I 10 film del 2025 che ricorderemo davvero
Dell’anno che sta per chiudersi, ecco l’eredità cinematografica che più portiamo nel cuore. Storie forti che coinvolgono ogni senso, spaccati di vita, guide filosofiche, visioni o incubi
Storie vere che attanagliano le viscere o scaldano il cuore, musical di carisma entusiasmante, spaccati di vita intrisi di realismo umanistico.
Tra i film usciti in Italia nel 2025, questi 10 non li dimenticheremo di certo.

Emilia Pérez di Jacques Audiard
È stato il grande sconfitto della notte degli Oscar, con due misere statuette vinte nonostante le tredici candidature. Ma non c’è dubbio: Emilia Pérez è uno dei film più esaltanti del 2025. E uno dei rari film che si ha voglia di rivedere, già appena usciti dal cinema.
Produzione francese, nonostante profumi di Messico e abbia un cast internazionale, è un musical potente di ritmo e coreografie entusiasmanti. Racconta una transizione di genere come mai fatto prima, tra cartelli della droga, desaparecidos, galà di ricconi e strade polverose.
Zoe Saldana, al suo primo Oscar? È bella vederla in faccia, tra canti, balli ed energia pura, invece che limitata dietro il blu Na’vi di Avatar. Peccato per le dichiarazioni poco felici via social dell’altra protagonista, Karla Sofía Gascón, che hanno influenzato le sorti del film. E peccato per la tendenza tossica contemporanea che pialla ogni voce stridente, spingendo nel burrone tutto quello che tocca.
Giovani madri di Jean-Pierre e Luc Dardenne
Infallibili e svettanti, con un cuore gigantesco. Nessuno come loro. I fratelli belgi sono una sentenza: ogni loro film tende al capolavoro. Una volta di più in Giovani madri parlano degli ultimi (anzi, delle ultime), dipanando le matasse di esistenze difficili, dalle poche speranze.
Ma loro, Jean-Pierre e Luc, sanno pennellare luce anche nell’ombra. Con realismo umanistico, raccontano la storia di cinque minorenni, ragazze madri, accolte in un centro di aiuto. Si tratta di una struttura che esiste davvero, a Liegi.
Con una sensibilità di sguardo rara, che non cade nel retorico, riprendono paure, fragilità, traumi, ma anche solidarietà e sogni. Tanta verità, tanta vita.
Premio della sceneggiatura all’ultimo Festival di Cannes, è tra i film più belli del 2025.

Itaca. Il ritorno di Uberto Pasolini
Juliette Binoche è monumentale, Penelope di forza interiore sferzante che trasuda in ogni sguardo o movimento lieve. Ralph Fiennes, ignudo e di eroica magrezza e muscoli, è superbo, in tensione tra colpa e dignità e una terra (e un amore) con cui riconciliarsi.
Senza di loro e il loro talento gigante, Itaca. Il ritorno non avrebbe il potere ancestrale – e anche contemporaneo – che ha. Ma i grandi attori servono a questo: a rendere grande un film.
Pasolini, che abbiamo amato tantissimo con Still life, meno con Nowhere special – Una storia d’amore, trova un tocco da nocchiere illuminato. L’epicità senza tempo del capitolo iconico dell’Odissea è in connessione con le rocce bianche, i verdi intensi e il blu di mare a perdita d’occhio della Grecia che fa da set.
La voce di Hind Rajab di Kawthar ibn Haniyya
Non è un film come gli altri. Forse non è un film. È una tremenda e dannata storia vera che la regista tunisina decide di portare al cinema, per scuotere irrimediabilmente e lanciare un cono di luce (nerissima) sullo scempio di vite nella striscia di Gaza.
Non c’è cuore impavido che ne possa rimanere illeso. La voce di Hind Rajab è destinato a lasciare il segno per sempre. Ricostruisce l’uccisione della piccola Hind Rajab, bambina palestinese di cinque anni bloccata in auto, con i famigliari già morti accanto, sotto il fuoco israeliano. Vengono usate le registrazioni audio reali fatte dai soccorritori della Mezzaluna Rossa: la voce che ascoltiamo è davvero quella della piccola Hind, di cui conosciamo già il tragico destino.
La sua richiesta disperata di aiuto trivella lo stomaco. “Mi stanno sparando”. “Il carro armato è accanto a me”. “Per favore, vieni a prendermi, ho paura”. “Che ore sono, ho paura del buio”. Un film – o forse un non film – che ci mette di fronte all’orrore umano, schiacciandoci il viso contro.

Io sono ancora qui di Walter Salles
Una tragica e straordinaria storia vera, a cui Fernanda Torres dà potenza e luce in una performance straordinaria. È lei Eunice Paiva, moglie e madre coraggiosa, che ha visto strapparsi via nel 1971 a Rio de Janeiro, durante la dittatura brasiliana, il marito Rubens Paiva (interpretato da Selton Mello), ingegnere e attivista che non fece più ritorno a casa.
Eppure in Io sono ancora qui più che la disperazione pulsa l’energia positiva. La sua Eunice non si abbatte, non consente alla violenza e ai soprusi di farsi strappar via anche il sorriso. Nonostante le difficoltà, intraprende la sua lotta per conoscere la verità sul marito e per tenere unita la numerosa famiglia.
Oscar al miglior film internazionale e Golden Globe alla migliore attrice in un film drammatico per l’immensa Torres.
28 anni dopo di Danny Boyle
Di potenza visiva e narrativa totalizzante, 28 anni dopo è un sequel che è molto più di sequel e un horror che è molto più di un horror. Il regista del cult Trainspotting, premio Oscar per The Millionaire, in groppa a una colonna sonora torreggiante scaraventa lo spettatore dentro la storia, con tutti i sensi eccitati e coinvolti.
Terzo capitolo della serie, segue 28 giorni dopo (2002) e 28 settimane dopo (2007). Ma vive anche a sé stante, come uno zombie movie (definizione riduttiva) che è anche dramma, distopia, action, oltre i generi. Con momenti di toccante intimità e spiragli di crepitante comicità. Senz’altro uno dei film più memorabili del 2025.
Protagonista un ragazzino (Alfie Williams) che, dalla piccola isola che accoglie i sopravvissuti, si avventura sulla terraferma, tra i pericolosissimi infetti, preda del virus della rabbia fuoriuscito da un laboratorio di armi biologiche tre decenni prima. Nel cast anche Jodie Comer, Aaron Taylor-Johnson e Ralph Fiennes.

Il seme del fico sacro di Mohammad Rasoulof
Sono due i film iraniani (di produzioni internazionali) che hanno segnato il 2025, entrambi forti testimonianze della ferocia della dittatura, entrambi girati clandestinamente per aggirare la censura. L’altro è Un semplice indicente di Jafar Panahi, che ha vinto la Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes, con un meccanico, una fotografa e due sposi alle prese con un prigioniero misterioso: è il loro aguzzino o no?
Noi siamo rimasti più colpiti da Il seme del fico sacro: più frontale, a tratti decisamente brutale. Rasoulof già che vinse l’Orso d’oro al Festival di Berlino con l’inquietante Il male non esiste (2020).
Qui ci fa entrare nel movimento di protesta popolare che infiammò l’Iran, a seguito della morte di una giovane donna. Entriamo anche nei meccanismi di una famiglia dove il padre, apparentemente mite, svela il volto più violento, forse in maniera un po’ esasperata, ma in una metafora potente e angosciante del regime.
Love di Dag Johan Haugerud
Il regista norvegese Dag Johan Haugerud ha intessuto una trilogia che esplora temi universali come l’amore, il desiderio, la sessualità. Sex, Love e Dreams, tre film interessanti e illuminanti, che schiudono a nuovi modi di pensare e di comportarsi.
Tra i tre, quello che abbiamo indubbiamente amato è Love, un film di parole, da rileggere a mo’ di guida filosofica alla vita. Un’ode alla libertà sessuale, che apre l’interpretazione dell’esistenza a strade diverse e innumerevoli.
È incentrato sull’amicizia e sul confronto franco e aperto tra due colleghi di lavoro, Marianne (interpretata da Andrea Bræin Hovig), urologa pratica, donna di mezza età etero e single, e Tor (Tayo Cittadella Jacobsen), giovane infermiere omosessuale, anche lui single. Intanto, tra dialoghi sinceri, ci si interroga sull’amore e sul sesso, sulla disparità delle aspettative sociali nei confronti delle donne, su omosessualità e relazioni. Aprendo cuori e sguardi.

The Brutalist di Brady Corbet
Un film mastodontico e al contempo minimalista, come l’architettura brutalista perseguita dal suo protagonista, lo spigoloso e ostinato architetto visionario interpretato da Adrien Brody, ebreo ungherese sopravvissuto ad Auschwitz, in cerca di una nuova vita in America.
Nonostante la durata monstre di 3 ore e 35 minuti, The Brutalist è un film che avvolge e coinvolge. Se è appassionante la performance di Brody, al suo secondo Oscar come migliore attore, è meravigliosamente sorprendente quella di Guy Pearce, mecenate di sinistro carisma.
Una storia di traumi, di capitalismo, di architettura, dai volumi robusti e vigorosi, ma allo stesso essenziale e funzionale. Un investimento sul tempo ben speso.
I peccatori di Ryan Coogler
Sulla scia di Scappa – Get Out, che già usò il cinema di genere come satira sociale, Coogler stupisce con un horror black che mescola discriminazione razziale, vampiri e musica blues.
Dall’estetica affascinante, una storia originale e appassionante, ambientata nel Mississippi degli anni Trenta. La musica è faro e perdizione, è il sogno di un eden impossibile e salvezza.
Candidato a cinque Golden Globe, con un carismatico Michael B. Jordan nel doppio ruolo dei gemelli protagonisti, c’è da scommettere che I peccatori sarà ricordato a lungo. Con i riflettori addosso in occasione degli Oscar.