Soshi Otsuki. Il prossimo nome da memorizzare. Il prossimo guest designer di Pitti
Courtesy Pitti Uomo

Soshi Otsuki. Il prossimo nome da memorizzare. Il prossimo guest designer di Pitti

di Tiziana Molinu

È l’anno di Soshi Otsuki: LVMH Prize in tasca e riflettori puntati a Pitti Uomo 109. Le ragioni del successo, le critiche, e tutto quello che devi sapere sul giovane designer giapponese

Si attende, nei padiglioni di Pitti Uomo, un alchimista. Un giovane sciamano che, invece di leggere il futuro nelle foglie del tè, lo scruta nelle cuciture di una giacca sartoriale del 1930. Il suo nome è Soshi Otsuki, 35 anni, fondatore del brand Soshiotsuki, è prossimo guest designer a Pitti Uomo 109 in scena a Firenze dal 13 al 16 gennaio 2026. Gli addetti ai lavori conoscono già bene questo nome, la scelta arriva infatti nel suo anno più caldo. Proprio a settembre 2025 lo stilista giapponese ha vinto il LVMH Prize: 400.000 euro e un anno di mentorship che spesso trasformano un nome da insider in fenomeno globale.

Nato nel 1990 a Chiba, formato al Bunka Fashion College (con passaggio a coconogacco), Otsuki lancia il brand nel 2015 entrando subito nel radar internazionale (finalista LVMH nel 2016). Pochi anni dopo, nel 2019, vince il Tokyo New Designer Award e, infine, nel 2025 compie il salto di scala vincendo l’LVMH Prize. Una traiettoria lenta (ma neanche troppo), coerente, anti-virale: ogni collezione lima la precedente, come in una scuola di calligrafia.

Soshi Otsuki
(Photo by Dominique Maitre/WWD via Getty Images)

Per capire Otsuki, bisogna dimenticare i cliché del designer che disegna su un foglio bianco. Lui è un “cacciatore di tesori”, un archeologo del tessuto. La sua materia ispirazione prima è il capo vintage. A partire dai capi d’epoca inglesi e francesi, dalla fine dell’Ottocento agli anni Trenta del Novecento; fino alle silhouette degli anni Ottanta. Giacche, cappotti, pantaloni che lui, pazientemente, smonta, studia e ricostruisce, letteralmente, addosso a sé stesso. La sua moda è una lezione di storia, una dimostrazione di come il menswear possa essere, al contempo, un archivio sterminato e un laboratorio d’avanguardia.

Perché Otsuki è interessante oggi (oltre l’hype)

La sua operazione è neo-classica e critica insieme. Da un lato, una sartoria severa, lucidata dal tempo: revers a lancia, doppiopetto disciplinato, proporzioni misurate. Dall’altro, slittamenti semantici che incrinano il formalismo: cinture da judo come accessori, sete da kimono innestate in camicerie impeccabili, dettagli di tasche tradizionali spostati dove non te li aspetti. Il tutto con una compostezza che non cede al citazionismo nostalgico: Otsuki usa il passato come codice.

Soshi Otsuki
(Photo by Justin Shin/Getty Images)

Non “copia” il vintage; lo “smembra e reincarna”. Setaccia i mercatini, acquista capi d’epoca in condizioni spesso precarie. La patina del tempo, le macchie, le sfilacciature non sono difetti, ma caratteristiche preziose, la “memoria” dell’oggetto. Dopodiché smonta il capo pezzo per pezzo, fino a ridurlo a un pattern di tessuto. Studia le tecniche di costruzione, i punti nascosti, il modo in cui il tessuto è stato tagliato per modellare il corpo.

Infine, la magia. Utilizzando il tessuto originale ma, più spesso, replicandone la mano e l’aspetto con tessuti contemporanei di altissima qualità, ricuce il capo. Ma non lo ricuce come era. Lo adatta alla sua silhouette, lo modifica, lo “distorce” per aderire perfettamente al corpo di oggi. Il risultato è un capo che ha l’anima di un secolo fa e il corpo di un uomo del XXI secolo.

Soshi Otsuki
(Photo by Justin Shin/Getty Images)

La sua estetica è un dialogo serrato tra la tradizione sartoriale europea – con le sue regole rigide, le sue armature, la sua ricerca di eleganza formale – e la sensibilità estetica giapponese del Wabi-Sabi: la bellezza che risiede nell’imperfetto, nell’irregolare, nell’effimero e nell’usato. Le sue giacche non sono mai immacolate. Mostrano pieghe, leggere asimmetrie, un non-so-che di vissuto che è intenzionale e profondamente meditato. Come se un sarto di Savile Row avesse avuto una illuminazione zen.

La critica (necessaria)

Chi lo accusa di “fare Armani” sbaglia bersaglio: il punto non è chi cita, ma come cita. Otsuki non feticizza l’originale: lo ricontestualizza nella psicologia dell’uomo giapponese contemporaneo—più consapevole, meno timoroso del decoro—e lo esporta come statement di sobrietà desiderabile in un sistema saturo di macro-spalle e ironie facili. Se la moda maschile post-street cerca una nuova grammatica di autorevolezza, qui c’è una proposta chiara: ritornare al suit come tecnologia culturale (non come dress code), spostare millimetri e lasciare che il resto lo faccia il corpo. Le citazioni funzionano quando espandono il discorso, non quando lo chiudono: a oggi, Otsuki sta espandendo.

Negli archivi personali di Otsuki ci sono giacche Armani acquistate da ragazzo, studiate come si studia un film fotogramma per fotogramma: il movimento del tessuto quando la mano entra in tasca, il drappeggio come risultato di calcolo; “il vestito che cammina con te”, direbbe un vecchio critico. “Motion” non è solo il tema di Pitti 109; è il lessico di questo guardaroba.

Soshi Otsuki
(Photo by Justin Shin/Getty Images)

Lo stilista ha esplicitato il debito (consapevole) verso il maestro italiano: non emulazione, ma quoting, un’arte della citazione che usa la grammatica armaniana degli anni Ottanta (la drappeggiatura, la morbidezza di spalla, il grigio come disciplina) per raccontare un’altra storia. Quella del Giappone della Bubble Era, dei salarymen innamorati del Made in Italy, di un’eleganza corporativa divenuta aspirazione collettiva.

Cosa aspettarsi a Firenze

Le anticipazioni parlano di una sfilata-evento dedicata al brand: aspettatevi un lessico F/W 2026 centrato sul tailoring drappeggiato, su grigi e antracite lavorati come materiali vivi, su innesti di tradizione giapponese che non gridano folklore ma metodo. E – dato non irrilevante – la campagna di Pitti 109 (curata da Chris Vidal Tenomaa e Tuomas Laitinen) già mette in scena look Soshiotsuki in bianco e nero, fermo immagine di un’idea di movimento: il classico come cinema.

Soshi Otsuki
(Photo by Justin Shin/Getty Images)