Vestirsi ad arte! Gli artisti diventati icone di stile
British painter, draughtsman, printmaker, stage designer and photographer David Hockney, at Rising Glen, circa 1978. (Photo by Michael Childers/Corbis via Getty Images)

Vestirsi ad arte! Gli artisti diventati icone di stile

di Elena Bordignon

Siamo andati a caccia di quegli artisti il cui talento non si è manifestato solo nelle loro opere, ma anche nella scelta degli abiti e il cui stile è diventato inconfondibile

Tra i primi citiamo sicuramente Andy Warhol che, distinguendosi dalla fauna che lo attorniava, ha sempre fatto delle scelte sobrie in fatto di abiti. Per lo più optava per il nero o il blu, colori che facevano risaltare la sua capigliatura biondo cenere. Il suo outfit più celebre prevedeva grandi occhiali scuri, camicie azzurre o magliette a righe e jeans blu scuro o neri. 
Nella scuderia di Warhol, non possiamo non citare Basquiat, primo artista nero a raggiungere cifre stellari con i suoi quadri. Si racconta che dipingesse sempre a piedi nudi, indossando costosissimi abiti Armani portati come fossero delle tute da muratore. Bando alla formalità, usciva per il giro dei locali imbrattato di colore e schizzi di vernice. Il suo stile – non so se si può chiamare tale! – è quello tipico di tanti pittori di ogni epoca.  

Sempre restando nell’area newyorkese degli anni ’70 – ’80, citiamo Robert Mapplethorpe, il fotografo che più di altri ha smontato i cliché di ciò che può essere considerato fotografabile. Omosessuali, trans, pratiche sadomaso, erotismo spinto alla pornografia. Per Mapplethorpe non c’erano barriere o limiti. Quando era un artistello squattrinato, assieme a Patty Smith, andava in giro per NYC con magliette sbrindellate, collanine, jeans lisi; sbarcato nella scena artistica, lui e pochi altri, hanno sdoganato giacche e gilet in pelle anche negli ambienti più sofisticati. 
Sempre a NYC negli anni ’80 non era strano vedere artisti elegantissimi con abiti su misura – quando Jeff Koons ha iniziato la sua carriera, si divideva tra l’arte e il mestiere da broker a Wall Street e vestiva solo con abiti griffati – ma ci si poteva imbattere anche in artisti come Julian Schnabel che, spirito anticonformista, andava in giro in pigiama. Non era raro vederlo a cene di gala, prime cinematografiche e openings con pantaloni morbidi con elastico in vita e ampie casacche a quadri. 

Sempre in quegli anni, non dimentichiamoci la nascita della scena breakdance di cui Keith Haring ha incarnato spirito, vitalità ed energia. Il suo abbigliamento tipico erano t-shirt (spesso decorate con i suoi inconfondibili graffiti), jeans o pantaloni della tuta e, naturalmente, delle sneakers.
Di tutt’altro genere è la ‘stoffa’ di David Hockney, l’artista inglese che da sempre si veste coloratissimo, come i suoi quadri. In tanti suoi ritratti lo si vede indossare capi rosa, gialli, blu e rossi. Nelle interviste ha sempre ribadito la sua propensione per ‘vivere a colori’. Contraddistinguono il suo abbigliamento gli occhiali grandi tondi, capelli biondo platino, spesso calzini spaiati, maglioncini a righe o in tinta unita sempre sgargianti .“Lo stile”, ha detto Hockney, ” è qualcosa che si può adottare comportandosi come una gazza: prendendo soltanto ciò che si vuole.”

Restando sempre in Inghilterra non possiamo non citare la coppia leggendaria di artisti emersi negli anni ’60, Gilbert & George. Famosa è rimasta la loro esibizione The Singing Scuptures (1969) che sfidava apertamente le convenzioni della borghesia e dell’alta società. Si presentarono vestiti di tutto punto ma con la faccia colorata come se fossero delle sculture di bronzo. Da allora si sono sempre presentati in pubblico elegantemente vestiti come fossero dei veri e propri manichini o automi. Furono chiamati “sculture viventi”. 
Tra gli artisti tedeschi del secolo scorso, a diventare icona – suo malgrado – di stile, c’è senza dubbio Joseph Beuys. C’è una fotografia che è diventata, in seguito, un’opera d’arte, scattata nel 1972 ad Anacapri, dove si ritrovavano a soggiornare i migliori artisti e intellettuali di quegli anni, che mostra Beuys che procede con passo deciso e sguardo fiero verso lo spettatore indossando la sua solita “divisa”: cappello in feltro, giubbotto, stivali e borsello a tracolla. Titolo dell’opera? “La rivoluzione siamo noi”.