

Jamie Dornan
Con una carriera come modello, testimonial e ora attore carismatico, non gli credi quando confessa che invece davanti all’obiettivo è sempre a disagio. E le sorprese non sono finite
La prima impressione che si ha di Jamie Dornan è rassicurante. È un uomo bellissimo, ovvio, non si prende troppo sul serio e, cosa ancor più adorabile, non è per niente schizzinoso. Siamo in uno studio fotografico nel nord di Londra, in attesa del nostro toast. Quello di Jamie schizza dal tostapane e attraversa la stanza in una traiettoria curva finendo sotto un tavolo. Senza esitazione, Jamie si inginocchia, raccoglie la fetta, le soffia sopra e la rimette nel piatto come se nulla fosse. «È la regola dei tre secondi», sorride, masticando la crosta. Mi sta già simpatico. Più tardi, il modello diventato attore entra in scena indossando un paio di voluminosi pantaloni di maglia a trecce grigi di Loewe (di cui è brand ambassador), talmente larghi, pesanti e clowneschi che deve trascinarsi sul pavimento come un pattinatore alle prime armi.
«Vuole provarli, Paul?», mi dice strizzandomi l’occhio. «Non so se li indosserei per andare a fare la spesa, ma sono audaci e coraggiosi, il che non è male». Si siede su una sedia, arrotola i pantaloni fino al ginocchio e sprigiona quel tipico carisma da star che ti cattura come un incantesimo. È abituato a essere fotografato. Ha prestato il volto a campagne pubblicitarie per brand come Dior, Hugo Boss e Calvin Klein, e quando si tratta di promuovere un marchio, sa come fare colpo. In pochi secondi si cala in un “personaggio” (di solito molto lontano dal suo), fissa intensamente l’obiettivo e sfodera quel fascino innato da irlandese straordinariamente bello che, in un’industria piena di identità costruite, risulta genuino e naturale. Per cui mi sorprende quando confessa: «Sono a disagio quando mi scattano delle foto. Penso che la maggior parte delle persone lo sia; trovo strano il contrario».

Alcuni probabilmente lo sono, ma non la metterei così; soprattutto quando si vede il risultato finale.
Io non voglio vedere il risultato finale. Potrei non riuscire a evitarlo, ma odio il processo. Quando ho iniziato a fare il modello, sono cresciuto in un’epoca di Polaroid, quando c’era molta più fiducia tra tutti.
E l’immagine era composta nella macchina fotografica, non in post-produzione.
Esattamente. Oggi, soprattutto se stai facendo una campagna pubblicitaria, si fermano dopo ogni scatto per sottoporlo a una sorta di analisi collettiva. La fiducia è com-pletamente sparita; lo trovo davvero triste.
Mi parli del suo rapporto con Loewe. Ha detto che c’è intesa.
Sono a mio agio con Jonathan Anderson. Veniamo dalla stessa parte del mondo e mi trovo subito bene con le persone che hanno avuto un’esperienza di vita simile alla mia. Stavo per dire che abbiamo lo stesso accento, ma penso che lui diventi ancora più nordirlandese quando è con me. Il suo accento è diventato un po’ bizzarro ormai.Non c’è finzione in Dornan, e qualunque sia la qualità che lo rende così, ne ha da vendere. È questa combinazione di fascino, intensità e vulnerabilità a renderlo speciale. La versatilità con cui interpreta ruoli diversi, dal cupo Christian Grey in Cinquanta sfumature di grigio a personaggi più sfaccettati in drammi come The Tourist e Belfast, è impareggiabile. La verità è che Dornan dà profondità. In The Fall-Caccia al serial killer ha interpretato l’omicida seriale Paul Spector, un personaggio complesso e profondamente turbato per cui ha ricevuto meritati elogi. È un ruolo che ha consolidato la sua reputazione di attore serio.
Ma come può un bellissimo ragazzo, ex modello, sfidare le aspettative ed essere così credibilmente bravo a esplorare tutte queste diverse sfaccettature dell’animo umano?
Ho letto molti libri oscuri e ho cercato di insinuarmi nella mente di una persona così, per capire che cosa spinga a provare tanto odio. Spesso è un insieme di cose accadute durante l’infanzia, ma a volte non è così. Con i serial killer e gli omicidi multipli, di solito tutto parte da un abuso subito da bambini. Il che è proprio l’opposto della persona che sono io!

È vero. Anche la sua semplicità e la sua modestia hanno contribuito alla sua grande popolarità. Il suo stile professionale, lontano anni luce dalla ricerca della fama a ogni costo, lo fa amare sia dai fan sia dai colleghi. Il fotografo David Sims mi ha detto che lei è una delle sue persone preferite di sempre.
Che bello! È davvero una bella cosa, considerando quante persone Sims ha incontrato. È un genio. Da irlandese, faccio fatica anzi, in realtà, tutti noi, l’intera isola, facciamo fatica ad accettare complimenti.
Perché?
Non so, è qualcosa di imbarazzante. Sono cresciuto in un ambiente in cui avere un grande ego era visto male. Quindi penso che commenti come quello di David possano essere percepiti come qualcosa che alimenta quell’ego. Ma ogni tanto, i complimenti arrivano da persone che stimi tanto: sarebbe da pazzi non accettarli e non rimanerne colpiti.
È una caratteristica nordirlandese essere scettici?
C’è uno scetticismo innato in me e nelle persone con cui sono cresciuto. Non so cosa sia, ma lo riconosco chiaramente. Avere un po’ paura del cambiamento è un nostro punto debole. Nella mia terra c’è una tendenza a guardare al passato che può essere problematica. Gran parte di questo nasce dalla paura.
Come reagiscono le persone quando torna a casa? È come la sindrome del papavero alto, dove cercano di ridimensionarti?
Sono stato sempre consapevole della sindrome del papavero alto. Mio padre ne parlava spesso. Ma non l’ho mai provata. Non ho mai preso troppo le distanze da Belfast. Mi sono imposto di rimanere molto legato alla mia città. Non ci vivo da 23 anni, ma è solo per le circostanze della vita. Ho sposato un’inglese e ho tre figli inglesi privilegiati, ma possiedo una casa nella mia città d’origine e la maggior parte dei miei amici vive ancora lì. Non ho mai perso nessuno di loro perché sono completamente disinteressati a quello che faccio. Non vengo messo su un piedistallo. Mi piace pensare di essere stato rispettoso verso il mio Paese.
Si sente più irlandese o britannico?
Mi è sempre stato detto che sono irlandese, ma il mio vicino di casa potrebbe sentirsi esattamente l’opposto. Sono le complessità del posto. È un luogo complicato.

Nel mondo della recitazione, c’è stata una sorta di rinascita irlandese di recente.
Certo, sì, tantissimo.
Conosce tutti i protagonisti?
Conosco Paul Mescal, Barry Keoghan e Cillian Murphy. Andrew Scott lo conosco da sempre. C’è un legame genuino e sincero tra tutti noi, fatto di supporto e orgoglio. A volte basta uno sguardo. Se pensa agli ultimi quattro o cinque anni, da Belfast a Gli spiriti dell’isola, e a tutti i progetti individuali che ognuno sta facendo, la situazione è molto diversa da quando ho iniziato. Ricordo un’osservazione interessante di Cillian. Ha detto che quando era giovane, gli unici che facevano soldi con il cinema e la tv in Irlanda erano Liam Neeson e Jim Sheridan. Ora ci sono intere generazioni di ragazzi che fanno grandi cose. È emozionante vedere cosa accadrà in futuro.
Nonostante la sua apparente sicurezza, lei ammette di soffrire di momenti di ansia.
Avere un po’ di paura è positivo. Sto per iniziare un nuovo progetto, probabilmente una delle cose più importanti che abbia mai fatto, e questo è sempre il periodo in cui mi sento più a pezzi.
È la paura che la spinge ad andare avanti, giusto?
Assolutamente. Ma penso che sia sano essere ansiosi e provare paura, altrimenti galleggiamo semplicemente nella vita, senza sfide significative. Ho appena finito di girare The Undertow, un nuovo crime drama di Netflix. È stato il lavoro più lungo della mia vita, e probabilmente anche il più difficile, perché interpreto due gemelli identici, quindi ho dovuto assumere due ruoli. Probabilmente uscirà alla fine di quest’anno.
Oggi gli attori sono considerati dei geni universali che non stanno più seduti ad aspettare una chiamata. Si considera parte di questa categoria?
Probabilmente sarebbe sbagliato dire di no, semplicemente perché ho altre cose in ballo. Collaboro con Loewe, con la Diet Coke, e ci sono altri progetti al di fuori della recitazione in cui sono coinvolto. Sembra una frase fatta, ma davvero non voglio essere solo una cosa. Non sono quel ragazzino che è cresciuto sognando di fare l’attore. Adoro questo lavoro, ma non è l’unica cosa che voglio fare.
Ha avuto un percorso attoriale piuttosto anomalo. Cinquanta sfumature di grigio non è andato come previsto; The Fall-Caccia al serial killer è stato un punto di svolta, e infine The Tourist, che è stato un successo formidabile.
Non ci rifletto troppo. Seguo l’istinto e vado avanti. Sono davvero grato quando ottengo un successo. Ma poi ci sono altri progetti che ho fatto, altrettanto validi, che non hanno ricevuto la stessa attenzione. Ho fatto anche cose che non erano granché e che hanno avuto fin troppa attenzione. Ci sono alti e bassi.
Se la parola “fortuna” è quella giusta, è stato fortunato fin dall’inizio con Marie Antoinette. Un debutto incredibile.
Ci crede che è stata la mia prima audizione in assoluto? Avevo un agente da appena quattro giorni. Ma non stavo cercando di fare l’attore. Sapevo di avere qualcosa dentro di me, ma non stavo perseguendo attivamente questa strada. È stato un caso. La mia ragazza di allora, Keira Knightley, aveva un agente che mi disse che avrei dovuto tentare. Così ho fatto l’audizione e, di punto in bianco, mi sono ritrovato a un tavolo al Hemingway Bar del Ritz di Parigi con Sofia Coppola e Ross Katz, il produttore. Abbiamo bevuto un paio di Martini e, prima ancora che me ne rendessi conto, ero in un film.

Da Holywood in Irlanda a Hollywood in California.
Onestamente non avevo idea di cosa stesse accadendo. Di recente, ero su un aereo diretto a New York, e qualcuno sul sedile davanti a me guardava quel film. Io lo osservavo da dietro, guardando le mie scene, e pensavo: «Chi cazzo è quello e cosa sta facendo?».
Si rendeva conto di essere un po’ in difficoltà?
Sì, riuscivo a vedere la paura nei miei occhi. Sofia aveva fatto una cosa intelligente: aveva tenuto me e Kirsten Dunst separati, così non ci siamo incontrati fino alla nostra prima scena insieme nel film. Onestamente non avevo idea di cosa stesse succedendo. Avevo delle battute da dire e non sapevo nemmeno quando dirle. Era tutto un po’ folle. Ho rivisto Kirsten di recente e ci siamo fatti una bella risata su quanto fossi terrorizzato.
Era così giovane e inesperto. Cosa le ha fatto pensare di potercela fare?
Sono una persona molto determinata: ho voglia di farcela. Mi sento come se avessi il fuoco sotto il sedere, come si dice a Belfast. È vero, mi sono sempre sentito così. Ne ho parlato con dei terapeuti. Molto deriva dal fatto di non essere stato il più grande a scuola. Non sono mai stato bullizzato nella vita, grazie a Dio, ma l’unica cosa che mi interessava a scuola erano lo sport e il rugby, e ancora oggi ci tengo tantissimo. Ma se sei piccolino e vuoi giocare a rugby non è un ambiente facile. Quindi ho sempre pensato di avere qualcosa da dimostrare. Ho sempre avuto, qualunque cosa fosse, un atteggiamento del tipo “spostati, guarda questo”, per tutta la vita. Sono anche molto competitivo. Se iniziassimo una qualsiasi sfida, per esempio lanciare della spazzatura in quel cestino, vorrei vincere a ogni costo.
Non è comune per i modelli passare alla recitazione. Me ne viene in mente uno solo, Boyd Holbrook, lo intervistai 20 anni fa, quando era ancora un poeta in erba.
Diamine, lui sì che ha avuto un grande successo. Uscivamo spesso assieme a New York, tempo fa, quando frequentavamo quei bar di quartiere. Non mi sono mai trovato bene con gli altri modelli maschi. Sentivo di non appartenere a quel gruppo. A me piaceva parlare di rugby, a loro di skateboard e fumare marijuana. Anche in quel caso, non sapevo bene quale fosse il mio posto. Recentemente ho incontrato Boyd a un festival del cinema e ci siamo fatti una bella risata. Ci siamo fatti reciprocamente molti complimenti, come fanno gli attori, nel modo in cui le persone al di fuori della professione considererebbero “fuori luogo”. Boyd sta facendo cose molto interessanti. Sono orgoglioso di lui.

Parlando degli anni 2000, ci sono delle foto fantastiche di lei e Keira: sembrate la coppia d’oro del millennio.
Erano gli anni dei veri paparazzi. Era davvero brutto, a dirla tutta. Era già abbastanza difficile per me, anche se riuscivo a sopportarlo di più, ma Keira era solo una bambina. Aveva 18 anni e io ne avevo 20 quando ci siamo messi insieme. Se sei una ragazza di 18 anni e ci sono tre tipi nascosti nei cespugli tutta la notte fuori dal tuo appartamento, non è una bella esperienza. Quando vedo una di quelle immagini – mi capita spesso su Instagram, visto che mi seguono ovunque – la trovo divertente per alcuni dei vestiti che indossavamo, ma penso anche a quanto fosse spiacevole quella intrusione nella nostra vita.
Quali sono i maggiori pregiudizi su di lei, Jamie?
Credo di essere molto bravo a mettere la testa sotto la sabbia. E non lo dico per fare colpo, non ho la minima idea di cosa pensino gli altri di me. Non so nemmeno cosa pensano i miei amici di me. Non ne ho la più pallida idea, e mi va bene così.
È perché non gliene importa nulla?
In un certo senso sì, non me ne importa. Faccio amicizia facilmente. Nella mia vita ci sono persone fantastiche. Non ho davvero mai rotto i rapporti con nessuno. Odio litigare. Non sono neppure bravo a farlo: sto in silenzio. Posso essere polemico fino a un certo punto con gli uomini, protettivo e tutto il resto, e a volte mi capita di arrabbiarmi quando sono al volante, ma ho sempre cercato di evitare i conflitti.
E cosa apprezza?
Apprezzo molto più il tempo del denaro. Mia madre è morta a 50 anni. Non voglio solo lavorare, lavorare, lavorare.
Grooming: Joe Mills, Set Designer: Sean Thomson. Styling assistant: Rui Santos