Paul Forman: il “villain romantico” di Emily in Paris che ha conquistato Netflix
La star di Emily in Paris tra stile, fama e valori. “L’immagine è uno strumento, non un’identità.” E il sogno di costruire una famiglia, oltre la carriera
Paul Forman torna in Emily in Paris con la quinta stagione, in uscita il 18 dicembre su Netflix, riportando al centro Nicolas de Léon. Un personaggio affascinante e contraddittorio, attraversato da una vulnerabilità che questa volta emerge con più chiarezza. L’attore e modello anglo-francese continua a costruire una carriera poliedrica, guidato da un equilibrio unico tra logica e istinto. Dopo gli inizi tra cortometraggi e piccoli ruoli in serie come The Spanish Princess e Frank of Ireland, Forman si è rapidamente distinto anche nel cinema internazionale, mostrando una notevole capacità di dare profondità a ruoli complessi.
“Nicolas cammina su una linea sottile tra sicurezza e insicurezza,” ci racconta. “Se punti troppo sul fascino diventa piatto; se insisti sulla fragilità perde incisività.” Ed è proprio in quell’oscillazione – tra potere e vulnerabilità – che Nicolas trova oggi una nuova maturità, esplorando fragilità e ambizione in modo più consapevole. Ecco cosa ci ha raccontato
Nella serie Emily in Paris interpreti Nicolas de Léon, affascinante ma vulnerabile. Qual è stato l’aspetto più difficile da equilibrare nel creare questo “villain romantico”?
Per me, la parte più complessa è stata resistere alla tentazione di rendere il suo fascino troppo pulito. Nicolas cammina su una linea sottile tra sicurezza e insicurezza, tra potere e fragilità. Se punti troppo sul fascino, diventa piatto; se insisti troppo sulla vulnerabilità, perde incisività. E questo equilibrio cambia con il passare delle stagioni. Ho amato scoprire le crepe sotto la sua superficie impeccabile: quei momenti in cui l’ambizione vacilla e affiora qualcosa di autentico. Credo che sia proprio questa dualità a renderlo interessante.

Tre parole per descrivere lo stile di Nicolas de Léon, e quanto c’è di Paul Forman in quell’immagine?
Strutturato. Raffinato. Controllato. Quanto c’è di me? Forse un dieci per cento. Nico si veste come se ogni decisione fosse una trattativa. Io sono molto più rilassato. Preferisco semplicità e comodità: abiti che sembrano vissuti, non calcolati. E, al di là dello stile, lui è molto più saldo e composto di me. Io sono decisamente più goffo e un po’ più caotico (in senso positivo)! Nico sente sempre di dover fare tutto alla perfezione, mentre io non ho paura di sbagliare. Abbraccio l’errore perché insegna, ti fa scoprire chi sei e ti rende una persona migliore. Ed è qualcosa che considero fondamentale.
Nella serie la moda è un linguaggio di potere. Nella tua vita, cosa rappresentano i vestiti: espressione, maschera o gioco?
Un po’ tutte e tre! I vestiti possono esprimere chi sei o chi vuoi essere; possono essere una maschera quando hai bisogno di protezione. Ma, nel migliore dei casi, sono un gioco: un modo divertente per spostare l’energia. Ed è così che preferisco viverli.

La serie affronta anche il tema del successo e dell’immagine. Come trovi l’equilibrio tra autenticità e apparenza nella tua vita?
Per me la chiave è ricordare che l’immagine che presenti è uno strumento, non un’identità. Mi piace la moda e giocare con l’estetica, ma nel momento in cui inizi a “interpretare te stesso” anche fuori dal lavoro, perdi qualcosa di essenziale. L’autenticità, per me, nasce dalla routine: gli amici, la famiglia, i momenti semplici. Ho una forte consapevolezza di chi sono e dei miei valori, quindi restare con i piedi per terra non è difficile. Onestamente? Diventa complicato solo quando le persone proiettano su di me un’idea senza averci mai parlato. Sono sicuro che, se ci si conosce, la mia autenticità emerge immediatamente: sono aperto di natura. Non potrei sopportare di non essere me stesso, mi sembrerebbe estenuante.
Dal 2018 hai costruito un percorso molto vario. C’è stato un momento in cui hai capito che la recitazione sarebbe stata davvero la tua strada?
All’università, la prima volta che ho recitato. Ho sentito qualcosa assestarsi dentro di me. È stata la prima volta nella mia vita in cui ho pensato: “Ecco, è qui che devo essere.” Avevo trovato il mio elemento. Da allora, seguo quella sensazione.

Hai studiato matematica prima di dedicarti alla recitazione. Cosa ha provocato un cambiamento così radicale e in che modo il tuo lato “logico” influenza il tuo lavoro oggi?
Non sono cresciuto pensando che la recitazione fosse un’opzione. Amavo profondamente il cinema e anche il teatro, ma mi sembrava un altro universo. Nulla, nel mondo in cui sono cresciuto, indicava che potesse essere una strada percorribile per me. La matematica era semplicemente il percorso più familiare, sicuro, strutturato (e ho avuto la fortuna di avere un insegnante straordinario per tutti gli anni di scuola, il professor Goodman). Poi, quasi per caso, all’università ho partecipato a uno spettacolo e qualcosa è scattato subito. È stato come risolvere un enigma che non sapevo di aver elaborato per tutta la vita. Il mio lato logico mi aiuta ancora: amo la struttura, capire i meccanismi che sostengono un’emozione, l’“architettura” di una scena. La logica mi dà una base; da lì, entra in gioco l’istinto.
Con i social che amplificano tutto, quanto è difficile per un attore mantenere uno spazio privato e autentico?
È difficile, sì, e proprio per questo sento sia una responsabilità personale fare dei passi indietro. Non devo scorrere all’infinito o confrontare la mia vita con i profili altrui. Cerco di mantenere una distanza sana. Condivido ciò che mi sembra onesto, non ciò che ci si aspetta.
Avere una vita privata, amicizie vere, conversazioni reali, silenzio autentico è fondamentale per me. Altrimenti, tutto diventa rumore.

Ricordi il “momento della verità” in cui un personaggio, Nicolas o un altro, ha smesso di essere sulla pagina ed è diventato vivo?
Spero succeda con ogni personaggio che interpreto. Il mio compito è trovare la verità in ciò che porto in scena, e credo che quel momento sia proprio l’essenza della recitazione.
Con Nicolas è successo quando ne ho trovato il ritmo: la cadenza del suo modo di parlare, il modo in cui entra in una stanza. Una volta capita la tensione tra il suo privilegio e la sua solitudine, tutto si è allineato. Penso che quel momento sia arrivato già in fase di audizione o il primo giorno sul set.
E più personalmente: qual è oggi il tuo sogno, anche al di fuori del lavoro?
Oggi, il mio sogno è continuare a lavorare. Questa è la mia più grande passione: crescere, mettermi alla prova, affrontare ruoli che mi spingano oltre, costruire una vera continuità in questa carriera. Domani, il sogno è costruire una famiglia.