Taron Egerton

Taron Egerton

Dopo l’interpretazione magistrale in Rocketman, l’attore inglese si cimenta con un film dedicato alla storia di uno dei videogame più famosi di sempre, Tetris. A dirigerlo, il regista Jon S. Baird

di Leonardo Clausi

Quanto è bello il nome Taron? Significa tuono in gallese (non proprio, a dirla tutta: la parola corretta è “taran”) ma evoca lo stesso una fascinosa mescolanza di druidi, nativi americani e mitologia scandinava. Totale Sturm und Drang. Eppure Taron Egerton, l’uomo, è tonante solo di nome: di fatto, ti stupisce quasi per il garbo, la modestia, la misura. L’attore Taron Egerton, invece sì che è tempestoso. Ha saputo esserlo nel suo ruolo finora più importante, quello di Elton John in Rocketman, un’interpretazione magistrale che gli è valsa giustamente un Golden Globe e avrebbe potuto valergli un Oscar se un certo Bohemian Rhapsody non fosse uscito poco prima. Ma questo era ieri: oggi, o meglio il 31 marzo, esce su Apple TV il retromaniaco Tetris, “biopic” dedicato al gioco sovietico, costruttivista in tutti i sensi, che da decenni massaggia le sinapsi di miliardi di persone: una specie di cubo di Rubik digitale. 


Camicia e pantaloni
Emporio Armani

Egerton è Henk Rogers, un vivace imprenditore olandese che impazzisce per il gioco e va in Urss durante la fine della Guerra Fredda per cercare di assicurarsene i diritti di distribuzione. Seguono appassionanti intrighi para-spionistici sullo sfondo della lotta eterna fra capitale e lavoro, con in mezzo l’oscuro faccendiere Robert Maxwell e addirittura Michail Gorbacëv. Non diciamo altro, se non che da una parte getta una luce quasi analogica sulla società ludicizzata – talvolta fino al cretinismo, dài – nella quale viviamo, dall’altra crea un cortocircuito narrativo e storiografico illuminante su certi fin troppo sciagurati eventi contemporanei. Ma lui, un trentatreenne, a Tetris, ci gioca(va)?


Giacca e pantaloni Ralph Lauren Purple Label, T-shirt Loro Piana

«Non sono un gamer, lo ero di più da piccolo. Ero una patito del Gameboy. Scoprii il Tetris a dieci anni, circa un decennio dopo l’uscita (1988 in Occidente, ndr). L’ho fatto perché pensavo che fosse una storia matta. E secondo Matthew Vaughn, che l’ha prodotta, sarebbe stata un’esperienza per me del tutto nuova e divertente. È un film che probabilmente sarebbe stato ben diverso se avessimo saputo quello che sarebbe accaduto a distanza di soli due anni». Il suo Henk è un personaggio perfino amabile per l’energia e il candore: un placido tonno in una vasca di piranha, in gran copia al di qua come al di là della Cortina (di ferro, non d’Ampezzo). «Di lui mi piacciono l’entusiasmo senza vergogna e la mancanza di cinismo. Non è un personaggio cool. E quello che sto imparando su me stesso invecchiando (!) è che nemmeno io lo sono: per questo ci ho trovato un’affinità: non gli interessa piacere, è solo molto preso da ciò che gli piace».


Trench Dior, tank
top Dolce&Gabbana,
jeans John Elliot, stivali Wolverine

Nella sua carriera, il nostro ha saputo dimostrare una notevole capacità di apprendimento nel calarsi nei ruoli. Ha imparato a suonare il pianoforte, a cantare, a tirare con l’arco, a saltare con gli sci. Ma quando si tratta del suo tempo libero, ha riscoperto l’archetipo dell’attività fisica: la corsa di Fidippide, il maratoneta. «Sì, ho ricominciato a correre, attività che facevo molto in tarda adolescenza. Ero goffo e sovrappeso e quindi un po’ infelice, non so bene cosa risultasse da cosa. Poco più che ventenne ho smesso, senza nemmeno sapere perché. Ma di recente ho ripreso. Ed è stata una rivelazione. Della corsa mi piace l’aspetto meditativo». Ha ragione, la corsa è una splendida forma di redenzione psicologica, le endorfine ti fanno sentire… perdonato. E poi, apre un varco in noi stessi da cui possiamo guardarci senza filtri: insomma, è perfetta per le precoci crisi di mezza età di chi deve rimanere giovane per professione. «A 33 anni mi sento in un periodo di transizione. È una strana sensazione essere più vicini ai 40 che ai 20. Sto finalmente iniziando a capire chi sono, cosa voglio, cosa mi piace. E la corsa sembra aver coinciso con questo. So che è noioso!».


Cardigan Brioni, jeans Levi’s

In un momento storico in cui il Regno Unito pare indaffarato nel disunirsi non possiamo esimerci di porre a un anglo-gallese come lui la domandina identitaria: «Mia madre è inglese, ma ha vissuto in Galles per oltre un quarto di secolo. E non penso che si consideri particolarmente inglese. Credo sia po’ come trasferirsi dall’Asia o dall’Africa nel Regno Unito da piccoli: si prova un senso di britishness. Mi sento così riguardo al Galles. Nessuno dei miei quadri di riferimento, o delle mie esperienze, deriva dall’essere cresciuto in Inghilterra. Ho vissuto in Galles per quasi tutta la mia vita e lo adoro. È ancora la mia casa. Voglio finire la mia vita ad Aberystwyth, la città da cui provengo. Mi sento europeo, quello sì. Viviamo in un mondo definito dal commercio globale e dalla capacità di muoversi liberamente da un continente all’altro. E penso che le nozioni di identità fissa siano antiquate. Preferisco di gran lunga essere un cittadino del mondo piuttosto che di una qualche nazione insulare del c***o. È solo una mia idea del mondo che nasce da una comprensione politica molto limitata. Ma sento istintivamente che il nazionalismo non è qualcosa di salutare».


Camicia, tank top e jeans Second Layer, occhiali da sole Jacques Marie Mage

Qui eravamo evidentemente nel momento epilogale del colloquio, quello in cui stavamo ponderando di avanzare la nostra candidatura a presidenti del suo fan club italiano. Ma prima del commiato gli volevamo chiedere due parole su Matthew Vaughn (Layer Cake, Stardust, X-Men, ecc.) il regista producer – nonché signor Schiffer – col quale è amico, collega e sodale (lo ha diretto nei vari Kingsman). Solo perché avevamo incontrato – intervistato – entrambi i coniugi, anni fa. «Sì, Matthew ha la fama di duro. Ci conosciamo da dieci anni esatti. Non dimenticherò mai quell’incontro. Facevo un provino con lui durante il quale non mi guardò mai! Ero furibondo. Poi, finito il provino, mi fa: “Come ti chiami scusa?”. E io, piccato: “Mi chiamo Taron”. E lì sentii un improvviso senso di affinità, che sarebbe stato una figura molto importante nella mia vita. E lo è rimasto. Abbiamo fatto cinque film insieme. A volte mi fa imbestialire. È un pazzo. Ma gli voglio un mondo di bene. Mi ha cambiato la vita. Per lui camminerei sui carboni ardenti».

In apertura, giacca e T-shirt Tom Ford, occhiali da sole Jacques Marie Mage;  

Photos by Gavin Bond, styling by Mark Holmes;  Grooming: Sonia Lee. Photographed at Lacy Street Studios (lacystreet.com)