Attore emergente, prediletto dai registi più visionari, Caleb Landry Jones è il volto della campagna a/i 2012 del fashion brand G-Star

La Marlboro che si fuma da sola, dimenticata tra le dita. Le mani eleganti e le unghie sporche, percorse da un tremore come un voltaggio leggero, misurabile dalla cenere che frana in piccole nuvole anche quando nessuno la scuote. Caleb Landry Jones sembra appena atterrato sulla terra da un pianeta lontano. Più un ostaggio che un viaggiatore. Magrissimo e all’erta come certi animali che spuntano dal bosco per attraversare una strada trafficata. Ventidue anni, faccia da martire e da vampiro, questo giovane attore texano è una ferita aperta dove i registi possono deporre a piacimento le loro uova più pericolose. L’ha fatto Daniel Stamm ne L’ultimo esorcismo (2010).

I fratelli Cohen in Non è un paese per vecchi (2007) e Neil Jordan in Byzantium (vampire story in fase di montaggio). E quest’anno, Baltazar Kormàkur in Contraband e il figlio di Cronenberg nell’allucinato Antiviral, dove Jones interpreta Syd March, un imprenditore psicopatico che estrae virus dalle celebrità per iniettarle a pagamento nel sangue di clienti mitomani. Sempre a caccia di volti off, di sguardi-fulmine e talenti crudi, il fashion brand G-Star ha scelto proprio Caleb come volto maschile della campagna autunno inverno 2011/2012. In un hotel di Cannes, il giorno dell’apertura in rue d’Antibes del flagship store della casa di denim olandese, lo incontriamo per un’intervista senza domande. Solo associazioni libere. Immagini. Futuri possibili a cui dare forma, volto e parola.

Cominciamo dal tuo nome: Caleb.

“Cane. Credo che in qualche strana lingua significhi questo, no? Poi so che Caleb è un personaggio della Bibbia, inviato da Mosè nella Terra Promessa. In missione ci va con un altro ragazzo, Joshua. Che non per nulla, è il nome di mio fratello”.

Icona.

“Bob Dylan. Robert De Niro. Bibi Andersson”.

Icona maledetta.

“James Dean, lo psicopatico Billy Milligan, di cui ho una foto appesa in camera da letto, e una qualsiasi delle conigliette di Playboy”.

Moda.

“Non so cosa sia. Per me moda è una maglietta e un paio di jeans. Girando per vetrine sono più le volte che penso ‘diomio, ‘sta roba non la metterei mai’ piuttosto che ‘lo voglio’.  Decido cosa indossare solo prima di un casting, per entrare in un personaggio”.

Stile

“Gangster. Mi piacciono i completi dei malviventi anni Trenta e Quaranta”.

Richardson, ‘il posto migliore in cui vivere in Texas’.

“Lo scrivono su Wikipedia, vero? È la città dove sono cresciuto, un luogo noioso e senza senso. Che vivevo da bravo ragazzo, educato, gentile con tutti”.

Ribellione.

“È cominciata di colpo, a 18 anni. Sono uscito di casa una notte e ho comprato il primo pacchetto di sigarette. Poi sono arrivate tutte le altre prime volte. La prima classe bigiata. Il primo spinello. La prima rissa”.

Scuola.

“Mai stato bene, a scuola. Mi comportavo da giullare per essere accettato, ma non funzionava. Portavo jeans stretti, All Star, pensavo alla musica. Gli altri masticavano tabacco e facevano i duri. Mi avrebbero preso a calci nel culo volentieri se solo avessero potuto. Ma è stato un periodo utile: ho imparato a fregare la gente. A combattere senza combattere. A spaventare chi mi spaventava. Facevo la faccia da pazzo, tremavo, e di solito mi lasciavano in pace”.

Vivere velocemente, morire giovane.

“Conosco il suono dolce di queste parole. Le ho dentro. E sinceramente credo di vivere alla costante ricerca di un modo o di un altro per ammazzarmi, prima o poi”.

Distruggere una camera d’albergo.

“Fatto. E un po’ mi dispiace. Ma è stata una delle notti di sesso più incredibili della mia vita”.

Celebrità.

“Senso di colpa. Sento di non meritarla”.  

Picchiare un paparazzo.

“Mai fatto ma lo potrei fare. Nutro per loro il più totale disprezzo”.

Comprare una villa a Malibu.

“Questo mai. Sono sempre da solo. Ed essere soli in una casa fatta per tanti deve essere tremendo”.

Lentiggini.

“Sono i baci degli angeli. Mia madre mi diceva sempre così”.

Sparire.

“È una cosa a cui penso spesso. Credo che abbia a che fare con la mia fascinazione per la morte e per il suicidio. L’unica cosa che mi tiene vivo è la recitazione. E la musica”.

Amare.

“Essere amati, più che altro. Alla fine è tutto lì. Potrei muovere le montagne per amore. Come del resto potrei finirci inghiottito, dalle montagne, per colpa di un cuore spezzato”.
Testo Raffaele Panizza