Intervista con Paul Klein, frontman dei LANY

Intervista con Paul Klein, frontman dei LANY

Paul Klein, frontman dei Lany, ha capito di voler fare il musicista al liceo. La svolta nel 2015, con il primo, entusiasmante concerto.

Photo: Francesco Carrozzini
di Gianmaria Tammaro

«Quando sei un bambino, essere costretto a fare qualcosa non è mai piacevole. Con il tempo, però, cresci e cambi idea. E oggi sono felicissimo di aver studiato pianoforte». Mentre racconta la sua infanzia, Paul Klein, frontman dei LANY, non riesce a non sorridere. In tutto quello che dice c’è una consapevolezza precisa. Vede uno schema nelle scelte e nelle decisioni che ha preso, nei lunghi pomeriggi passati a esercitarsi, chino su una tastiera, a provare, a cercare e a migliorare; vede la sua più grande fortuna negli incontri casuali e nelle amicizie che ha stretto. Ricostruisce la cronologia degli eventi con cura. Parla del cantautore John Mayer come di un amico, di una guida, come del primo artista condiviso con sua madre, e parla di impegno, di ossessione e di curiosità. È amichevole, mai sgarbato, mai troppo diretto. Aspetta prima di rispondere alle domande. «Alcuni dei musicisti più bravi del mondo non hanno mai studiato musica. Io sono stato fortunato. Il sostegno di mia madre è stato sicuramente importante. Ma non voglio essere io a dare una definizione di talento». Perché? «Perché avere talento, spesso, significa saper fare qualcosa. E puoi avere un talento in qualunque campo, in qualunque settore. Nella musica, nel marketing e anche nello studio».

Photo: Francesco Carrozzini
Saint Laurent by Anthony Vaccarello.

Klein ha dimostrato per la prima volta il suo talento quando andava ancora a scuola. «Volevo invitare una ragazza al ballo del liceo, e per farlo ho scritto una canzone. Alcuni ragazzi preferiscono essere meno diretti o più furbi; preferiscono un approccio diverso. Per me questo è stato il modo migliore. E alla fine ha detto di sì, e siamo stati anche fidanzati per un po’». È stato in quell’istante, dice, che ha capito di voler essere un musicista, di voler cantare e scrivere, e di voler trasformare la sua più grande passione nella sua vita. «Per molti non funziona in questo modo, lo so. Non è così immediato, così chiaro. Ma io non ho mai voluto fare altro. Volevo riuscire a raggiungere le persone con la mia musica, a toccarle, a ispirarle in qualche modo».

Photo: Francesco Carrozzini
Saint Laurent by Anthony Vaccarello.

L’ennesima svolta è avvenuta quando ha incontrato gli altri membri dei LANY. «Ci siamo conosciuti a Nashville. Un amico mi ha presentato Jake Goss, e Jake all’epoca viveva con Les Priest. Non abbiamo mai parlato di musica». Mai? «All’inizio no. È successo tutto gradualmente. Dopo Nashville, mi sono trasferito a Los Angeles. E a un certo punto ho chiamato Jake e gli ho chiesto di poter stare da lui per un po’. Nel giro di pochi giorni abbiamo scritto e registrato le nostre prime due canzoni». È stato come avere una febbre improvvisa e violentissima, una febbre sfiancante e allo stesso tempo travolgente: i LANY sapevano perfettamente cosa fare, quali note usare, dove andare. «Non mi sono fermato», ripete Klein, «Ho insistito. Dopo quelle due canzoni siamo stati contattati da alcune etichette. E in un primo momento non volevo crederci. Mi sembrava uno scherzo. Ma poi ci siamo convinti e abbiamo cominciato a lavorare a nuovi brani. La terza canzone che abbiamo scritto è stata I love you so bad. Abbiamo deciso di impegnarci al massimo. Jake e Les hanno lasciato il loro appartamento e ci siamo trasferiti tutti in una nuova casa».

Photo: Francesco Carrozzini
Saint Laurent by Anthony Vaccarello.

La musica è diventata la quotidianità dei LANY, la loro nuova realtà, la loro costante. Andavano in pausa solo per riposare e per recuperare energie. Poi tornavano in studio, ai loro strumenti, agli spartiti, ai fogli pieni di appunti e di parole, a registrare. «Non voglio sembrare arrogante, ma non ho mai voluto chiedere alle persone di venire ai miei concerti; ho sempre voluto il contrario. Dopo un anno passato a scrivere e a comporre canzoni, abbiamo cominciato a provare. Ricordo i pomeriggi passati a rivedere le nostre esibizioni. Siamo stati attenti a ogni più piccolo particolare: come stare sul palco, come muoverci, come camminare. E nel 2015, alla fine di febbraio, c’è stato il nostro primo concerto». La memoria è come un mosaico fatto di piccole fotografie in bianco e nero; fotografie sfuocate, mosse, piene di luci. Le sagome si confondono, le persone non hanno volti. Ci sono pochi dettagli, ma sono tutti vividissimi. È il passato che vive nel presente. «Dopo un primissimo momento di incertezza e di confusione, è andato tutto bene». Ancora una volta, la voce rallenta e si fa più dolce e delicata. E il racconto, anche se per poco, diventa una confessione. «È stata un’esperienza straordinaria».

Da allora la vita è cambiata. Ma, confessa Klein, non completamente. «Vivevo in un piccolo appartamento con altri due ragazzi e oggi vivo in una casa più grande. Ho viaggiato, siamo andati in Sud America, in Russia, in Indonesia, in Giappone. Siamo stati ovunque. Ed è stato incredibile. Ma rimaniamo sempre gli stessi. Ci vogliamo ancora bene, scriviamo le nostre canzoni e la nostra musica; io continuo a gestire i nostri social e a disegnare il nostro merchandising. Incontriamo i nostri fan, parliamo con loro, e non abbiamo mai chiesto niente in cambio. Perché è esattamente quello che vogliamo fare». Resiste, insomma, una dimensione candida, pura, ancora intima e personale, dove il successo non conta, dove la fama non destabilizza, ma mette a fuoco le priorità.

Photo: Francesco Carrozzini
Saint Laurent by Anthony Vaccarello.

«Tutti hanno uno scopo. E tutti ne hanno bisogno per svegliarsi ogni mattina e per stare bene con se stessi. Il mio scopo è questo: è la mia band, è la mia musica». Molti gruppi, continua Klein, hanno una canzone speciale. «Quella del cambiamento, del successo. Io ho provato ad andare avanti, ad andare oltre. E a non accontentarmi. Da I love you so bad a Malibu Nights ho sempre voluto superarmi. Ho finito di scrivere una canzone proprio ieri, e mi creda: sarà ancora più grande, ancora più bella». Qual è la cosa più importante? «La melodia. A seconda del tono con cui le pronunci, le parole possono assumere un significato diverso, più profondo, più sincero, autentico. Puoi aver scritto il brano più bello del mondo, ma se non suona bene, se non hai trovato la sua voce, non funzionerà».

Bisogna essere sognatori? «Bisogna imparare a confrontarsi con la realtà, con quello che pensano gli altri. Bisogna essere realisti. Se c’è qualcosa di prezioso, se c’è un po’ di talento, verrà fuori». E la musica? «C’è sempre. Fa da sottofondo a tutti i momenti più belli della nostra vita, e anche a quelli più brutti. È una costante. Ogni tanto viene avanti, diventa totalizzante. Altre volte, invece, rimane indietro, come una cornice. Tiene insieme i ricordi, il passato e il presente. Non riesco a immaginare un’esistenza senza musica».

 

Photo:  Francesco Carrozzini
Styling:  Jake Sammis
Grooming: Neicy Smalls