Carta da parati: il grande ritorno di un mito del design che divide
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Carta da parati: il grande ritorno di un mito del design che divide

di Digital Team

Dopo anni di pareti neutre e minimalismo compulsivo, la carta da parati torna protagonista: audace, identitaria, controversa. Un classico che non ammette mezze misure e che oggi è pronto a conquistare anche i più scettici

La parete torna protagonista delle nostre case. Non più sfondo neutro o silenzioso, ma presenza in prima fila. E il merito è della carta da parati: sì, proprio lei, l’elemento di design che per decenni abbiamo liquidato come troppo impegnativo, un po’ kitsch, forse persino datato. Oggi vive una rinascita sorprendente, e radicale. Perché non ammette mezze misure: o la ami o la detesti. Ed è proprio questa polarizzazione a trasformarla in un mito.

Chi la ama vede i muri come superfici da vestire, da abitare, da scegliere. La carta da parati diventa firma, gesto, abito. Chi la teme rifugge l’idea stessa di compromesso, quella bellezza intensa ma “non ci vivrei”. E allora vale la pena chiederselo: come nasce questo mito e come possiamo adattarlo, davvero, ai tempi nostri?

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Origine, mito e caduta

Ben prima di essere un vezzo borghese o un ricordo anni ’70, la carta da parati era già una forma di narrazione domestica. Dalle prime carte di riso cinesi, fino ai panorami ottocenteschi francesi firmati da maison come Dufour (murali interi che colonizzavano pareti con foreste, colline, vedute immaginarie) la carta da parati ha sempre avuto un’ambizione precisa: trasformare la parete in racconto. Quasi fosse una forma d’arte a sé stante.

Poi arrivò il Novecento, il minimalismo, il bianco assoluto. Gli interni si fecero sobri, neutri, “funzionali”. La carta da parati fu relegata nel cassetto delle cose “troppo”. Troppo chiassosa, troppo impegnativa, troppo eccentrica. Un eccesso da rifugi di montagna, da case retrò, da appartamenti che non avevano paura di mostrare carattere. Il design internazionale la mise da parte, ma non la dimenticò mai davvero.

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A questo si aggiunge il trauma pratico: chiunque abbia assistito alla rimozione di una vecchia tappezzeria ricorda colla indurita, strati che non si staccavano, pareti sbriciolate. Un incubo tecnico trasformato in stigma culturale. Così, tra estetica e frustrazione, la carta da parati è stata relegata al ruolo di nemica del buon gusto contemporaneo. Un paria del design domestico.

E non meno importante, la carta da parati impone una scelta. Una scelta vera, definita, quasi ideologica. E non tutti hanno voglia, o capacità, di prendersi quella responsabilità estetica. Molti preferiscono rifugiarsi nella comfort zone della parete monocromatica, opzione prudente e silenziosa, dove il rischio di stancarsi è minimo e il margine d’errore quasi nullo. La carta da parati, invece, chiede di esporsi: di dire qualcosa. E non tutti sono pronti a farlo.

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Siamo di fronte a un revival della carta da parati?

Oggi, dopo decenni di pareti nude e palette sabbia, la carta da parati rientra in scena con un ruolo completamente diverso. Il minimalismo si è incrinato, l’omogeneità degli interni Instagram-friendly ha iniziato a generare più sbadigli che like. La casa non è più un fondale neutro per i nostri oggetti, ma un’estensione della nostra personalità. Un po’ come accade per la moda.

Molto importante in questa rinascita è il contesto. Viviamo in un momento in cui siamo bombardati da impulsi visivi: interior su TikTok, moodboard su Pinterest, hotel boutique su Instagram, case di archistar su ogni feed. Paradossalmente, questa overdose di immagini non ci appiattisce, ma ci costringe a prendere posizione: ci piace questo, detestiamo quello, vorremmo abitare in quell’altro. Molti diventano fashionisti e interior designer per hobby, curatori improvvisati del proprio spazio. E proprio per questo la carta da parati torna irresistibile: è lo strumento perfetto per dire “io sono questo”, non solo “abito qui”.

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Ma non aspettatevi il revival pigro delle fantasie barocche o dei cliché da salotto anni Settanta. La nuova carta da parati nasce in un ecosistema diverso: quello delle tecnologie che semplificano la vita (stampa digitale, materiali tattili, carte che si applicano e si rimuovono senza drammi) e di un’estetica iper-consapevole. Al posto dei piccoli fiorellini ripetuti all’infinito, arrivano pattern botanici oversize, murali che occupano un’intera parete come un quadro site-specific, motivi heritage ripensati con piglio quasi curatoriale, superfici in lino e sisal, effetti tridimensionali, disegni che sembrano usciti da un museo di arte contemporanea più che da un catalogo di bricolage. Che la si ami o la si tema, una cosa è certa: non passa inosservata.

I trend del momento

Nel 2025 le tendenze che emergono raccontano un ritorno potente della natura, con botaniche oversize, fogliami monumentali e motivi tropicali che “portano il fuori dentro”. A questa spinta si affianca una palette più profonda e drammatica, dominata da verdi foresta, blu notte, terracotta e ocra, che restituiscono densità agli ambienti dopo anni di neutri anestetizzati. Accanto alla natura esplode la materia: superfici tattili in lino, sisal, finiture metalliche e texture in rilievo che aggiungono profondità e dimensione visiva.

Non manca il ritorno del modo più colto di guardare al passato: toile, damaschi e pattern heritage vengono rivisitati con taglio contemporaneo, confermando un revival tradizionale ma decisamente aggiornato. Parallelamente si afferma una direzione più grafica e modernista – geometrie, illusioni 3D, pattern architettonici – per chi cerca rigore visivo con personalità. Infine, cresce la popolarità dei murali artistici, grandi formati che trasformano l’intera parete in una sorta di opera site-specific, quasi una pala pittorica domestica.

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Per i più prudenti, anche i neutri tornano in scena, ma solo se animati da texture leggere e strutture che rompono la banalità monocromatica. E mentre la natura guida l’immaginario, si consolida anche una nuova attenzione alla sostenibilità: materiali eco, fibre naturali e produzioni più consapevoli entrano tra i criteri di scelta. È un ecosistema estetico ricchissimo, da scoprire – o meglio – riscopire.