Lorenzo Viotti: «La connessione con l’orchestra, come l’amore, è un mistero»

Lorenzo Viotti: «La connessione con l’orchestra, come l’amore, è un mistero»

Talento, carisma e bellezza. Pulsanti come una schiera di musicisti all’unisono. Intervista al direttore d’orchestra che incanta tutti, tra il ricordo del padre, il ritorno alla Scala e il nuovo ruolo di Ambassador di Bulgari

di Simona Santoni

Lorenzo Viotti non è il direttore d’orchestra che ti aspetti. 31 anni, bellezza da attore e fisico da atleta, occhi che bucano lo spartito, sui social tra foto di set di moda e sessioni in palestra a torso nudo ha un seguito adorante e fedele. Ma poi, sul podio, irretisce per la maturità solida che sfodera, insolita per la giovane età. Conduce con sicurezza flessuosa e rigorosa e con profondità di sguardo. La stessa sicurezza gentile con cui ci accoglie per questa intervista e quella profondità pensosa con cui ricorda, sorride, si interroga. 

Svizzero di origini italiane, è figlio di Marcello Viotti, direttore d’orchestra e della Fenice di Venezia morto a 50 anni, il 16 febbraio 2005, colpito da un ictus durante le prove di una Manon di Massenet a Monaco. Lorenzo aveva solo 14 anni.

Oggi direttore musicale della Netherlands Philharmonic Orchestra e della Dutch National Opera, Lorenzo Viotti ha studiato pianoforte, canto e percussioni a Lione, affinando un vocabolario musicale ampio e stratificato. Quindi direzione d’orchestra a Vienna. Per diventare ora uno dei direttori più ricercati e interessanti, conteso dai più prestigiosi teatri. Nonché poliglotta. Tant’è che ci risponde in italiano.  
 

Dopo il debutto alla Scala nel 2018, è di nuovo a Milano, in un ritorno ricco di emozioni. Dirige Thaïs di Massenet, opera che 20 anni fa aveva visto dirigere a suo padre al Teatro La Fenice, con il desiderio espresso allora di dirigerla un giorno lei, a costo di viaggiare per il mondo intero per farlo.

«È un’emozione bellissima. Sono molto orgoglioso di viverlo con mia madre, le mie sorelle e mio fratello, a 17 anni dalla morte di mio padre, che ci ha sconvolto. Senza la mia famiglia non potrei essere qui. Essere alla Scala, con questo titolo, dopo questo ricordo da bambino, è speciale, è un sorriso, purtroppo con un po’ di lacrime, ma sempre un sorriso. Un po’ come la morte di Thaïs: la sua unica possibilità di essere libera era nella morte. È un po’ triste ma la mia liberazione come direttore di orchestra e come figlio era nella morte di mio padre. Sono qui adesso perché ho vissuto questa esperienza molto difficile. Sono veramente orgoglioso di essere suo figlio».

Lorenzo Viotti
Bulgari © David Atlan
Lorenzo Viotti per Bulgari

Per lei non è la prima volta nella buca scaligera. Eppure alcuni anni fa, prima del debutto del 2018, disse no alla Scala…

«Sì, perché era troppo presto. Come direttore d’orchestra la parte tecnica è molto facile, ma è la parte umana e psicologica che si impara con la vita. Allora avevo 25-26 anni e non avevo la maturità per essere sul palcoscenico della Scala o anche su quello della Berliner Philharmoniker: c’è bisogno di una sicurezza di vita, emozionale e culturale, per dare qualcosa a tutti questi musicisti. Quattro anni fa ho cominciato alla Scala con un concerto sinfonico e ho avuto la sensazione di poter essere lì a dare le mie parole e la mia visione del pezzo musicale. Ho avvertito un’immediata relazione d’amore con questa istituzione, non so perché. Ho sentito dire tantissime cose sulla Scala, che è un’istituzione difficile, ma credo di aver avuto la giusta psicologia e anche il rispetto e adesso siamo in un bel viaggio emozionale. Ogni anno torno qui e mi sento veramente a casa. Mi sento totalmente a casa in Italia, ma specialmente alla Scala».

Lei è anche musicista e cantante; è percussionista, ha suonato il triangolo in un’orchestra, ha cantato in un coro… Ora si sente arrivato?

«Ho fatto tutto per la direzione di orchestra. Essere direttore è come essere amministratore delegato di una grande compagnia: non puoi esserlo prima di aver fatto esperienza in tutti gli altri livelli. L’arte di un leader è dare fiducia agli altri e usare la giusta psicologia: è una cosa che viene con l’esperienza. Prima ho suonato in orchestra come percussionista: il percussionista è l’ultimo musicista dell’orchestra, sta molto lontano dal direttore. Ho suonato tante volte con grandissimi direttori: uno di questi ha parlato con tutti noi, ha guardato nella mia direzione e subito mi sono sentito importante all’interno della famiglia dell’orchestra. Per me è stata una lezione, perché tantissimi direttori parlano soltanto con i solisti vicino a lui. Ma l’orchestra per il suono è come una Formula 1: il motore è dietro. Devi essere un leader per gli altri e non per te stesso».

Cosa l’ha portata a voler essere direttore d’orchestra?

«Nella mia storia personale ho sempre avuto il desiderio di modulare i suoni con le mani o con la faccia perché da bambino per me era un mistero cosa facesse il direttore d’orchestra: “A cosa servono le braccia? cosa fa?”. Prima di dirigere non puoi sapere se sei nato per questa necessità, perché non è un lavoro normale, non si può imparare a scuola. Puoi imparare il management ma essere un leader è una cosa totalmente differente. Io sono nato per essere qui. Lo so. Anche se non so perché». 

Per i profani, in effetti, voi direttori d’orchestra vi muovete con gesti ora secchi ora sinuosi, in un dialogo enigmatico e affascinante con i musicisti. Come si creano la giusta connessione e fiducia con l’orchestra? È una questione di autorità?

«È un mistero. Se ci fosse una regola, anche voi potreste essere direttori d’orchestra. È come una relazione tra due persone: non ho mai capito perché quattro anni fa mi sono innamorato di una donna, non so perché. È il mistero della vita. Non so perché arrivi il lunedì mattina in Giappone con l’orchestra e non funziona, anche se sai perfettamente la tecnica, o perché con un gruppo di persone non abbiamo la giusta energia o invece abbiamo l’amore assoluto».

Lorenzo Viotti
Bulgari © David Atlan
Lorenzo Viotti per Bulgari

Per certi versi la sua è stata una strada segnata. Sua madre violinista, suo padre direttore d’orchestra: la musica forse era l’unica strada possibile?

«No. Ho cominciato con gli sport, la mia prima passione. I miei genitori sono stati sempre molto aperti, mi hanno lasciato libero di fare quello che volevo, pronti a sostenermi. Ci hanno lasciato la libertà di decidere. Sono stati fortunati ad avere quattro bambini che hanno subito amato la musica classica (la sorella Marina è mezzosoprano, Milena e Alessandro suonano il corno, ndr). I miei genitori sono sempre stati appassionati di vita, dell’amore, quello tra mia mamma e mio padre, con i figli, amore del cibo, della musica, di tutto. Questa è la lezione più bella».

Dopo la collega Beatrice Venezi, anche lei è entrato nella squadra Bulgari come Global Brand Ambassador per gli orologi. Rigore svizzero, anima italiana, com’è nata questa collaborazione?

«Mi sento molto fortunato perché nel nostro mondo digitale vedo attori o influencer con milioni di follower, mentre io sono direttore d’orchestra, naturalmente a un livello molto alto, la Champions League della musica classica, ma per il mondo non sono nessuno. Sono stato molto curioso di capire perché una Casa così famosa si sia interessata alla mia arte, che sicuramente è molto vicina all’arte dell’orologio, e anche a quella della moda. È una ricerca per il futuro, con il rispetto del passato, nel solco della tradizione: è un po’ tridimensionale. Adesso cominciamo una storia, perché io non ho interesse a indossare semplicemente un bell’orologio e a fare una foto, sarebbe superficiale. Per me la relazione tra un’istituzione culturale come Bulgari e me come direttore d’orchestra è uno scambio. Abbiamo tanto da imparare e tanti punti in comune: il tempo, la pulsazione, il lavoro, l’eccellenza, il rapporto tra la nuova generazione e il passato, l’eleganza e il lusso, perché la musica classica è anche un lusso. Sono molto curioso ed eccitato».

Il tempo come ritmo della musica, come disciplina e precisione. Ma anche come gestione dei suoi innumerevoli impegni e viaggi, come risorsa e tiranno. Che rapporto ha con il tempo?

«Un rapporto molto generoso perché ho solo una vita e il mio tempo è come un orologio: c’è un inizio e c’è una fine. Voglio vivere ogni giorno come fosse l’ultimo. Voglio dedicare sempre più tempo alla gente che amo, perché la carriera, il lavoro, è un bonus in vita. Ma essere con la mia famiglia, con mio fratello, le mie sorelle e mia mamma, questa è la cosa più importante. In futuro devo stare un po’ di più con loro, e meno in teatro».

Oltre alla musica classica, quali sono le sue passioni musicali?

«Sono tantissime: rap per primo, jazz, techno, anche salsa…».  

Il suo ritmo interiore è classico, soul, rock…?

«È molto molto appassionato».

Lorenzo Viotti
Bulgari © David Atlan
Lorenzo Viotti per Bulgari

Su Instagram ha scritto: “Cerco sempre di allineare la mia mente e il mio corpo per essere più concentrato sul palco”. Quanto è importante per lei lo sport, la cura del corpo?

«Il mio lavoro è molto fisico, sul palco ma anche dopo. Magari appena fatto un concerto di 4 ore e mezza, finito alle 11 di sera, si va a mangiare e l’indomani alle 6 di mattina c’è un aereo, per arrivare in un altro Paese, con un fuso orario differente e una prova alle 10: se non sei fisicamente in forma la tua testa non può essere veloce. E il mio lavoro è solamente di testa. Devo sempre anticipare le tensioni dei musicisti. Dirigo sempre in anticipo, perché se faccio il movimento sul tempo, il tempo viene troppo tardi e poi c’è una tensione morbida. Devo anche anticipare gli errori, tecnici, emozionali, devo dare l’energia subito o qualcosa di più tranquillo. Per essere totalmente libero nella testa, devi essere libero nel corpo. Dirigere è qualcosa di molto fisico, e anche di molto dolce. Questo è l’equilibrio che cerco sempre».

Che sport pratica?

«Tutti. Nuoto, crossfit, tennis, boxe, jujutsu, skateboard, snowboard… Sono molto attivo».

Direttore d’orchestra sui generis, lei è molto attivo anche nell’ambito della moda e sui social: su Instagram ha oltre 83mila follower. È la sua bacchetta (magica) per attrarre a sé e alla musica classica le nuove generazioni?

«È uno strumento, la vera bacchetta magica si trova in un suono dell’orchestra, della mia arte, perché credo che sia questo il mio talento. Ho fatto tutte queste collaborazioni e questi post per difendere la musica classica. So che sono molto giovane, che non sono l’archetipo di direttore d’orchestra, ma vivo i social come un mezzo per dare la fiducia a una generazione che non ha avuto la mia fortuna e che credo sia molto in pericolo: siamo imprigionati nei nostri telefoni, nei falsi giudizi degli altri e dei social media. Essere quello che vogliamo veramente essere è un lusso. Io sono arrivato a un punto del mio lavoro e della mia vita in cui mi sento totalmente libero da questo sguardo altrui. Quando faccio un post vesto quello che voglio, dico quello che voglio, è la mia vita. Se non piaccio, non importa».

Lorenzo Viotti
Bulgari © David Atlan
Lorenzo Viotti per Bulgari