

La rockstar del pianoforte: intervista a MAKSIM
Dai bunker della guerra croata alle arene di tutto il mondo. La musica come sopravvivenza, poi come vocazione. Incontro con il pianista che fonde Chopin e gli ABBA in uno show epico, e che ora porta in Italia il suo “crossover” Segmenti
MAKSIM è nato a Šibenik, in Croazia sulla costa adriatica. Ha studiato tra Zagabria, Budapest e Parigi, passando per maestri che risalgono all’eredità di Michelangeli. Prima ancora: un pianoforte in casa di un amico, la guerra alle porte, le prove in bunker. La musica come sopravvivenza, poi come vocazione. Da lì, il salto: l’incontro con l’impresario Mel Bush, il contratto con EMI, The Piano Player nel 2003; e il classico che si apre al mondo, dall’Asia all’Europa, con milioni di copie vendute. Un classico non convenzionale, che adesso arriva con un tour in Italia.
MAKSIM suona il pianoforte come se dirigesse un palco rock: band, video wall, luci mobili, una drammaturgia sonora che porta Chopin e Čajkovskij a dialogare con colonne sonore e icone pop. Il tema riconoscibile diventa variazione sinfonica; il virtuosismo si mette al servizio della memoria collettiva. È qui che nasce il suo crossover: un’idea di presentazione della musica classica come linguaggio vivo, condiviso e moderno.

Con Segmenti, il nuovo capitolo, MAKSIM mette in fila frammenti che diventano racconto: ABBA e Queen accanto a Prokof’ev e Čajkovskij, cinema e repertorio, disciplina e adrenalina. L’intervista che segue entra in questo laboratorio mobile (tra memoria e macchina scenica), per capire come si costruisce un suono capace di riempire arene senza perdere la verticalità del classico. In fondo, è la sua scommessa da sempre: trasformare il virtuosismo in esperienza; e far sì che, tra un laser e una cadenza, il pubblico senta ancora il cuore del pianoforte.

Il suo ultimo album si intitola Segmenti, una parola italiana che suggerisce frammenti, parti di un insieme. Perché ha scelto questo termine?
«Segmenti è anche una parola croata e ha lo stesso significato che in italiano: indica un segmento, una parte. L’idea alla base è che il mio nuovo album sia composto da diversi brani e stili musicali. Tutti questi elementi sono i “segmenti” che ho voluto includere nel disco.»
In Segmenti mescola Chopin, Prokofiev e Čajkovskij con ABBA e Queen. Come unisce mondi così diversi tra loro?
«Mi piace sperimentare con stili e generi differenti. Per questo, sia nei miei album che nei concerti, inserisco volutamente musica da film, brani pop e rock famosi, insieme a composizioni classiche. È proprio per questo che si chiama Segmenti: perché amo questa varietà. Un esempio di come scelgo di unire mondi diversi è prendere un tema molto popolare e riconoscibile – per esempio Dancing Queen degli ABBA – e trasformarlo in un pezzo orchestrale e sinfonico. Suona come una composizione classica vera e propria, ma in realtà è una variazione su un tema pop o rock molto noto.»
Questa è la prima volta che porta un tour in Italia. Cosa si aspetta dal pubblico italiano, con la sua forte tradizione nella musica classica?
«Ho già suonato in Italia, ma è la prima volta che faccio un vero tour. Per esempio, due anni fa ho tenuto un concerto a Torino ed è stata un’esperienza straordinaria: la reazione del pubblico è stata meravigliosa. È ciò che spero di ritrovare anche stavolta: che le persone si rilassino e si godano il viaggio musicale che ho preparato per loro.»

Ha in programma qualche sorpresa, magari un omaggio a un compositore italiano o un brano tradizionale per rendere il concerto italiano unico?
«La scaletta e il repertorio sono già stati decisi per il tour, che è iniziato lo scorso anno. Più o meno, restano gli stessi perché tutto, dall’allestimento del palco alle luci e ai video, è accuratamente provato. È il programma che porto in questo tour mondiale. Ho comunque inserito un brano di un compositore italiano: si tratta di un pezzo di Nino Rota.»
C’è un luogo in Italia dove le piacerebbe esibirsi un giorno?
«In Italia credo che l’Arena di Verona sia uno dei posti dove più desidero suonare. È uno spazio meraviglioso, e so che molti miei colleghi si sono esibiti lì. È sicuramente nella mia lista dei desideri per il futuro.»
Durante il tour suonerà anche brani tratti da Game of Thrones e Pirati dei Caraibi. C’è una serie o un film, passato o presente, per cui le piacerebbe, o le sarebbe piaciuto, comporre o registrare una colonna sonora?
«Mi piace sempre includere musica da film e serie nei miei arrangiamenti crossover. Ho persino pubblicato un album intitolato The Movies. Un brano che mi è mancato e che non ho mai eseguito è la musica di Schindler’s List: penso che la sua melodia sia incredibilmente bella. Un altro che probabilmente suonerò presto è la Marcia Imperiale di Star Wars.»

Hai collaborato con giganti come Dolce & Gabbana e Armani. Quanto contano estetica e stile come estensione della tua espressione musicale?
«Ho sempre amato sperimentare con la moda e con il mio look. Ricordo che, quando ho iniziato, ero molto diverso da molti miei colleghi musicisti classici. Mi sono fatto il primo tatuaggio a 18 anni e ho avuto capelli di tutti i colori: blu, gialli, verdi, rossi. Ho adottato uno stile rock sul palco, quindi sapevo di apparire diverso. Penso che sia importante per la mia musica, che è crossover e molto dinamica.»
“La rockstar del pianoforte”: ha sfidato l’immagine tradizionale del pianista classico. Quanto conta lo “show” per avvicinare nuovi pubblici?
«Mi concentro principalmente sulla musica crossover. È più vicina al pop, perché incorpora beat moderni, elementi di produzione e l’atmosfera complessiva di un concerto pop. Quando mi esibisco, sono sul palco con una band e i miei show somigliano molto a quelli pop: ci sono video wall, luci mobili, proiezioni. Dietro a tutto ciò c’è tantissimo lavoro e preparazione. Tutto questo crea un’atmosfera molto dinamica, che il mio pubblico adora.»
Chi è e che tipo di rapporto ha con il suo pubblico?
«Il mio pubblico varia a seconda della parte del mondo in cui mi trovo. In Asia – soprattutto in Cina, che è il mio mercato più grande – ho moltissimi spettatori giovani. In Nord America e in Europa, invece, è più misto, con molti adulti e appassionati di musica classica. Amo questa energia e lo scambio che avviene sul palco: quando do il cento per cento, la reazione del pubblico mi restituisce ancora più forza per suonare con entusiasmo.»

Qual è stato il suo primo incontro con il pianoforte? Cosa ricorda di quel momento?
«Avevo otto anni quando il mio migliore amico Aleksandar aveva un pianoforte a casa sua e me ne innamorai subito. Da bambino facevo finta di suonarlo e pregavo mia madre di iscrivermi a scuola di musica. Appena lo fece, decisi immediatamente che sarei diventato un pianista. Era piuttosto insolito, venendo da una piccola città costiera dove nessuno ascoltava o suonava musica classica. Ma ero completamente concentrato su quell’obiettivo. Più tardi, grazie al mio insegnante, mi innamorai anche della musica in sé.»
Il bunker del pianoforte: la storia delle sue prove durante la guerra è molto forte. Quali suoni o emozioni ricorda di quel luogo? In che modo quell’esperienza claustrofobica e pericolosa ha influenzato il suo modo di “sentire” la musica?
«La guerra è stata un’esperienza orrenda, spaventosa e minacciosa. Tuttavia, nonostante le circostanze estremamente pericolose, decisi di continuare a esercitarmi e studiare pianoforte anche mentre le bombe cadevano sulla mia città. È stata un’esperienza indelebile che ha rafforzato la mia determinazione a diventare un pianista di livello.»
C’è stato un insegnante o una persona che l’ha ispirata o incoraggiata a perseverare e trovare la tua strada, anche quando potevi sembrare non convenzionale?
«Tutti i miei insegnanti di pianoforte sono stati musicisti classici, ma hanno sempre accettato e apprezzato la direzione che ho scelto il genere crossover. Venivano spesso ai miei concerti. Ma la persona con cui ho iniziato davvero a fare crossover è il mio manager, Mel Bush, uno dei pionieri di questo tipo di musica.»

Molti giovani pianisti ti considerano un modello. Qual è il consiglio più importante che darebbe a chi sogna di fare della musica la propria vita, soprattutto se vuole seguire un percorso non convenzionale come il suo?
«Puoi avere dita naturalmente veloci o una buona tecnica, ma devi comunque dedicare infinite ore alla pratica per affinare quel talento e dargli un vero valore. Ogni grande esibizione richiede tempo, pazienza e sacrificio. Nulla nella vita arriva facilmente: tutto ciò che conta richiede impegno e perseveranza.»
Si sente soddisfatto dei traguardi raggiunti?
«Credo che il successo che ho raggiunto oggi comporti anche una grande responsabilità. I miei standard di perfezionismo sono molto alti, e mi spingo costantemente per raggiungerli. Per questo non mi concedo molti errori: fa parte della responsabilità che sento come pianista. Mi considero anche molto fortunato, perché il mio lavoro ruota intorno all’arte e alla musica — se posso persino chiamarlo “lavoro”. Vivo e respiro musica: la studio, la ascolto e la suono sul palco. Essere un artista è incredibilmente gratificante.»
Qual è il suo più grande sogno?
«Il mio sogno più grande è continuare a fare quello che faccio per molti anni ancora. Vedo la musica non solo come un lavoro, ma come una parte importante di me, della mia identità. Il mio sogno è essere sul palco, viaggiare per il mondo e condividere me stesso e la mia musica con le persone per tutto il tempo possibile. Questo è il mio sogno più grande.»