

Seduta straordinaria
La Bowl Chair di Lina Bo Bardi e la Sunflower di Roberto Mango sono due must have del design del 900. Ora in limited edition
Ogni oggetto racconta almeno una storia. Poi ci sono quelli che di storie ne raccontano molte, tutte insieme. La Bardi’s Bowl Chair è uno di questi, ed è quasi un ossimoro considerando l’estrema semplicità, l’essenzialità di questa seduta che, per i suoi rimandi a idee, epoche, personaggi e luoghi, oggi è uno dei miti del design del 900. E pensare che, benché disegnata nel 1951 – e da un nome quasi da leggenda come Lina (Achillina) Bo Bardi – sono dovuti passare 60 anni perché entrasse in produzione, peraltro limitata a 500 pezzi, il che la rende un vero objet du désir per gli appassionati. Ma, intanto, chi era Lina? Tornando a quanto detto sopra, la sua storia è un piccolo romanzo che attraversa i perigliosi marosi del 900. Sono anche reali, non solo metaforici perché è in Brasile, dove arriva a guerra finita con il futuro marito Pietro Bardi, gallerista e collezionista d’arte, che la giovane architetta e per breve anche condirettrice direzione di Domus, che la sua carriera decolla trovandosi presto a dirigere musei, a progettarne di nuovi, a dare vita a riviste. Il suo primo edificio è la casa per sé e Bardi, la Casa de Vidro (Casa di Vetro, come la chiamavano i vicini), datata non a caso 1951, perché è per questa dimora privata (manifesto del moderno in Brasile) che vennero realizzati i due unici esemplari d’epoca della Bowl, peraltro un raro esempio della attività di Lina quale designer che solo alcune mostre negli anni recenti hanno esplorato a fondo. Ecco dunque la Bowl, che potrebbe essere uscita dalla penna di Prouvé o perché no, di Gio Ponti con cui fu in stretto contatto, per la perfetta consonanza di linee e impiego.
L’idea di base era creare un arredo dalla forma essenziale che andasse bene ovunque e impiegando pochi materiali, considerato il gramo periodo post bellico (anche se in Brasile ne risentivano molto meno). La cosa veramente rivoluzionaria era ed è la ‘mobilità’, vale a dire la possibilità di orientare a piacere la semisfera della seduta. Lina doveva crederci molto tanto da apparire come modella nelle foto d’epoca della Bowl. Il progetto piace e guadagna le copertine di Interiors e Habitat; non rimane insomma che metterla in produzione, ma non si riesce e il progetto si arena. È solo, come dicevamo, nel 2011 che si riparte da zero. A farlo è la veneta Arper che, invitata a patrocinare una mostra su Lina, fa di più e decide, d’accordo con l’Istituto Bardi/Casa de Vidro, di riprendere i progetti originali e nel massimo rispetto per rileggerli con le competenze tecniche di oggi fino a presentare un primo prototipo. Quanto mai puntuali le parole di Lina, del 1951 compendiano la scelta: ‘Standardizzare significa estendere la possibilità, far sì che ciò che è nato per pochi divenga accessibile a molti’. Molti, non moltissimi, perché come dicevamo la Bowl è in edizione limitata a 500 esemplari, ovviamente numerati. Non è dato sapere quanti ancora ne rimangono; dagli schizzi si capisce che Lina aveva pensato a un rivestimento di pelle, oppure di vari colori e finiture di tessuto: fedele alla linea l’azienda propone oltre alla versione pelle anche un ampio assortimento di colori, sia ton sur ton sia in giochi di contrasto con le nuances possibili del cuscino.
Da storia nasce storia; accanto alla vicenda della Bowl c’è quella di un’altra poltroncina ancor più essenziale, basata anch’essa su una seduta/schienale (non mobile però) sostenuta da una leggera struttura metallica. È la poltrona Girasole del vulcanico architetto partenopeo Roberto Mango che fissò un cono di vimini (l’idea e il materiale li aveva presi dalle tradizionali nasse da pesca) su un telaio di tondino metallico. Ecco tutto. Ideata da Mango che nei primi anni Cinquanta, dopo un soggiorno americano, era tornato a Napoli, la poltroncina che ormai era nota come Sunflower ebbe un successo straordinario nonché imitazioni a non finire. Oggi è rieditata fedelmente da Pezzi di Napoli.