Chi è Jim Joe? Identikit (impossibile) dell’artista preferito dal tuo rapper preferito
Courtesy Getty Images

Chi è Jim Joe? Identikit (impossibile) dell’artista preferito dal tuo rapper preferito

di Tiziana Molinu

La sua firma è comparsa sui muri di New York ed è accostata a nomi del calibro di Drake, Ye e Travis Scott. Eppure, nessuno sa chi sia. Viaggio nell’arte e nel mito dello street artist senza volto che si è infiltrato nel mainstream rimanendo un fantasma. La sua più grande opera? La sua non-identità

Una firma diventata voce prima ancora che volto. Quella di JIM JOE – sempre in maiuscolo, sempre sfuggente – la si è vista su muri, vetrine, portoni di New York per oltre un decennio, poi nell’immaginario visivo della musica più mainstream. Ha lavorato con Drake, è stato nel perimetro creativo di Ye, è riemerso accanto a Travis Scott. Eppure resta nessuno: un’identità schermata. La sua è una presenza-assenza che sfida le logiche dell’industria creativa: un fantasma che lavora con i re Mida del nostro tempo, un mistero che nessuno, nemmeno i più potenti, ha (ancora) svelato.

L’alfabeto di Jim Joe

La sua arte è immediatamente riconoscibile, un glitch nel paesaggio urbano. Testo, sempre. Frasi sibilline, appunti apparentemente casuali, nomi, frammenti di pensieri scritti con un tratto frettoloso, da adolescente che scarabocchia sul banco. “JIM JOE WAS HERE”, “THANK YOU JIM JOE”, “JIM JOE 2007”, “NOTHING BY JIM JOE”. È un’estetica che rifiuta il barocco del wild style per scegliere il minimalismo concettuale: parole come oggetti, messaggi come immagini. Non è (solo) graffiti: è calligrafia, poesia visiva, design collaborativo, performance.

Jim Joe
(Photo by Joseph Okpako/Redferns via Getty Images)

Sembra semplice, quasi naïf. Ma è proprio questa l’astuzia. Il suo gesto rozzo, anti-accademico ha fatto breccia in un contesto alle volte iper-progettato e iper-estetizzato. È un ritorno all’origine del writing, al gesto puro del tag, ma trasfigurato in un mantra personale. I suoi testi non vogliono comunicare un messaggio chiaro; vogliono instillare un dubbio, una curiosità. Sono geroglifici di un culto di cui non conosciamo il dio.

La corte dei miracoli: Jim Joe e l’Olimpo dell’hip-hop

Ad un certo punto della storia, la leggenda diventa fenomeno. Come ha fatto questo fantasma a entrare nelle grazie del santuario più esclusivo della cultura globale? Il suo ingresso ufficiale nel firmamento dell’industria musicale avviene attraverso Kanye West. Il suo nome è spesso accostato all’universo visivo del cantante, seppur senza conferme formali. Ma non stentiamo a crederci, d’altronde YE ha sempre avuto un radar speciale per i talenti “lateral thinkers”.

Jim Joe
Courtesy Getty Images

Poi, arriva il picco del mistero: Drake. La leggenda, alimentata da voci online e trattata con cautela dalla stampa specializzata, vuole che la copertina If You’re Reading This It’s Too Late – quel lettering storto e urgente, oggi entrato nell’immaginario – sia opera sua. La verità però è che queste affermazioni, per quanto persistenti e plausibili, rimangono nell’ambito della congettura e del mito. Nessun credito ufficiale. Eppure, questo è il genio di Jim Joe: persino i suoi crediti più famosi sono avvolti nella nebbia. La sua aura non si costruisce su ciò che ha fatto, ma su ciò che si dice abbia fatto.

E mentre il mondo speculava lui continuava a tessere la sua tela. Questo stesso anno la collaborazione si è estesa a Travis Scott. Questa volta però in maniera ufficiale. Per celebrare i 10 anni di Rodeo con una tee “whiteboard” (una maglietta lavagna) che riprende un suo pannello di appunti.

Jim Joe
Courtesy Travis Scott/Jim Joe

Le origini del mistero

L’anonimato è granitico. Biografia? Pochissimo, un puzzle volutamente incompleto. Il nome non è noto. Nato, si dice, a Montréal, città dove i suoi tag compaiono prima di debordare a Manhattan nei primi 2010s. Non ci sono date di nascita certe, non volti in foto d’infanzia, non interviste tradizionali. La sua identità è la sua opera primaria. È la struttura dell’intero progetto, che gioca con l’autorialità (il paradosso di firmare “nothing by JIM JOE”).

Non è il primo, certamente. Prima di lui, Banksy ha dimostrato come l’anonimato possa diventare un moltiplicatore di aura e un’arma critica. Ma mentre Banksy attacca il sistema dall’esterno con la sua satira politica, Jim Joe vi si infila dentro, silenzioso, quasi un infiltrato. È il Bartleby dello street art: “Preferirei di no”, applicato alla macchina della celebrità.

Jim Joe

Jim Joe, l’ultimo romantico (o il primo post-umano?)

Allora, chi è Jim Joe? Forse non è un uomo, forse è un collettivo, forse un’idea. L’idea che l’arte possa ancora essere un atto puro, svincolato dall’ego. Che il mistero abbia più valore di qualsiasi risposta. Che in un mondo di volto, l’assenza sia la firma più memorabile. È il protagonista di un romanzo di Pessoa trapiantato nell’era degli NFT e degli endorsement milionari. È il flâeur digitale che vaga tra le stories di Instagram dei vip, lasciando il suo segno e sparendo nel nulla. Jim Joe è l’eroe del nostro tempo: un uomo che ha scelto di essere solo la sua opera.

Jim Joe