Ritratto di chef: Riccardo di Giacinto
Foto: Stefano Segati

Ritratto di chef: Riccardo di Giacinto

di Paolo Briscese

Alla guida del ristorante romano All’Oro (1 stella Michelin), Riccardo di Giacinto ci racconta la sua cucina sperimentatrice. Con un mantra: sperimentare cose nuove prima di tornare alle radici

“Per andare avanti faccio sempre un passo indietro. Per voltarmi, vedere cosa ho fatto, dove sono in quel momento. E chiedermi dove voglio andare. Allora mi muovo verso il futuro che è già passato”. Ha le idee chiare Riccardo di Giacinto, quando parla della sua filosofia in cucina. Abruzzese di origini, classe 1976, vanta collaborazioni importanti con cuochi di fama internazionale come Ferran Adrià, padre della cucina molecolare, e Marco Pierre White, enfant terrible della ristorazione inglese. Oggi lo chef è al timone del ristorante stellato All’Oro (1 stella Michelin), dove propone una cucina fortemente ancorata ai sapori della tradizione, che reinterpreta i grandi classici della cucina italiana in chiave contemporanea, dando vita a risultati soprendenti.

Come è nata la tua passione per la cucina?

È nata molto tempo fa, quando addirittura non andava di moda fare il cuoco. Non ho frequentato l’alberghiero, ma un istituto tecnico commerciale. Ho iniziato a muovere i primi passi nel periodo delle vacanze scolastiche, dilettandomi tra i fornelli. Da subito ho sentito una grandissima spinta emotiva: la cucina poteva diventare il mio futuro. E oggi è il mio mestiere

Che cosa caratterizza la tua cucina?

La mia cucina è caratterizzata da un approccio ludico, che cerca di arrivare sempre dritto al cuore con il gusto. Attingo molto dalla tradizione e sperimento cambiando spesso prospettive e texture. Come per esempio ho fatto con la panzanella liquida del nostro aperitivo, che è un’esplosione nel palato di un piatto della tradizione romana oppure con il cucciolone burro e alici, dove riproduciamo un grande classico della gelateria italiana in chiave romana, è un biscotto al malto, burro e alici.

Quali materie prime preferisci utilizzare?

Prediligo le materie prime del territorio che guardano alla tradizione romana: guanciale, pecorino, pepe nero, agnello, baccalà. Avendo vissuto tanti anni fuori, non nascondo di prendermi qualche licenza inserendo nei miei menù, qualche ingrediente proveniente della tradizione spagnola e francese. È importante provare cose nuove per poi tornare alle radici.

Come nasce l’ispirazione estetica e creativa di un nuovo piatto?

Ci sono piatti che nascono per folgorazione o ispirazione istantanea e altri che seguono un processo creativo composito, frutto del lavoro con i miei collaboratori. Come per esempio il Rocher di coda alla vaccinara che è nella nostra carta da 12 anni, nato per caso durante un servizio in cucina, confrontandomi con i miei collaboratori. Lo abbiamo ingegnerizzato e inserito nel menù.

Quanto è importante partire dalla materia prima per trasmettere delle emozioni al palato?

E’ fondamentale. Per tale ragione, e parallelamente al lavoro, con mia moglie e mia figlia, vado alla continua ricerca di piccoli produttori che sono in sintonia con la nostra etica lavorativa.

Quale piatto consideri rappresentativo della tua cucina?

Non uno in particolare. Ogni singolo piatto che entra nel menù è rappresentativo della mia cucina.

Secondo te, oggi, c’è una nuova consapevolezza nell’approccio al cibo?

Assolutamente. Oggi c’è più consapevolezza, l’enogastronomia è un grande volano per il Paese. Culturalmente, in ogni famiglia, abbiamo una nonna con 4 stelle Michelin; la televisione, la comunicazione e anche il nostro lavoro, poi fanno il resto.

In cucina ha più importanza la forma o la sostanza?

Entrambe, nella stessa misura. Ma se immagino una forma senza sostanza mi annoio.

Hai collaborato con chef stellati, come Ferran Adrià e Marco Pierre White, che cosa hai imparato da loro?

Ho vissuto diversi anni tra Inghilterra e Spagna. Dalla prima esperienza ho imparato il rigore e l’organizzazione. Dalla seconda, invece, ho importato tecnica e creatività. Tutte e due le esperienze hanno contribuito a creare la mia identità in cucina.

Che cosa distingue la cucina italiana rispetto alle altre?

La nostra cucina è la più istintiva! Vedi il classico spaghetto aglio e olio, che per me è uno dei più difficili da realizzare, non esiste ricetta che tenga. Oltre ad una buona materia prima, è importante che ci sia anche sensibilità, gusto, palato, insomma tutte cose molto personali.

Ai fornelli, si lascia più spazio alla testa o al cuore?
È importante costruire la ricetta perfetta: un mix di testa, cuore e tecnica. Nel giusto bilanciamento delle cose è possibile esprimere armonia.

Quanto è importante per uno chef ottenere la stella Michelin?
Tanto. È una grande gratificazione, ma è consequenziale al lavoro che si svolge tutti i giorni. Il vero protagonista del nostro lavoro è il cliente, lavoriamo per far star bene le persone. Detto questo, ricordo con estremo piacere il momento in cui ho ricevuto la notizia della 1 stella Michelin, non ho dormito per giorni dall’emozione.

Che cosa pensi del fenomeno dei chef-star?
Con il loro lavoro hanno sicuramente contribuito a diffondere tra la gente una maggiore consapevolezza verso la cucina, Hanno avvicinato le persone a questo modo straordinario fatto soprattutto di sacrifici e dedizione.

I tuoi indirizzi del cuore…
Negli anni penso di aver cambiato molte volte visione. Apprezzo molto realtà autentiche che esaltano la materia prima e che mi trasmettono vibrazioni tramite il gusto. In questo momento i miei indirizzi preferiti sono Da Rocca a Rocca Calascio in Abruzzo e Romolo al porto ad Anzio.

Secondo te, qual è stata la più grande rivoluzione gastronomica degli ultimi dieci anni? E quali sono le nuove sfide del futuro?

Credo che la più grande rivoluzione sia stata quella mossa da Ferran Adrià che, con la sua cucina molecolare, in pochi anni è riuscito a rivoluzionare quasi tutto il pianeta. Ma la più grande sfida, specialmente per noi cuochi italiani, è quella di conservare, preservare, proteggere la grande identità della nostra cucina, rispettando gusto e tradizione che sono il nostro più grande patrimonio da custodire.