Incontro con Gianluca Clerici, lo chef di Sogni che ha un segreto felice: la semplicità

Incontro con Gianluca Clerici, lo chef di Sogni che ha un segreto felice: la semplicità

di Lella Scalia

Dalla cucina condivisa al crudo di mare, lo chef Gianluca Clerici serve emozioni vere in un luogo dove ogni dettaglio è pensato per accogliere e sorprendere

Mi piace arrivare presto sul “mio” set, annusarne i sentori, indossarne gli abiti prima dello spettacolo. Quando entro da Sogni, il ristorante aperto nel 2023 dall’imprenditore di moda e nightlife Claudio Antonioli a Milano, in zona Corso Genova, tutto è quieto. Qualche rumore arriva dalla cucina, e aspettando lo chef Gianluca Clerici, Roberta (che si occupa degli eventi) mi racconta quel che qui succede dalle 18: musica scelta, cocktail, il popolo della notte che prende possesso dei divani di velluto, luci basse, candele, un bancone-bar che diventa luogo di chiacchiere e drink e pure spazio per la cena magari dei signori Cracco con Bastianich, o dei fratelli Cerea, Berton… Poi la sala del refettorio col tavolo condiviso, la veranda – vetro, ferro e piante – tavoli da due nell’intima gallery…


Lo Chef Gianluca Clerici all’interno del ristorante Sogni

Ed ecco il “regista”, buongiorno chef: prima di Sogni, Clerici ha passato quattro anni, sempre a Milano, alla Langosteria dove, dice, «ho ampliato la mia esperienza a livello aziendale». Le sue qualità, le competenze sono germogliate all’ombra di nomi noti: «Da Vittorio ci sono stato circa due anni, un primo momento di vera carriera», ricorda. Molto è girato intorno a Bergamo; cita «il Papillon a Torre Boldone, il cui chef Antonio Ghilardi mi ha poi mandato a Baltimora, al Sotto Sopra di Riccardo Bosio. Poi Il Saraceno di Cavernago, infine la Langosteria, dove arrivo dopo l’Aigua, al Port de la Savina di Formentera». Ma dove, quando è scattata la molla? «A casa! A 7-8 anni mi mettevo accanto a mia madre e lei, “dai fai il cuoco”. A 12 anni preparavo il tiramisù per il compleanno di mio padre, la lasagna, le melanzane sott’olio amate da mia madre… Nella fase della scelta del futuro mi divertivo così, e allora ho fatto l’alberghiero». E poi il mestiere di chef. Tempi e ritmi serrati, impegno e attenzione costanti. Qual è la cosa più difficile e quella necessaria? «Al di là degli orari, e non è poco, gestire le persone: per poter bene agire, devi conoscere il tuo team. Indispensabile è poi il controllo di tutto e la conoscenza profonda delle materie prime: per un risultato eccellente devi avere una base sicura».


Gli interni di Sogni. Il ristorante milanese che sembra un club e che porta la firma di Claudio Antonioli, imprenditore della moda e della vita notturna

Come quella che lui ha del prodotto ittico. Il suo menu è all’insegna della filosofia pescetariana: niente carne, solo pesce nelle varianti che trae da un prodotto freschissimo: branzino e capperi, limone e salvia con chips di salvia, la più classica delle paste, con le vongole, ma anche il caviale, il tonno rosso, i crostacei, la parmigiana… E sì che è un lombardo doc! «Il pesce mi è sempre piaciuto, ma non è stata una scelta voluta, mi ci son trovato dentro, accumulando l’esperienza che ho portato fin qui, pesce italiano con inserto vegetariano, Antonioli è vegetariano…». Come vi siete conosciuti? «Amici comuni. Ci siamo persi e ritrovati, e alla fine l’idea sempre latente di fare qualcosa insieme è sbocciata. Lui ama i sapori veri e, come me, quelli della cucina tradizionale italiana». Usa spesso le parole vera e tradizionale perché, dice, «qualsiasi cosa io crei non devo mai andare oltre. Ho sì attraversato esperienze di cucina più “estrema”, in Langosteria si usavano gazpacho e altre salse, buone, buonissime, ma non fanno parte della tradizione italiana. All’inizio non è stato facile, Milano è una piazza difficile, ma se funzioni… Oggi abbiamo un pubblico molto cool, l’innesto moda-musica-cucina è riuscito, e la cucina, la sua materia prima, qui non passano mai in secondo piano, anzi…».


Arriviamo al connubio che annuso da quando sono entrata, moda e cucina: c’è alchimia, similarità tra stilisti e chef? «Siamo artisti che utilizzano materie prime di pregio, e al di là del gusto dobbiamo conoscere quello che maneggiamo, capirne a colpo d’occhio la qualità, immaginarne la resa finale e darle vita. Conoscenza per ambire all’eccellenza. La cucina come la moda fa sognare, regala composizioni “sartoriali” fatte di aromi, sentori, di profumi e colori che raccontano il gusto e l’estetica di ogni chef, come film diversi. Il mondo del lusso, poi, mi appartiene nel senso di accontentare il cliente. È stato così anche con Antonioli, in una collaborazione“reciproca” dove lui lancia l’idea e io le do forma e sostanza, o io faccio e lui rimescola secondo le sue visioni».


Lo Chef Gianluca Clerici all’interno del ristorante Sogni

Ma interagisce anche coi clienti? «Certo, io accolgo i pareri costruttivi, ma che non snaturino il piatto. Mi spiego: lo spillo alla puttanesca chiede una preparazione barese, l’assassina, che dà al piccolo calamaretto un fondo leggermente amarognolo… Ecco, io non modifico il piatto, che vuole quel gusto, anche se qualche cliente lo contesta, ma per poterlo fare devo raccontare il piatto al tavolo, farne capire le sfumature». Qual è l’elemento “vittorioso” della cucina di Sogni? «La nostra semplicità. E quella di uno spaghetto al pomodoro ben fatto è lo stato dell’arte puro». Siamo al rush finale… Se le dico trend in cucina, che mi risponde? «Il tradizionale fatto bene e nelle giuste porzioni». Che chef si sente? «Dinamico, positivo, felice, solare». Il suo piatto assoluto? «Il primo, la pasta per un italiano è immancabile, e poi i crudi». Cosa ama e detesta in cucina? «Amare, amo tutto. Mi dà fastidio non trovare ogni cosa a posto, sono maniaco di pulizia e ordine». Sceglierebbe sempre di essere uno chef? «Sì, mai cambierei il mio lavoro con un altro! Per me è estrema felicità, anche se a casa il più delle volte lascio cucinare mia moglie».