

VillaBanks: Il mondo a portata di mano
Canzoni di ogni genere, video (pure porno), libri, ora anche la moda, insomma quel che gli passa a tiro. VillaBanks è così, un irregolare con un messaggio preciso: spingere sempre
VillaBanks – cioè Vieri Igor Traxler, classe 2000, da Ravenna, ma di fatto cittadino del mondo – potrebbe uscire da una serie tv a uso e consumo dei Generazione Zeta, una Sex Education, e nessuno avrebbe da ridire. A parte che parla sempre di sesso e buca lo schermo, è uno che, per citare i Nirvana, odora di gioventù. Odia le etichette, è selvaggio ma instagrammabile, ha pubblicato dei video porno su Onlyfans e alle spalle ha già un’infinità di canzoni in cui spazia tra generi (pop, rap, urban) e cavalca l’algoritmo. Solo nell’ultimo disco, VillaBanks (2023), ce ne sono oltre 20: una playlist, come chiedono i tempi. «Sono prolifico», scherza. Fa sul serio, ma sa vendersi bene, è quasi romanzesco. Ancora, se deve parlare delle piattaforme di streaming, un tema che ha già fatto ve- nire i capelli bianchi a colleghi appena più grandi, è serafico: «Mi piace il sentimento di libertà che danno. Sto cercando di distribuire la mia musica in tutto il mondo. È bello poter avere tutto a portata di mano».

Nel suo universo, insomma, il Millennium bug non c’è mai stato. Nel futuro le auto volano e tutto va come era stato promesso nei ’90. Che sia un sogno o un cortocircuito non importa. Lo show ha bisogno sia di illusioni, sia di irregolari. Nel dubbio, si fatica a trovargli un posto, ma lui non ne soffre. «È ancora tutto da fare». Un termine che ricorre spesso, mentre parliamo, è “fluidità”. È fluida la sua storia, cresciuto com’è tra Milano, Francia, Svizzera e New York («Mi sento cosmopolita»). Sono fluide le canzoni, l’immagine, il progetto in generale, che da tempo ha rotto gli argini e si è preso dischi, libri, videoclip, tutto quello che gli passa a tiro. «VillaBanks», dice, «non è un alter ego, ma un’amplificazione delle mie aspirazioni e della mia creatività. Serve a mostrare la mia forza e ispirare gli altri a fare altrettanto».

Ora c’è questa collaborazione che lo vede ambassador di Moschino Eyewear (prodotti da Safilo): per scelta, fa capire, e non per bulimia, come del resto tutto in questo splendido casino organizzato che è la sua carriera. «La moda è un’estensione della mia espressione artistica. Adoro le griffe come questa. Rappresentano quel mix di ironia e lusso che rispecchia la mia estetica: audace, divertente, provocatorio. L’immagine è fondamentale, ma deve essere coerente con ciò che si è davvero». Chiaramente è ingenuo chiedergli se c’è un messaggio unico dietro tutto questo: «È difficile da riassumere in poche parole». Però? «Però, in linea di massima, direi questo: spingere sempre». Di solito, infatti, quando si parla di cantanti del genere l’equivoco è facile: può essere che grattando la superficie della provocazione non ci sia niente, che siano idoli di plastica creati a ta- volino e calati dall’alto, figli di questo tempo e non artisti davvero generazionali, cioè capaci di stare un passo avanti ai coetanei e interpretare ciò che hanno intorno. Ma in VillaBanks c’è una tale percentuale di sporco, di errore e di spontaneità mista a coscienza di sé e del proprio ruolo da credere che è qui per restare, e che il basso da cui viene se lo porta dietro. «Essere autentici in un mondo che spesso premia la conformità è una sfida, ma è anche ciò che rende il mio percorso entusiasmante e gratificante». Alla fine, rendersi incasellabile ed esagerare sempre è un rischio, prima che un’opportunità. «Infatti non ho paura delle critiche; so che chi osa mostrare il vero sé, anche nel mondo dello spettacolo, può realmente fare la differenza».

Finora, ha funzionato. Sono migliaia i ragazzi che si rivedono in un personaggio che sembra a portata di mano, ma anche fuori dagli schemi. «In più, gran parte del pubblico, ai concerti, è composto da giovani donne. È una notizia, specie per un’industria convinta che solo l’uomo spenda per divertirsi». Soprattutto, e qui torna il ruolo di guida, è uno dei primi mattoncini per costruire qualcosa di diverso e andare oltre l’esagerazione di facciata. «Vorrei che i miei live fossero posti sicuri, dove le ragazze possano stare in libertà, senza paura». D’altronde, anche le sue canzoni sono un invito alla libertà, concentrate come sono in primis sul sesso, «il momento in cui ci sentiamo nudi», il più vero. «Siamo una generazione più inclusiva, meno legata alle tradizioni delle precedenti. Crescere con i social, in questo senso, ci ha aiutato, anche nel sesso». Fino a qui tutto bene, Renzo Arbore avrebbe detto: per voi giovani. E ok, ma gli altri? Gli altri, per ora, non gli stanno dietro, ma lo sentono arrivare, sentono ribollire ciò che si muove sotto la superficie. «Il dialogo con lo Stato e le altre generazioni mi sembra la cosa più urgente. Le nostre aspirazioni e modi di vivere sono visti come frivoli o non seri, ma in realtà c’è molta passione e impegno». Magari lo vedremo al Festival di Sanremo. Di sicuro non è qui per fare la guerra. L’invito sempreverde è a trovare ciascuno la propria voce, a riflettere sul rispetto, il consenso, i diritti. «E poi, ai concerti vedo già dei genitori, dei professori». Anche Sex Education, alla fine, è piaciuta sia alle madri e ai padri, sia ai figli. E va bene così.