Danny Khezzar: dal rap alla haute cuisine, senza mai smettere di sognare

Danny Khezzar: dal rap alla haute cuisine, senza mai smettere di sognare

di Lella Scalia

Voleva diventare una star del rap. Poi la passione per l’alta cucina ( più due incontri importanti)…e l’avventura è cominciata

Sguardo ridente, treccine rasta, Danny Khezzar si presenta in tenuta bianca da cuoco anche se, dice, ama il giallo oro e vestire «mescolando sneakers, T-shirt e pantaloni eleganti a vita alta, un bel gioiello magari…». Ma ciò che colpisce nel ventinovenne chef dello stellato Bayview di Ginevra e a capo del suo Monsieur Claude, bistrot a Reuil-Malmaison, sono la gioiosa forza di volontà e la granitica passione che lo guidano nella spola tra la “vista lago svizzero” e la sua creatura a circa 15 minuti da Parigi. Cominciamo allora dal Monsieur Claude. «Al Bayview abbiamo 27 coperti e tanta richiesta. A Parigi, invece, i miei ristoranti erano sempre affollati, ma spot», racconta riferendosi ai suoi progetti “effimeri” di successo come Le Quai 96 o La Casa Don Papa. «Pensavo quindi a un ristorante fisso, aperto a tutti, non il solito gastronomico, menu a 49 euro con primo, secondo e dolce. Niente a che fare col Bayview, si punta all’essenziale, al gusto, c’è meno lavoro di impiattamento, tutto è più familiare, con le ricette di mio nonno Claude, che aveva un bistrot proprio a Reuil».


Un luogo sospeso a 14 metri di altezza, di vetro e specchi, sorta di astronave del futuro con un pianoforte in mezzo alla sala. E il cui nome è scaturito per caso «da un concorso su IG, il cui vincitore si è aggiudicato un tavolo libero nel locale per un anno». Un cerchio che si chiude, anche se da adolescente voleva «diventare una star del rap», suonava la chitarra, cantava e scriveva i testi per il suo gruppo, Les Frères Bizzy… Ma cosa guida l’instancabile folletto? «Quando a tavola vedo la gente sorridere. Penso la mia cucina come un universo a parte, in cui tuffarsi, come in un film». La vita è un gioco e la cucina pure per Khezzar, che ha iniziato presto a tramestare tra i fornelli, ma cosa lo ha portato all’école hôtelière? «Studiare non era il mio forte e i miei volevano avessi un mestiere, anche se non escludevano la musica, e a me andava bene così». Danny Khezzar ha preso le redini del Bayview il 1° maggio 2023, al fianco dello chef pluristellato Michel Roth. Un personaggio importante. A 14 anni i genitori gli offrono un brunch – il pranzo era fuori portata – al Ritz di Parigi dove Roth era chef. «Mi presento, gli dico: “Un giorno sarò un grande chef come lei”, e mi ritrovo col suo biglietto da visita… “Se hai bisogno di fare uno stage…”.


Detto, fatto. Sono arrivato in una cucina pazzesca, con 40 cuochi, mi sono messo in un angolo, senza dire nulla, a lavorare, ascoltare e imparare. E lui ha visto in me questo senso di meraviglia. È stata dura, anche perché abitavo lontano dal centro di Parigi. Tornavo a casa tardissimo, mezzi di trasporto zero, a volte con la bici, più spesso a piedi, impiegavo ore. Ma mi ha forgiato». Momenti di disperazione? «Al contrario, non c’era sera che non mi sentissi felice di aver imparato. Volevo sapere tutto, non intendevo subire scacchi, né rinunciare». A 18 anni, la grande occasione, commis al Gaya di un altro stellato, Pierre Gagnaire. «Con lui, a differenza della totale classicità di Roth, tutto è permesso, parliamo di improbabili associazioni». Ma a 19 torna con Roth, al Bayview. «Mi ha chiamato dicendomi che stava iniziando una nuova avventura e cercava elementi di valore, quindi…».

Entriamo in cucina: stellata o street food? «Le cose buone! Non hanno un indirizzo, le possiamo trovare in un ristorante gastronomico o all’angolo di una strada in Asia». Ma per essere liberi bisogna conoscere i fondamentali. «Come in ogni mestiere. Con Roth ho imparato quelli della cucina francese, le salse, la cottura, la rosticceria, i grandi tagli di carne… Con Gagnaire la creatività assoluta, il mescolare i sapori. I miei piatti sono questo, un classico originale, e ludico». Ecco dunque un hamburger, tipico street food, con una salsa ai tre pepi rubata ai tradizionali tournedos. O il gratin dauphinois (patate gratinate), eletto “il più sottile al mondo” e diventato la sua firma. «Ho rielaborato quello di mia nonna, trasformandolo in una cialda sottilissima e trasparente che però conserva tutte le note originali. Abbiamo provato un’ottantina di volte prima di riuscirci, per ben quattro mesi». L’etica in cucina esiste?


«Per me è la normalità, l’intento è lavorare a km zero e a seconda della stagione, al Bayview quanto al Monsieur Claude. A Ginevra il cliente può scegliere tra due menu, grande e piccolo, ma non sa cosa mangerà. Siamo quindi liberi di lavorare in funzione dei produttori, optare per manzo o agnello macellati solo la vigilia, e per il pesce abbiamo un lago qui davanti, quindi 100% etico e rispettoso della stagionalità». A volte lei finisce il piatto al tavolo… «Così si può rinfrescare il gusto all’ultimo momento. Ma grattugiare un limone di Mentone davanti al cliente ha anche una componente olfattiva, così come fargli assaggiare il caviale sulla sua mano stimola il senso del tatto. Vivere un’esperienza multisensoriale fa ricordare meglio e a lungo». Questo “ragazzo di periferia”, mix di cultura urbana, street art, musica, approdato all’alta cucina ed “esploso” mediaticamente nel ’23 con la trasmissione Top Chef, nel suo futuro cosa vede? «La stessa linea fino alle tre stelle Michelin, il sogno da quando sono bambino. Bisogna sognare. Vediamo dove mi porta il vento, io credo nella mia buona stella».

Photos by David Ledoux, styling by James Sleaford, Grooming: Anne-Esther Dina-Ebimbe. Production: Corinne Piton