

Lucas Pinheiro Braathen: sciare è come ballare il samba
Incontriamo Lucas Pinheiro Braathen, metà norvegese e metà brasiliano, il primo brasiliano sul podio della Coppa del Mondo di sci. Ritratto di un campione che sa coniugare felicemente rigore nordico e alegrìa del sud
Lucas Pinheiro Braathen, sport nordico, sci. Non sembra, pensi. O meglio: non solo. Nei suoi gesti c’è qualcosa che viene da altrove. Altrove qui è Rio. È nato a Oslo, padre norvegese e madre brasiliana, e già nel nome doppio si legge la traiettoria di una vita a metà tra il rigore del nord e l’alegrìa del sud, la disciplina dello sci alpino e il desiderio di non assomigliare mai del tutto a nessuno. Campione precoce, talento fulminante, ha vinto gare impossibili partendo dal fondo della classifica.

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Dietro il prodigio c’è una biografia che è andata veloce: nato nel 2000, debutta in Coppa del Mondo a 18 anni. Comincia a mettere insieme podi, vittorie, visibilità. Quando sembrava lanciato verso l’élite definitiva, ha fatto l’impensabile: si è ritirato. Troppo giovane, forte, libero per accettare regole e imposizioni che non sentiva. Era diventato un simbolo non solo per come scendeva, ma per come si presentava: diverso, eccentrico, autentico in uno sport che privilegia uniformità e understatement.
E infatti non era la fine, ma l’inizio. Un anno dopo è tornato. Non più con la Norvegia, ma con i colori del Brasile. È entrato in pista con la stessa determinazione e in pochi mesi è il primo brasiliano sul podio in Coppa del Mondo, primo latinoamericano a imporsi in un circuito dominato da europei e nordamericani.

Domande che detesti?
Quelle del tipo “cosa pensi di chi ha detto questo?”. Non portano da nessuna parte, costringono a rispondere a qualcosa che non ti appartiene davvero.
Le opinioni, insomma. Sì, quelle sono domande assurde.
La bellezza non sta nel fatto che siamo diversi, che abbiamo idee diverse? È quella la caratteristica strepitosa delle persone. Le opinioni passano, cambiano, non restano. Preferisco parlare di sensazioni, di esperienze, di quello riesce a formare.
Brasile e Norvegia. È da quei due mondi che arriva il talento. Vuoi raccontarmi il meglio di entrambe le culture?
La sicurezza e la solidità della cultura norvegese: sono beni di lusso. In Norvegia cresci con un senso di protezione, di stabilità, che ti permette di osare. Per il Brasile: amare le cose più semplici, la capacità di apprezzare la natura, lo stare insieme, la famiglia. E soprattutto: la capacità di non prendersi troppo sul serio, di vivere con leggerezza anche la fatica, le sconfitte. Questa combinazione è la terra da cui vengo.

Sembra di sentirti parlare di un certo modo di godersi la vita che non abbiamo.
Il nome è alegrìa, esiste in Brasile, e non altrove. È qualcosa che non puoi tradurre del tutto, è un atteggiamento che senti negli sguardi, nei gesti, si tratta di cose minime di tutti i giorni.
Spiegamelo.
In inglese dici happiness, in Italia felicità. E in brasiliano dici felicidade, ma diciamo anche alegrìa, che è diverso. È una felicità più profonda, interiore, riguarda quello che c’è di essenziale, ed elementare, della vita. Alegrìa è la tua canzone che suona all’improvviso, un incontro per strada, abbracciare la tua ragazza. È vivere senza l’ansia di controllare ogni cosa, accettando che il bello spesso arriva da un fuori programma. Alegrìa è anche saper ballare da solo. È la libertà di non dover sempre spiegare.
In Italia quel senso di abitare le cose dipende anche da un fattore: avere o no il mare vicino.
Sono d’accordo. Vuol dire essere anche fisicamente connessi a quanto c’è di autentico nella vita: mare, foresta, il cibo che ne viene. Penso a quello che mi chiede il mio coach, spesso: “quand’è l’ultima volta che hai toccato davvero con i piedi la terra?” E io devo pensarci, e la risposta è che è stato durante l’ultima vacanza. Adesso è tutto, facciamo tutto in stanze e telefoni. Siamo connessi. E strano a dirsi, c’è una disconnessione con quello che c’è invece di più facile e più necessario. Ecco, lo sport diventa un richiamo potente: è un’occasione forzata per tornare alla natura, per toccarla, sentirla.
Nello sport, in particolare il tuo, hai poco tempo per dimostrare tutto. Questione di minuti. Com’è quel tempo? È un vuoto di pensieri, o è affollato?
All’inizio sei sotto una pressione di voci, persone, flash, parole, domande. Nel giro di pochissimi secondi la tua testa comincia a fare un’esclusione sistematica: è come perdere, uno per uno, i sensi. Resta solo il corpo, la memoria dei gesti.

Dicono che nel tuo modo di sciare ci sia il samba.
È una buona osservazione. Credo che lo sci, come lo sport, sia semplicemente un’altra forma d’arte. C’è una combinazione interessante di bellezza, interazione con la natura, i materiali, le tue abilità fisiche, la velocità, e tutto questo necessita di combinarsi in modo perfetto, per realizzare qualcosa di esatto, di preciso. Ma anche di vivo. Guarda gli sciatori. Ogni volta che li vedi in gara non puoi non pensare a come il loro modo di muoversi rappresenti in qualche maniera la loro personalità.
Dimmi com’è il tuo modo.
Sono felice quando qualcuno mi dice “vedo la danza, mentre scii”. È anche un mio modo di vedere le cose: lascia andare, non pensare a quello che diranno. Hai presente quel momento della danza quando lasci indietro tutto? Quello mi rappresenta. È il mio modo di stare nel mondo, non solo sulle piste. La mia dichiarazione di indipendenza, credo sia quello, sì, esatto.
Photos by Clément Laguardia, styling by Edoardo Caniglia, Grooming: Yuri Napolitano @Interlude Project. Styling assistants: Ruben Blattner, Giada Cubeddu. Location: Magma Eventi (magmaeventimilano.com) Project manager: Andrea Mc Leod.