Alan Crocetti, 10 anni di rivoluzione fluida nei gioielli
©Alan Crocetti

Alan Crocetti, 10 anni di rivoluzione fluida nei gioielli

di Luca Cantarelli

Dal Brasile a Londra, Alan Crocetti celebra dieci anni di un’estetica che trasforma il gioiello in linguaggio, il corpo in manifesto e la libertà in forma d’arte

“You can burn all the sage u want… I’ll back,” scrive Alan Crocetti nel primo dei post che accompagnano il decennale del suo brand di gioielli. Una frase breve, tagliente, che suona come un rituale di ritorno, un gesto di purificazione e di resistenza.

Da Belo Horizonte a Londra, passando per i banchi della Central Saint Martins, Alan Crocetti ha trasformato l’argento in linguaggio e il gioiello in manifesto. Nato in Brasile, formatosi nella capitale britannica, ha costruito un’estetica che non conosce genere, tempo o definizioni: anatomica e fluida, architettonica e sensuale, sempre fedele all’idea che l’identità sia un corpo vivo, in continua mutazione.

Sono passati dieci anni da quando il designer ha fondato il suo brand, oggi punto di riferimento per una nuova generazione di creativi che vede nel gioiello non un accessorio, ma un’estensione del sé. “Quando ho iniziato, non capivo perché il gioiello dovesse restare ai margini del discorso moda. Volevo portarlo al centro, dargli voce e presenza,” ha scritto di recente sul suo profilo Instagram, dove ha raccolto una serie di riflessioni per celebrare questo traguardo.

Per festeggiare il decennale, Crocetti presenta “Gothika & Tropika: Perception, Protection and Pride”, una collezione che esplora i confini tra percezione e realtà, vulnerabilità e potere. Pietre cabochon disposte come costellazioni organiche, punte che non feriscono ma proteggono, metalli che diventano armature dell’anima. “Gli spikes non sono armi,” racconta, “sono soglie di protezione, difensori dell’autenticità in un mondo che distorce.”

L’anniversario prende forma all’ Espace Parallèle, durante la Paris Fashion week appena conclusain una collaborazione con l’artista portoghese Maria Palma, dove corpi e metallo si intrecciano in un dialogo fisico e poetico sulla libertà, il desiderio e la connessione. Ecco cosa ci ha raccontato.

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Partiamo dall’inizio: com’è nata la tua passione per i gioielli?

Ho iniziato a sperimentare con i gioielli durante l’ultimo anno del corso di womenswear alla Central Saint Martins di Londra (che poi ho abbandonato poche settimane prima della laurea). Mi sono innamorato della gioielleria: della bellezza dei materiali e della complessità del processo creativo. Non capivo perché i gioielli venissero considerati semplicemente come accessori, e perché nessuno cercasse di mettere in discussione quest’idea. Volevo elevarli, portarli al centro della scena e ridefinirne l’importanza all’interno dell’industria. Quando ho iniziato, non esisteva nulla come i miei ear cuffs, e desideravo che ci fosse inclusione anche nel senso di permettere alle persone di adornarsi le orecchie senza doverle forare. Quando ho cominciato a creare ear cuffs, nessuno lo stava facendo, e penso che proprio il fatto di non aver mai studiato gioielleria mi abbia dato un approccio diverso all’anatomia e al modo di progettare. Inoltre, non c’era alcuna rappresentazione maschile. Sentivo che la gioielleria era intrappolata in scatole di genere e di classe sociale, e che fosse più che tempo di rompere quegli stereotipi e liberarla. Esattamente come io avrei voluto che accadesse quando ero bambino.

Qual è il tuo primo ricordo legato a un gioiello?

I gioielli di mia madre. Non ho mai capito perché mio padre non li indossasse o perché, in generale, non si vedessero uomini portarli. Crescendo, ero affascinato dal fatto che qualcosa di così bello potesse essere percepito come una minaccia alla mascolinità. È proprio per questo che ho fondato il mio brand, con immagini che ritraevano prevalentemente uomini che indossavano gioielli. Pensavo che gli uomini volessero essere ispirati e avessero bisogno che qualcuno dicesse loro non solo che potevano farlo, ma che questo non avrebbe definito chi sono. Anche se oggi può sembrare semplice, allora questa idea ha generato parecchie riflessioni, e mi ha reso felice vedere le prime crepe in certe forme di mascolinità tossica. Credo che mettere la gioielleria in “scatole di genere” sia qualcosa di surreale. Io vedo solo corpi e persone che vogliono esprimersi adornandosi come desiderano, liberi da stereotipi Il Nose Plaster della mia prima collezione SS15 è nato per simboleggiare questa transizione: il bisogno di aggiustarci, di liberarci da sistemi antichi e tossici, da quella mascolinità che ci ha sempre trattenuto. Ci siamo feriti – noi stessi e gli altri – e questo pezzo rappresenta anche un percorso di guarigione.

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Come definisci la tua estetica e come si è evoluta nel tempo?

Non ho mai guardato – e non guardo – al lavoro di altri designer di gioielli. Forse proprio perché non ho studiato gioielleria, temevo che includerli nella mia ricerca potesse contaminare la mia visione o il mio modo di creare. Sono molto legato alla soggettività della bellezza. L’anatomia è spesso il punto di partenza del mio processo creativo. Amo studiare le parti del corpo, le loro forme e deformità; in questo modo sento che i miei gioielli diventano un’estensione del corpo stesso Non inizio mai pensando, per esempio, “dovrei creare un orecchino”. Osservo semplicemente l’orecchio e non lo sottovaluto. È così che sono nati tutti i miei ear cuffs Sono anche profondamente ispirato all’architettura. Sono cresciuto in Brasile, influenzato da due padrini del modernismo brasiliano: l’architetto Oscar Niemeyer e l’architetto paesaggista Roberto Burle Marx. Insieme hanno dato vita a una nuova era del design, caratterizzata da forme astratte e curve naturali che sembravano uscite dalla fantascienza. Con il suo approccio rivoluzionario all’estetica del cemento armato, Niemeyer è stato fondamentale nella progettazione della città di Brasilia, mentre Burle Marx, con la sua visione legata alla conservazione della natura, è considerato l’inventore dell’architettura paesaggistica moderna in Brasile. L’eredità di questi uomini si riflette nei miei design audaci e fluidi: gioielli versatili che seguono le linee naturali del corpo.
Sono anche molto ispirato dal brutalismo e cerco sempre di inserire elementi simbolici nelle forme più organiche e meno astratte. Le fonti d’ispirazione, in realtà, sono infinite.

Hai un pezzo preferito?

È difficile parlare di un singolo pezzo, ma lo Space Ear Cuff, il Loophole Ear Set e gli Alien Ear Cuffs sono stati quelli che hanno dato inizio al movimento degli ear cuffs. Si ispirano a Niemeyer e a mia madre, e hanno rappresentato l’inclusione delle persone senza piercing, permettendo loro di adornarsi le orecchie.

Nella tua visione, il gioiello non è mai solo un ornamento, ma anche un atto politico ed estetico: quanto senti la responsabilità di parlare a una generazione attraverso le tue creazioni?

Non ho fondato il mio brand con l’intento di provocare o con la missione di infrangere le norme. Volevo trasmettere un messaggio che abbracciasse l’individualità come qualcosa di naturale, non come un atto radicale. Fin da giovane, ho sentito che il modo migliore per affrontare la “normalità” era viverla con naturalezza. Per esempio, da bambino mi sono rifiutato di nascondere la mia omosessualità. Se non l’avessi accettata io per primo come qualcosa di completamente naturale, come avrei potuto aspettarmi che lo facessero gli altri? Credo che, alla fine, sia importante diffondere questo messaggio: sii fedele a te stesso, sii orgoglioso di ciò che sei e indossa ciò che vuoi. Non c’è nulla di più potente della consapevolezza e dell’amore per sé stessi. Secondo la mia esperienza, trovare la propria “armatura” aiuta a rimanere in contatto con questi sentimenti: li radica nella materia, in qualcosa che puoi vedere e toccare.

I tuoi gioielli incarnano sensualità, ribellione e simbolismo: da dove parte la tua ricerca?

Come designer, ho spesso incontrato resistenze nell’esprimere la mia visione di sesso e sensualità. Nonostante la mia ispirazione venga da romanticismo, arte e poesia, il mio lavoro è stato costantemente censurato dalle piattaforme social, come se le mie immagini potessero corrompere o desensibilizzare le persone rispetto a certe idee preconfezionate di intimità sacra. Voglio invece trasmettere la bellezza e la naturalezza dell’essere sensuali e romantici. Tutto ruota attorno alle storie delle persone.

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Cosa significa per te oggi creare un gioiello “genderless”?

Per me, la linea che separa i gioielli da uomo e da donna è sempre stata sfumata, se non addirittura inesistente. Nella mia visione, la gioielleria è sempre stata fluida rispetto al genere. Le mie creazioni riconoscono la complessità dell’esistenza umana: non sono vincolate da idee limitanti di fragilità femminile o forza maschile. Non ho mai capito perché le donne dovessero essere rappresentate come fragili e vulnerabili, quando io stesso sono cresciuto circondato da donne forti e resilienti. Allo stesso modo, gli uomini non sono sempre così forti come sono stati tradizionalmente descritti, e per molto tempo è mancata empatia e sensibilità nel trattare questo tema. Io ho voluto aprire una porta, creare uno spazio sicuro per tutti. Mi considero un designer: la definizione di “genderless” è una dichiarazione sociale che viene attribuita indirettamente al prodotto. Ogni brand, anche il più tradizionale, può contribuire a questo cambiamento. Alla fine, tutto dipende dal consumatore, da ciò che decide di farne.
È semplice: Alan Crocetti è per chiunque si identifichi con i miei design.

Negli ultimi dieci anni, il mercato è cambiato radicalmente. Quali sono oggi le sfide e come si può restare rilevanti?

Non seguo le tendenze, mi piace uscire dal guscio. Voglio che le persone scoprano pezzi che non sapevano ancora di desiderare. La sfida è andare contro la corrente dell’omologazione, offrendo qualcosa di nuovo in un mondo in cui molti sentono il bisogno di vestirsi allo stesso modo per sentirsi accettati. Per me, invece, tutti possono “appartenere” restando fedeli a sé stessi. È proprio l’essere autentici e offrire prospettive diverse che genera diversità — e la diversità è ciò che rompe gli stereotipi.
Un’altra sfida è rimanere fedeli ai metalli nobili, come l’argento sterling. Ho sempre rifiutato di lavorare con l’ottone, eppure a volte i miei pezzi vengono messi nella stessa categoria.
Non realizzo fashion jewellery: lavoro con materiali e pietre di qualità, fatti per durare nel tempo. Creo gioielli di alta gamma in argento sterling, che non solo sono senza tempo, ma anche sostenibili.

©Alan Crocetti

Con quali materiali o tecniche stai sperimentando in questo momento?

Ultimamente sto lavorando con forme organiche di punte e con composizioni caotiche ma ordinate di cabochon. Non è un processo semplice come può sembrare, ma mi piace così: voglio che chi osserva provi curiosità e percepisca un senso di fluidità. Nel suo simbolo, una rosa e uno scorpione privati delle loro armi, Crocetti racchiude il senso profondo del suo percorso: la forza nella vulnerabilità, la bellezza nella verità. “Sensibilità è l’arma che voglio associare al mio marchio,” scrive. E in un mondo che spesso confonde la potenza con la durezza, Alan Crocetti continua a ricordarci che spesso l’essenza più autentica nasce proprio da ciò che è fragile.