

Canali, 90 anni di eccellenza sartoriale
In occasione dei primi 90 anni di Canali, ne ripercorriamo la storia con Stefano Canal, presidente e AD del marchio
La Brianza è uno dei motori silenziosi dell’economia italiana ed europea. A parte i local, pochi hanno chiaro dove inizi e finisca, perché non ha confini geografici ufficiali, ma solo culturali. Per essere più precisi, l’area va dalla linea pedemontana che unisce Como a Lecco (non incluse), a settentrione, al Canale Villoresi, a sud; dal fiume Adda a est, dal Seveso a occidente. I brianzoli sono orgogliosi, operosi, grandi lavoratori, a volte bigotti e poco aperti a cambiamenti. Il film Il capitale umano di Paolo Virzì (2013) prova a riassumere in maniera semplicistica molti dei cliché tradizionalmente loro affibbiati, che poi, in realtà, si trovano ovunque: dall’imprenditore rampante che ce l’ha fatta e ostenta il successo, al poveraccio di spirito che sfoggia oltre lo proprie possibilità, per non sentirsi inferiore. Da sempre qui ci si sveglia presto per lavorare, ma è con la seconda rivoluzione industriale di fine Ottocento che il territorio si è ritagliato un posto nel panorama globale nei settori imprenditoriale e terziario e, da questo quadrilatero sbilenco fatto di campi e colline, si è iscritto nei vertici mondiali di molti ambiti produttivi.

Gran parte dei grandi nomi del design mobiliero italiano nasce e ha sede qui, come anche il settore tessile con la seta, oggi un po’ in declino, il feltro e i cappelli, i guanti, i pizzi e i merletti. Stefano Canali, misurato e gentile Presidente e AD di Canali Group, che quest’anno festeggia i 90 anni, afferma con orgoglio: «Direi che la definizione perfetta per noi brianzoli è internazionali». L’impresa che dirige è nata nel 1934 a Triuggio dai fratelli Giovanni e Giacomo che nel paese avevano un negozio di sartoria; da qui prese vita l’attività di famiglia che da tre generazioni affronta con successo tutto quello che la storia le mette via via davanti. «Negli anni abbiamo superato quelli che chiamo i tre turning point che farebbero tremare i polsi a chiunque, ma che oggi sono ricord e parte del nostro patrimonio pratico e morale», prosegue.
Il primo è la Seconda guerra mondiale. «Dopo che mio nonno e suo fratello avviarono l’attività raggiungendo un buon grado di successo il conflitto spazzò via tutto: lavoro e capitali. Nel periodo post bellico ci si reinventò intercettando con intuizione e coraggio (parola a lui cara che ripete spesso, ndr) il trend del soprabito,per proteggersi da vento e pioggia. Fu un successo, anche grazie alle collaborazioni con realtà che producevano le prime fibre sintetiche, avviate della seconda generazione di famiglia che, nel dopoguerra, iniziò a entrare in azienda».

Il successo però dura fino a che la roulette della moda decide che l’impermeabile non è più cool. Ed ecco il secondo turning point: o si cambia o si chiude. «Il coraggio e la lungimiranza delle nuove leve formatesi all’ombra dei fondatori portò a investire quanto accumulato in una riconversione verso le origini, tornando a produrre capispalla di alta qualità», rievoca Stefano Canali. «Il concomitante sbarco negli Stati Uniti, a cavallo tra gli anni 70 e 80, fu una felice circostanza, perché il pubblico d’oltreoceano scopriva proprio allora il valore e la qualità di un abito sartoriale rispetto a quello incollato, rigido e privo del valore del savoir faire». Infine, il terzo punto di svolta: «La pandemia è capitata quando avevamo definito un piano di sviluppo e di evoluzione radicale dell’azienda che abbiamo dovuto congelare. Tuttavia, siamo riusciti a superare anche questa impasse, grazie all’esperienza e alla volontà dei nostri genitori che hanno reso Canali, da sempre, indipendente da banche, fornitori, clienti. Così ora abbiamo ripreso ciò che avevamo lasciato in sospeso».
Oggi il marchio continua la sua espansione e celebra i 90 anni con una serie di eventi: il primo è stato a Milano con una speciale capsule e una collaborazione con la NABA, la Nuova Accademia di Belle Arti i cui studenti ha realizzato alcune opere site specific, perché i giovani sono il capitale su cui costruire i prossimi decenni. «Rappresentano il futuro. Lo sforzo non è solo trovarne che entrino a fare training per rimanere, ma far capire loro l’importanza del domani, un tema su cui ci stiamo focalizzando. C’è un concetto base che le nuove generazioni devono comprendere: non esiste il designer senza sarto, ma esiste il sarto senza designer».

È vero, ma serve capire come questo assunto si applica alla realtà. «La forma della giacca per noi è il modo migliore per valorizzare la figura di una persona. La differenza la fa poi la costruzione che si adatta alle mode del momento; ma la sostanza, che rappresenta il nostro dna, resta», spiega Stefano Canali. Se da un lato è indubbio che l’abbigliamento maschile è ancora saldamente ancorato all’equazione giacca (o abito) uguale eleganza, dall’altro le nuove generazioni, anche se incuriosite dall’esoticità del formale, alla fine scelgono direzioni estetiche e influenze spesso differenti, che giocoforza non si possono ignorare, quasi come un nuovo turning point. Così, unendo il pragmatismo brianteo alla visione internazionale di chi conosce le tante sfaccettature della società contemporanea, si potrà costruire un futuro altrettanto solido.