L’altro papà della Pop. Roy Lichtenstein in mostra a Parma

L’altro papà della Pop. Roy Lichtenstein in mostra a Parma

di Paolo Lavezzari

Variazioni Pop per conoscere le sperimentazioni continue di Roy Lichtenstein, tra fumetti, riletture dei classici e rovine antiche. Da vedere a Parma

E pensare che all’inizio le critiche di essere banale, se non le stroncature quale peggior artista americano gli fioccarono addosso senza complimenti. Ma la storia, il destino e il gallerista Leo Castelli hanno raddrizzato subito il corso degli eventi e Roy Lichtenstein (di cui ricorre il centenario della nascita) è diventato uno dei top artist e seller mondiali non solo della pop, ma dell’arte contemporanea tutta, con valori di centinaia di milioni (di dollari, naturalmente). Variazioni Pop, la mostra, che apre a Parma l’ 11 febbraio (e fino al 18 giugno) a Palazzo Tarasconi, è la sua prima antologica in Italia, dopo la grande che il MUDEC di Milano gli dedicò, ormai 3 anni fa. Oggi come allora, a curarla è Gianni Mercurio, un’autorità su Lichtenstein, e, a ben vedere, fa in certo modo un ‘pop’ tris con le due sempre in corso dedicate a Warhol – offrendo insomma un bel modo per confrontare due differenti modi di affrontare e ragionare sui temi della comunicazione di massa, il potere dell’immagine e la sua riproducibilità tecnica, il ruolo dell’artista.

Reverie, 1965, 77 x 61 cm, Silkscreen on paper

Non è una mostra enorme questa di Parma – oltre 50, comunque, le opere provenienti da collezioni europee e americane – che presenta non pezzi unici, ma edizioni e serigrafie, sperimentazioni su metallo, tessuti e plastica oltre a fotografie e video. Noto per essere quello che (ri)dipingeva tavole di comics estrapolate dal contesto e ingrandite fino al retino di stampa, dipinto a mano (anche se lui obiettava sempre che «in quasi mezzo secolo di carriera ho dipinto fumetti e puntini per soli due anni. Possibile che nessuno si sia mai accorto che ho fatto altro?») Lichtenstein ha sempre lavorato per serie e, pur continuando a usare i puntini, si è cimentando pure con differenti modi di stendere il colore. La cosa importante quando si guarda al  lavoro di Lichtenstein è ricordarsi che non è una semplice riproposizione/riproduzione di un soggetto, ma si tratta di una lettura personale e originale del soggetto – siano essi di volta in volta rovine dell’antichità, paesaggi classici cinesi, opere di Picasso, Van Gogh o Matisse. Difatti, Lichtenstein ha lavorato ai suoi soggetti senza mai sovrapporre nello stesso momento serie diverse, dedicando a ciascuna un periodo circoscritto di lavoro.

Pertanto la mostra, seguendo un andamento cronologico che coincide con uno sviluppo tematico, ripercorre l’intera carriera dell’artista, a partire dagli anni 60, in cui ritroviamo i suoi temi e generi, dai fumetti e la pubblicità, la natura morta, il paesaggio, le incursioni nell’astrazione e nelle forme dei grandi maestri, gli interni bidimensionali, fino alla serie dei nudi femminili. Una produzione vastissima quella di Lichtenstein e continua, al punto da stimarsi a oltre 5.000 tra dipinti, stampe e anche sculture e murales. Un’ultima curiosità che lo avvicina a Andy Warhol, altro protagonista assoluto della pop art e di un paio di mostre di cui vi parliamo: prima di Warhol, anche Lichtenstein firmò, nel 1977 (due anni prima di Warhol), per Bmw una Art Car: era una BMW 320i Turbo. Lichtenstein la decorò ovviamente con i suoi classici “Ben-Day dots” creando sulla fiancata l’impressione che sfili un paesaggio (colline verdi, il manto stradale, un bel sole giallo…). Anche questa Bmw corse a Le Mans per arrivare in prima posizione nella classifica della sua categoria.