

Gene and Lennon Gallagher
Fratelli nella musica (non solo per i nomi che portano, né per l’anagrafe importante), i due artisti stanno entrando nel mondo del rock con il cuore. Pronti a lasciare un segno nuovo
Il set appare improvvisamente gotico: fuori piove, la vetrata a piombo si affaccia solenne su un cimitero dalle lapidi sbilenche, fradicie e coperte di muschio mentre, nello studio accanto, sotto le volte lignee di antiche scuderie restaurate e riconvertite, due giovani lupi sono affaccendati davanti all’obiettivo. Gli occhi blu-celtico che balenano sulla carnagione opalescente sono quelli di Lennon, 25 anni, e Gene Gallagher, 23, modelli, musicisti, figli di Liam e nipoti di Noel. E chi scrive – di eredi privo e che ha incontrato padre e zio (due volte) un ventennio fa – è colto da un soprassalto di tenerezza mista a meraviglia nel ritrovarsi davanti questo spin-off dei fratelli-coltelli matrice degli Oasis. Gene, soprattutto: sarà quella sua somiglianza… ologrammatica con l’ex-working class hero Liam (versione corta: è tutto suo padre).

Nei rampolli s’innervano due rami del casato Gallagher, retaggio di un’epoca per Liam sentimentalmente vivace. Lennon è figlio di Patsy Kensit (ex Eight Wonder), Gene di Nicole Appleton (ex All Saints), mentre Lisa Moorish è la madre della primogenita, la ventiseienne Molly. C’è poi Gemma, 12 anni, avuta con la giornalista Liza Ghorbani.
Vite accomunate e sovraesposte le loro, in cui multiple identità e personalità si sono sapute comporre fino a questi scatti, i primi dei “fratelli” assieme. «Con Lennon c’è un’ottima intesa», esordisce preventivamente Gene, come uno che di liti familiari ne ha abbastanza in ambo i sensi. «L’abbiamo sempre avuta. È stato Lennon ad appassionarmi a una musica più dura. Da piccolo, mi piacevano gli Who e i Beatles ed era lui ad aggiornarmi su cosa stava succedendo musicalmente». I ragazzi sono un distillato di quegli anni Novanta che (ri)fecero Britannia cool, gli stessi del blairismo gongolante. Gene deve il suo nome a Gene Simmons dei Kiss (o al jazz drummer Krupa, a seconda delle scuole di pensiero). In quanto azionista di maggioranza del gene-Liam, è lui che vanta il fiuto paterno per il look, la non facile osmosi fra microfono e obiettivo.

«Sono due forme d’arte musica e moda, no? Io le vivo allo stesso modo. Puoi innamorarti delle band solo per come appaiono, prima ancora di averne sentito le canzoni. Le due cose stanno bene insieme», dice in un accento lontano da quello paterno. Sappiamo bene a chi debba il nome Lennon: senza Beatles/Who niente Oasis. Ma quello che per Liam era Lennon, per Lennon è Cobain. «Ricordo quando, da piccolo, mia madre mise In Utero in macchina accompagnandomi scuola: rimasi di stucco. Poi non ci pensai più per un po’, ma a 14 anni mi tuffai nel grunge. Kurt Cobain è sempre stato il numero uno per me. Da bambino guardavo religiosamente i video dei Nirvana». A Lennon piacciono due gioielli come gli Slint (Kentucky) e i Tortoise (Illinois): di certo non si rotola nell’Union Jack. Nel caso fosse sfuggita la notizia della reunion dai biglietti d’oro, meglio ricordarla: il prossimo 4 luglio, gli Oasis – alias, la risposta brit proprio allo strapotere di quel grunge americano tanto amato da Lennon– inizieranno il loro tanto atteso tour mondiale a 30 anni dall’uscita di Definitely Maybe e a 16 da quel fatale Dig Out Your Soul Tour.

Ora riappacificati (?), Noel e Liam sono pronti a riprendersi le arene e a ricordare a tutti l’impronta che la band di Manchester ha lasciato nella storia del pop-rock. Con una sorpresa che forse non lo era: ad aprire per la band, Liam ha chiamato i Villanelle, il gruppo di Gene, onesto combo indie nazionale che… lo ha convinto. Per il motivo di cui sopra? Gli Automotion di Lennon sono decisamente più oltreoceano nel sound e nelle atmosfere. Ma non chiamateli nepo-babies, i giovani Gallagher: vogliono esser considerati per la musica e non l’anagrafe. Per Gene, «la pressione c’è, ma è una buona pressione. È emozionante. È motivante. Ti carica».

Per Lennon, «le aspettative e i continui confronti ci sono da sempre, e sempre ci saranno. Ma continuando a suonare, la band è diventata ben diversa da quella di mio padre. Col tempo quei paragoni hanno cominciato a diminuire. Finalmente sto facendo qualcosa di mio». E la rivalità, che scorre nemmeno troppo carsica in famiglia? Per Gene può essere molto positiva: «Bella, perfino. La competizione fa parte dello sport. È fonte di creatività, ti spinge a creare qualcosa di meglio degli altri». Tornano in mente le tenzoni socioculturali di 30 anni fa fra la Manchester post-operaia degli immigrati irlandesi Oasis e la Londra finanziarizzata dei Blur.

Lennon ha lo sguardo limpido, Gene indossa la ruvidità paterna con una grazia a Liam sconosciuta: da loro aspettiamoci qualcosa di bello. Gene è stato tenuto sulle ginocchia da Mick Jagger: «The coolest man on the planet. Forse a un matrimonio? Non l’ho più incontrato» Non può non avergli giovato. Non fa in tempo a formularsi l’auspicio che già i giovani lupi si dileguano, lasciandosi alle spalle il gotico delle scuderie riconvertite e delle lapidi sbilenche, fradicie e coperte di muschio.
Photos by Bruno + Nico van Mossevelde, styling by Edoardo Caniglia
Grooming: Bjorn Krischker @The Wall Group. Styling assistant: Holly Bartley