a cui Jack Savoretti è da sempre legato, e che ci ha raccontato in questa intervista.


Questo album racconta il tuo viaggio personale, fatto di ricordi ed esperienze. Quando hai deciso di trasformarlo in musica?

Europiana rappresenta per me quella potente nostalgia del coming-of-age, del primo bacio, del primo amore, della prima vacanza d’estate, della libertà. Racchiude quel sentiment che si respira durante un’estate europea. Europiana è nato durante il lockdown dello scorso anno: quando mi sono reso conto che l’ansia che stavamo provando io e mia moglie stava avendo un effetto anche sui nostri figli, ho deciso di trasformare questa esperienza in un gioco. È una cosa che si impara andando in tournée, perché quando sei in tournée è un po’ come essere in lockdown, sei isolato dal mondo, i giorni della settimana sono tutti uguali, quindi devi darti dei traguardi da raggiungere. Per esempio, appena mi arriva il programma del tour devo calcolare due date in cui si farà festa, è importante per dare la carica giusta a tutti. Durante l’ultimo anno, quindi, ogni venerdì sera abbiamo organizzato una festa, Fabulous Friday la chiamavamo, ed ogni volta c’era un tema diverso, La Dolce Vita, Grease, The Greatest Showman, Zorro. Cucinavamo piatti speciali e io suonavo le musiche. Ho rivissuto le emozioni della mia infanzia trascorrendo il tempo con i miei figli, facendogli ascoltare la musica di quando ero ragazzo e ricreando quell’atmosfera magica. Vedere quanto si sono divertiti vivendo questa esperienza, mi ha fatto capire che questo album, oggi, era la cosa giusta.

Com’è nato il titolo Europiana?

Il termine è totalmente inventato ma l’idea è nata quando l’album di un mio carissimo amico è stato nominato come Best American Album ai Grammy Award. Ci sono così tanti sottogeneri nella musica americana, folk, western, country… ma non c’è nessun termine che definisce l’Europa musicalmente. Io non sono rock, non sono hip hop, non sono latino ma definirei la mia musica “europiana”, perché influenzata dalla musica europea degli ultimi cinquanta, sessant’anni. Mi lascio ispirare da Julio Iglesias, Serge Gainsbourg, Yves Montand, i Gipsy Kings, Lucio Battisti, Mina. Credo che nella musica non ci sia più quella necessità di guardare all’America, all’Inghilterra. Il cantante francese vuole essere come i grandi cantanti francesi, anche il cantautorato italiano di oggi è favoloso, sta tornando alle tradizioni ma allo stesso tempo è molto attuale nei temi. Il fatto di non rientrare in una categoria rigida mi permette di fare ricerca, di sperimentare, di fare quello che mi piace e chi ascolta la mia musica lo sa. Le persone sono sempre curiose di scoprire cosa ci sarà di nuovo nel prossimo album. 

Europiana non è un genere, è uno stato d’animo, come la musica americana che racchiude quella voglia di libertà, quel fascino del viaggio on the road. Io voglio celebrare l’Europa, cosa significa essere europei adesso, come conviviamo con la nostra cultura, che prende forma dalla musica, dall’arte, dal teatro, dalla letteratura, dal cinema. Più giro il mondo, più rimango impressionato dalla potenza della cultura europea, questo insieme di piccole culture diversissime ma che allo stesso tempo hanno così tanto in comune. È veramente raro trovare questa ricchezza nel mondo.

Qual è il tuo primo ricordo legato alla musica?

Si torna sempre a Portofino. Da ragazzo vivevo a Londra mentre mio padre viveva tra Milano, Lugano, Genova per lavoro, e tornare ogni estate a Portofino da lui era un sogno. Mi veniva a prendere in aeroporto e appena salivo in macchina, suonavano sempre le canzoni di Battisti, Lucio Dalla, Patty Pravo. Mi ricordo che rimanevo stupito nel sentire una lingua diversa, suoni diversi. Appena uscivamo a Rapallo dall’autostrada mi venivano le farfalle nello stomaco: iniziava l’estate e, aprendo il finestrino, si sentiva quell’odore di fritto mescolato all’odore del mare, si sentiva il rumore del motore di una Vespa, si vedevano le case colorate che correvano di fianco come un arcobaleno. Per un ragazzo che arrivava da Londra era come essere a Disney World, era un’aggressione ai sensi. L’Italia, specialmente la Liguria, per me è questo, dare valore a ogni suono, profumo, sapore diverso, ogni dettaglio è importante e nelle mie canzoni voglio trasmettere tutto questo. 

Un omaggio all’Italia, quindi, che però viene compreso anche a livello internazionale:

Il mio album precedente era un album italiano cantato in inglese, lo dico sempre, ed è arrivato al primo posto nella classifica UK. Questo non me lo sarei mai aspettato. Durante la tournée inglese ci sono state quattro proposte di matrimonio tra il pubblico, ero curioso di sapere perché. ‘Volevamo andare in Italia, ma non potendo siamo venuti al tuo show”, mi hanno risposto. Così mi sono accorto che non stavo più solo vendendo musica, ma stavo regalando un’esperienza, un viaggio. Durante il lockdown quindi mi sono detto, con Europiana voglio fare un tour dell’Europa, perché prima di tutto lo stavo regalando a me stesso mentre scrivevo. Fare questo album mi ha portato in Provenza, a Parigi, in un club di Berlino, mi ha portato a Saint-Tropez e a Portofino con la mente. E spero possa fare lo stesso con chi ascolterà le mie canzoni, ovunque si trovi.

Ma c’è anche Londra in questo progetto, infatti tutte le canzoni sono state registrate nei celebri Abbey Road Studios proprio a 90 anni dalla loro creazione. Cosa significa questo per te?

Io e la mia band non ci vedevamo da un anno, ed è stata dura perché da 15 anni siamo abituati a passare insieme molto tempo. Quando ci siamo ritrovati ad Abbey Road eravamo commossi, siamo stati dieci giorni al lavoro con il sorriso. Sapevo che avevo bisogno di qualcosa di grande, di importante per coinvolgere il mio team nel progetto, alcuni erano ancora perplessi. Se lo avessimo inciso separatamente, virtualmente non avrebbe funzionato. Avevamo bisogno di un luogo in cui stare insieme, dove nessuno è il boss, e questo l’ho imparato nello studio di Ennio Morricone. Quando ci si trova in studi come questi, tutti diventiamo studenti, si torna bambini, umili, e sapevo che se avessimo suonato lì, ognuno di noi avrebbe dato il suo meglio. Perché ogni musicista, quando entra agli Abbey Road Studios e prende in mano il suo strumento, lo suona come non ha mai suonato prima nella sua vita. Torna ad essere il ragazzino che sognava di suonare nei Beatles o nei Pink Floyd. È come quando un calciatore entra al Wembley Stadium o a San Siro, il gioco è diverso, si dà il massimo. E questo album doveva essere esagerato, dopotutto ho cantato con il microfono di Frank Sinatra. 

Come nascono le tue canzoni?

Scrivo di tutto quello che conosco, sono più un giornalista che uno scrittore di musica. Per esempio, all’inizio dell’album, le prime voci che si sentono sono quelle di mia figlia e mia moglie. Le mie canzoni non sono mai studiate o premeditate. Quando vedo, sento qualcosa che mi commuove so che in quello c’è una canzone. E inizio a ripetere, a ripetere le note al pianoforte dal mattino alla sera e contemporaneamente nascono le parole. È un flusso unico e continuo. 

Oggi nella tua vita c’è la musica, ma quando eri bambino cosa volevi fare da grande?

Il calciatore, volevo giocare nella Nazionale. Ero piccolissimo quindi nessuno si preoccupava di me in campo, e facevo un sacco di goal. Oggi sono fuori allenamento ma partecipo da casa, facendo il tifo per gli Azzurri a Euro 2020.