Josh O’ Connor

Josh O’ Connor

Il ruolo del principe Carlo in The Crown lo ha reso famoso eppure, sulle prime, stava per rifiutare la parte, preferendo il cinema indie. Quasi chiusa l’esperienza “monarchica”, l’attore inglese, oggi a New York (per Hollywood), si racconta ad Icon con perfetto spirito “brit”, senza sfarzo ma con charme

di Carlos Primo

C’è stato un momento in cui Josh O’Connor per poco non rifiutò il ruolo del principe Carlo in The Crown (Netflix), che gli è valso la fama internazionale. Ma non lo fece, sebbene la leggenda narri il contrario. «Può darsi che questo malinteso sia in parte colpa mia», è tutto ciò che risponde, sorridendo, a chi gli chiede di entrare nel merito. «Quando mi hanno chiamato per il provino stavo facendo cinema indipendente e mi piaceva molto; mi sembrava che quello fosse il mio percorso naturale. Accettando The Crown, quelle riprese avrebbero assorbito due anni della mia vita. Dissi che non volevo partecipare al casting, ma dall’altra parte insistettero perché ci incontrassimo e alla fine sono stato preso. Con il senno di poi è stata la scelta giusta. Mi ha posto di fronte a una sfida immensa, che mi è piaciuta da impazzire».

«Recitare è sempre stato un mio sogno, ma mi piacevano anche altre cose. Passavo giornate nel laboratorio di ceramista di mia nonna. Mio padre, invece, appassionato  di Shakespeare, mi portava a teatro. Arte e cultura sono un rifugio spirituale per me»

O’Connor è salito a bordo della serie con la terza stagione, una produzione avviata nel 2018, quando ormai nessuno poteva negare che fosse un trionfo. Era già un fenomeno di successo nel panorama della fiction britannica e il fatto che l’attore fosse quasi arrivato a prospettare un rifiuto dà prova del suo carattere e di quanto sia innamorato del mestiere che fa, più che del cachet, per quanto cospicuo. Nonostante cerchi di minimizzare («la mia più grande motivazione nel recitare sta nel fatto che è la sola cosa che mi riesca bene davvero», dice), le sue parole trasmettono una vocazione. Anche l’atteggiamento che dimostra rispetto al proprio status è inusuale. Elegante e fine alla maniera dei grandi nomi del palcoscenico britannico, O’Connor riesce come pochi altri colleghi a rappresentare cosa significhi avere successo nel 2021: essere incoronati da Netflix senza rinunciare a Shakespeare; seguire la moda con disinvoltura senza necessariamente cercare di colpire; essere fiero di sé senza attirare le invidie del mondo. Anche se questo aspetto, nonostante l’equilibrio che trasmette, è il più difficile di tutti.

 


Total look Eye/LOEWE/
Nature

«Recitare è sempre stato uno dei miei sogni, ma per molto tempo mi sono piaciute anche altre cose. Passavo giornate intere nel laboratorio di ceramista di mia nonna. Mio padre, invece, insegna lingue, ed essendo appassionato di Shakespeare mi ha portato a teatro fin da bambino. Arte e cultura sono da sempre una sorta di rifugio spirituale per me». Eppure, di questo genere di offerta la sua Cheltenham, nota per le terme e le corse di cavalli, non era molto ricca «Ora ospita festival di jazz e poesia, è migliorata molto da quando sono andato via, ma allora non c’era granché», racconta. Unica eccezione: il centro culturale Axiom. «L’edificio era stupendo, sembrava una vecchia torrefazione e non somigliava a nulla che io abbia visto poi. C’erano una biblioteca e un bar e si organizzavano concerti, corsi d’arte e di ceramica… Mia madre ci iscriveva (O’Connor ha due fratelli, ndr) ai laboratori che si tenevano lì e c’era un’energia incredibile. Quando morì, il proprietario lasciò scritto nel testamento che la struttura doveva essere destinata a progetti culturali, ma il comune la chiuse e la cosa finì lì. In seguito fu divisa in appartamenti.


Total look Eye/LOEWE/
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Fu una storia molto triste, e come vicinato ci siamo opposti, ma non è servito a nulla». L’episodio gli è rimasto impresso. «Una delle mie ambizioni è proprio quella di creare uno spazio così. Chissà che un giorno non mi lasci coinvolgere nel recupero di centri culturali. Ci sono tante cittadine in Inghilterra che vedono sfaldarsi il proprio tessuto culturale, perché tutto si sposta a Londra, ed è un peccato». Quando giunse per lui il momento di lasciare il nido, anche O’Connor si trasferì nella capitale: il bimbo che sgranava gli occhi davanti ai colossi della scena britannica e aveva come idoli nomi quali (li elenca lui stesso) Pete Postlethwaite, Daniel Day-Lewis e Simon McBurney, intraprese così la sua personale epopea, come tanti che militano nel settore: teatro, qualche apparizione nelle serie, ruoli secondari, fino all’ingaggio della svolta. Per O’Connor fu quello per La terra di Dio – God’s Own Country (2017). «Fu un momento cruciale della mia carriera, quello che ha puntato i riflettori su di me: da allora l’industria ha iniziato a prendermi sul serio». Oltre alla popolarità, l’esperienza al fianco del regista Francis Lee, al suo primo lungometraggio, gli ha dato un metodo fatto di «fantasie, processi e idee, che utilizzo tuttora in ogni progetto che mi vede coinvolto».


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L’interpretazione di O’Connor nella pellicola è già considerata una delle grandi prove del decennio in corso. Il personaggio è quello di Johnny Saxby, un allevatore dello Yorkshire che vede vacillare il proprio mondo in seguito all’incontro con un immigrato romeno, con cui stringe una storia d’amore travagliata, ma al contempo rivelatrice. Come ammette lo stesso attore, anche questo personaggio rientra nella categoria del “giovane tormentato”, con cui si è confrontato spesso in carriera. Un altro esempio è Paul, il protagonista di Mothering Sunday, presentato quest’anno a Cannes in anteprima, adattamento per lo schermo del romanzo Un giorno di festa di Graham Swift. Paul è un rampollo della società bene degli anni 20, combattuto tra le aspettative riposte in lui e l’amore per la domestica dei vicini, vera regina della pellicola, cui presta il volto Odessa Young. «Ho trovato stimolante il personaggio di Paul perché affronta il tema della mascolinità: una sorta di filo conduttore del mio curriculum artistico. Mi interessa molto la riflessione sul ruolo dell’uomo nella storia e nell’attualità. Paul è incapace di vivere la propria vulnerabilità perché non è ciò che gli altri si aspettano da lui. È un personaggio fantastico».

Leggi l’intervista completa su Icon di novembre 2021

Nella foto di apertura Josh O’ Connor indossa Total look Eye/LOEWE/Nature

Photos by Andreas Laszlo Konrath; Styling by Harry Lambert

Grooming: Kumi Craig @The Wall Group; Styling assistant: Ellen Purtill

Production: Hens Tooth Productions